Salviamo il Gazometro dalla corrosione e l’Ostiense dal degrado

Archeologia industriale in abbandono in un'area dalle immense potenzialità. Prima parte di una nostra inchiesta su Ostiense e Porto Fluviale

Il Guardian, quotidiano britannico attento alle tendenze radical, ha inserito l’Ostiense nella classifica dei 10 quartieri più trendy d’Europa. In effetti le capacità per rivaleggiare con l’University Quarter di Bruxelles o Neukolln di Berlino, le ha tutte. Ma l’area soffre per abbandono e scarsa visione politica. La giunta Raggi non ha fatto nulla per rimettere in moto il processo di riqualificazione della zona e presto i giornalisti del Guardian potrebbero cambiare idea.

Nelle prossime settimane proveremo ad approfondire gli aspetti positivi dell’Ostiense e le sue criticità, passando per la Riva destra del Tevere e gli ex Mercati Generali il cui futuro è bloccato in un limbo. Impossibile, però, non cominciare dal simbolo del quartiere, il monumento che l’ha reso celebre tanto che molti romani oggi usano la parola Gazometro per indicare un quadrante di città ben identificato.

 

Il Gazometro non è più in uso dagli anni ’70 quando i nuovi sistemi di distribuzione del metano lo resero obsoleto. Grazie alla sua struttura gigante, alta più di 90 metri, è visibile da molte finestre e strade romane tanto da essere divenuto parte dello skyline cittadino.

Fu costruito dalla Ansaldo in collaborazione con la tedesca Klonne Dortmund e inaugurato nel 1937. Era il più imponente d’Europa con una portata di 200 mila metri cubi di gas, un diametro di 63 metri, 20 montanti di acciaio. Nel suo ventre veniva accumulato il gas di città che poi raggiungeva le case e i pali di illuminazione pubblica.

Molti lo chiamano “il terzo Colosseo di Roma” tanto che è stata chiesta l’apposizione di un vincolo proprio per le sue capacità evocative ma al momento il Gazometro è abbandonato e la ruggine sta aggredendo la base e molti montanti. Come si può vedere dalle foto, la corrosione avanza e la proprietaria Italgas non sembra intenzionata a spenderci.

A luglio del 2018, con un comunicato, l’Azienda annunciò “una futura verniciatura del manufatto che eliminerà anche gli sporadici e superficiali segni di ossidazione oggi visibili“. Quella verniciatura non è mai arrivata e gli sporadici segni sono diventati solchi quasi irrecuperabili.

Ma al di là della manutenzione ordinaria, seppur urgente, il Gazometro ha tutte le potenzialità per diventare il centro della rinascita dell’area. Esattamente come avvenuto a Oberhausen, in Germania, dove una struttura simile (e forse meno affascinante) è stata trasformata in un luogo espositivo che ha ridato vita all’intera regione. L’investimento di 16 milioni di euro è stato ripagato in pochi anni grazie all’indotto, agli incassi degli affitti per chi ha voluto insediare al suo interno attività di ristorazione ma anche atelier d’artista, uffici e negozi.

 

 

Il Gazometro di Oberhausen
Una mostra allestita all’interno

 

A Roma il Gazometro diede un segno di vita durante la notte bianca del 2006 quando decine di migliaia di persone accorsero a vederlo illuminato dai led montati dall’artista Angelo Bonello, chiamato dall’allora Sindaco Veltroni. Passata quell’estate, tornò alla sua triste solitudine, ammirato da lontano ma mai goduto da vicino.

(foto Alessia Rulli)

 

Eppure il recupero e la rigenerazione dell’archeologia industriale è da sempre motore di sviluppo anche in Italia. Cercate su Google alcuni magnifici esempi come la Centrale Idroelettrica Taccani di Trezzo sull’Adda, l’Hangar Bicocca di Milano, il Molino Stucky di Venezia. Ma senza andare troppo lontano, basta attraversare il Tevere per scoprire la nostra Centrale Montemartini, un edificio tornato a nuova vita in modo davvero straordinario.

E’ proprio questo il futuro dell’Ostiense, ricco di strutture sobrie ed eleganti che, una volta recuperate, possono costituire un unicum in Europa per concentrazione di bellezza industriale. Sempre in zona, l’ex Miralanza oggi Teatro India, ne è l’esempio. Proviamo ad immaginare di costruire un mosaico di rigenerazione composto dagli ex Mercati Generali, dall’ex caserme militari a Ponte di Ferro, i magazzini del carbone di Italgas, il Porto Fluviale.

Un patrimonio ambientale e storico che porterebbe lavoro, sviluppo e ricerca. Qualche timido accenno già c’è ma sempre e solo per volontà privata. Abbiamo raccontato pochi giorni fa della bella iniziativa di Wire, uno spazio per il lavoro condiviso. A poca distanza sorge Portofluviale71, un complesso residenziale firmato da Bruno Moauro che contempla – rarità a Roma – anche 36 alloggi a canone calmierato per uso sociale.

Quello che manca è un serio intervento pubblico che non deve necessariamente stanziare dei fondi, ma coordinare una crescita voluta e pensata in un quartiere dove la storia è stratificata nei secoli. Dai resti romani del Monte dei Cocci, alle grandi architetture moderne e contemporanee. Quello che oggi è abbandono e degrado potrebbe essere il nucleo di una passeggiata millenaria.

Proveremo a percorrerla idealmente nelle prossime puntate.

 

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