Torniamo sulla questione Olimpiadi, precisando che il contenuto di questo articolo è frutto dell’opinione personale dell’autore e non rispecchia la linea di diarioromano. Ci sembra però interessante aprire una discussione sul tema ed eventualmente in futuro ospitare altre idee di segno diverso.
L’amico Roberto, qualche giorno fa, ha espresso la sua opinione rispetto alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. Come fa una città che non riesce a gestire l’ordinario, come uno sciopero delle metro o una pioggia violenta, a occuparsi di un evento planetario come i giochi olimpici? E la sua posizione di scetticismo e di contrarietà a questa candidatura è condivisa dalla gran parte dei comitati cittadini e da diverse forze politiche, ad esempio il Movimento5stelle.
Devo ammettere che non è facile dare loro torto. Roma sembra essere ormai piegata da una malattia incurabile e come tutti i pazienti all’ultimo stadio può subire solo cure palliative senza speranza di ripresa. Se però fosse davvero così, se Roma fosse ormai una città senza alcuna possibilità di rinascita che motivo ci sarebbe da parte di questi stessi comitati di continuare a lottare? Perché lavorare con fatica a siti come diarioromano, partecipare a riunioni, studiare carte se all’orizzonte si vede solo corruzione e malaffare tanto da augurarsi che a Roma non si svolga più alcun evento?
Ma soprattutto per quale modello di città lottiamo? Per una provincia ai confini del mondo, magari ben amministrata ma senza alcun peso, oppure per una grande capitale che – oltre all’arte e alla storia – sia anche dinamica e moderna? Credo (ma ripeto si tratta di una considerazione del tutto personale) che Roma possa e debba tornare a pensare in grande. E le Olimpiadi possono essere una occasione per farlo.
Se si guarda indietro ai grandi eventi del 900, si vedono luci e ombre. L’Expo del 1942 (che non si tenne) ci ha lasciato in eredità uno degli esempi più alti di architettura moderna, l’Eur, oltre ad una linea metropolitana, la B. Senza queste opere Roma oggi sarebbe diversa, sicuramente peggiore. Il Giubileo del 2000 ha consegnato piazze splendidamente ristrutturate, un sottopasso che ha permesso la pedonalizzazione a Castel Sant’Angelo, un grande parcheggio alle spalle del Vaticano. Ma è anche vero che i Mondiali di calcio del ’90 sono stati il simbolo dello spreco e del malaffare, con opere inutili come l’Air Terminal dell’Ostiense, la stazione Farneto-Vigna Clara. E i campionati di nuoto del 2009 non hanno fatto meglio con circoli sportivi abusivi e cattedrali nel deserto (la città dello sport di Calatrava).
Il caso delle Olimpiadi fa storia a sé. Quelle del 60 permettono ancora oggi a Roma di avere una dotazione sportiva di alto livello: il Palazzo dello Sport progettato da Pierluigi Nervi, la Piscina delle Rose, l’ammodernamento dello Stadio Flaminio, gli impianti dell’Acqua Acetosa e delle Tre Fontane. Ma soprattutto una dotazione infrastrutturale senza la quale oggi Roma sarebbe una piccola città di provincia senza mobilità: l’aeroporto Leonardo da Vinci, la via Olimpica, i sottopassaggi del Lungotevere, l’asse del Muro Torto e di Corso Italia, il viadotto di Corso Francia, il Ponte delle Valli, il Ponte Lanciani. Opere imponenti per le quali gli scandali furono praticamente assenti e quasi tutto fu terminato in tempo per l’avvio dei giochi (ad eccezione dell’aeroporto che comunque aprì poco dopo).
Dunque non c’è un problema antropologico! Dunque anche a Roma le cose si possono fare e possono restare! E allora perché arrendersi? Perché partire dal presupposto che oramai non è più possibile diventare un “paese normale”, che qui possono regnare solo Buzzi e Carminati? E le persone per bene che ci stanno a fare? I nostri architetti che all’Expo in queste ore hanno dato un esempio di notevole capacità devono per forza andare a lavorare all’estero, oppure lasciare un’impronta che ancora si studia nelle scuole come nel 60 fecero i vari Morandi, Luccichenti, Moretti? Roma non deve essere condannata a restare immobile solo perché ad un manipolo di corrotti è stata lasciata mano libera. La responsabilità non è solo dei corrotti, ma di chi li ha lasciati fare.
La città oggi non riesce a gestire uno sciopero o a far pagare il biglietto dagli utenti dei mezzi pubblici, è vero. Ma i requisiti minimi di moralità pubblica e di capacità amministrativa per organizzare e bene un grande evento si debbono trovare. Per lasciare non solo alcune opere mirate e ben costruite, ma soprattutto la speranza di poter guardare avanti a testa alta. Per dire al mondo: si può fare anche qui!