Ci siamo occupati più volte del problema dello svuotamento del centro storico. Abitanti che abbandonano le loro case e le affittano ai turisti mordi e fuggi. Attività commerciali tradizionali che lasciano il posto a negozi di souvenir e cibo di scarsa qualità. Bar che diventano locali per la movida notturna. Il risultato è una trasformazione profonda dell’identità di questi quartieri che diventano delle Disneyland senz’anima.
Una interessante inchiesta di Dinamopress a firma di Sarah Gainsforth snocciola dati da brivido. Vale la pena, dunque, leggerla tutta e per chi non ha tempo proviamo a farne un riassunto dei punti salienti. Per prima cosa le fredde cifre che riescono, comunque, a dare un’idea immediata del problema: se nel 1951, in centro abitavano 370 mila persone, oggi sono solo 80 mila, di cui 20 mila a Trastevere. Molte famiglie preferirono le nuove case alla Magliana o viale Marconi piuttosto che vivere nei vecchi palazzi, a volte fatiscenti, dei rioni centrali.
Le case lasciate vuote vennero dapprima abitate da famiglie abbienti che potevano permettersi una ristrutturazione di lusso e poi, in molti casi, trasformate in uffici. Ad ogni modo il centro continuava ad essere vissuto e la sua anima di quartiere della città non veniva snaturata.
La vera trasformazione, quella in negativo, quella che sta gradualmente avvicinando Roma ad alcune capitali in grave sofferenza, è cominciata nel 2001/2002 quando – con l’avvento di internet – è nato il fenomeno delle case vacanze. Solo Airbnb conta 25 mila annunci a Roma e di questi il 65% è nel I° Municipio. Secondo lo studio di un ricercatore dell’Università La Sapienza, si tratta del 19% delle intero parco abitativo del centro storico.
E’ per questo che – mentre nel resto della città i prezzi al metro quadro delle compravendite sono calati – nel centro storico hanno tenuto e a volte si sono anche incrementati. In sostanza aumenta il divario tra alloggi per ricchi e/o turisti e quello per gli abitanti che non possono più permettersi di tenere la loro casa. E’ lo stesso fenomeno accaduto per gli alberghi dove i 2 o 3 stelle hanno ceduto il passo alle case vacanze mentre resta saldo il mercato dei 4 o 5 stelle. Tanto è vero che i progetti di trasformazione di edifici dismessi in hotel sono tanti a partire dall’ex sede Bnl di via Bissolati, per passare agli ex uffici Inps di piazza Augusto Imperatore o l’ex sede di Forza Italia in via dell’Umiltà.
Il cocktail tra alberghi di lusso e bed and breakfast spinge sempre più lontano i residenti e trasforma Trastevere, Monti, Campo de Fiori in luoghi finti, senza vita. Altre grandi capitali hanno gestito questo fenomeno cercando di limitare la trasformazione degli appartamenti in casa vacanza. E in alcuni casi ci sono riusciti: su Booking.com, Parigi oggi offre 3.700 alloggi, Londra 8.900 mentre Roma più di 12.000. Si capisce già da questi numeri come la nostra città abbia lasciato mano libera, senza il minimo controllo del fenomeno. “Non bisogna aver paura delle trasformazioni. Il problema è chi governa le trasformazioni” spiega Paolo Gelsomini, presidente del Coordinamento Residenti Città Storica.
Il tema riguarda anche le attività commerciali. I negozi food presenti nell’area Unesco (che è appena l’1% della superficie di tutta Roma), costituiscono il 18,1% di tutti quelli presenti in città. E così è per i minimarket, depositi per valigie, souvenir e bancarelle che hanno via via sostituito i negozi tradizionali di alimentari, abbigliamento, artigianato. All’esterno delle trattorie si espongono sulle tovaglie a quadretti piatti di pasta e vino, come avveniva molti anni fa nelle città o nei luoghi di mare frequentati da un turismo becero. E’ per questo che Barcellona ha sospeso il rilascio di nuove licenze per gli affitti turistici in centro, mentre Amsterdam ha imposto regole severe per la registrazione degli host e Berlino ha deciso l’obbligo di una licenza. Solo Roma resta priva di regole e di controlli. Il Campidoglio, attraverso il recente regolamento sul commercio nel centro-storico, ha cercato di dare un freno alla apertura indiscriminata di minimarket e kebab, ma il rischio è che il cuore di Roma perda la sua anima e questo non piacerà neanche ai turisti. Alla fine, a uscirne sconfitti potremmo essere davvero tutti.