Lo scorso sabato 4 gennaio Lucia Annunziata, direttore dell’Uffington Post Italia, ha pubblicato un editoriale dal titolo: “Cercasi ministro degli Esteri a tempo pieno“.
L’argomento dell’articolo è l’inadeguatezza di un ministro degli Esteri come Luigi Di Maio in un momento caratterizzato da diverse gravi crisi mondiali. Il pezzo così si apre:
“Se questo fosse un Paese normale, e il nostro fosse un Governo efficiente, e i capi dei partiti fossero responsabili, come pure ripetono di essere, oggi noi discuteremmo delle possibili dimissioni del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Questione non di punizione, per carità, ma di opportunità e sicurezza.”
Nell’articolo si parla della mancata telefonata al nostro governo da parte del Segretario di Stato americano Mike Pompeo a seguito dell’uccisione del generale Qassam Soleimani, come invece fatto con altri paesi alleati, e si spiega come la scarsa rilevanza dell’Italia sullo scenario internazionale dati da almeno un paio di decenni. Non è quindi colpa dell’attuale ministro Di Maio se ci ritroviamo ad essere inutili spettatori di gravissime crisi mondiali che ci riguardano direttamente, perché siamo il paese europeo più vicino alla Libia ed abbiamo centinaia di nostri soldati in Iraq.
Ma una responsabilità il ministro Di Maio ce l’ha ed è quella di rendersi conto di non essere adeguato al ruolo che ricopre particolarmente in un momento difficile come l’attuale.
Scrive ancora la Annunziata:
“Ma, e questa è la domanda, in tempi che ogni giorno diventano sempre più complicati e difficili, con altre guerre all’orizzonte, ci possiamo permettere di tenere alla Farnesina un uomo che non è tagliato, né formato, per quell’incarico, e soprattutto che non lo esercita a tempo pieno?”
La risposta che qualsiasi persona di buon senso darebbe è che no, non ce lo potremmo permettere di avere una persona del tutto inadeguata ed inesperta a capo della diplomazia italiana. La conclusione logica sarebbe quindi che chiunque dotato di responsabilità nei panni di Di Maio si dimetterebbe immediatamente, facendo in modo che il suo ruolo passi a qualcuno dotato dell’esperienza e delle conoscenze giuste per esercitarlo adeguatamente nelle condizioni date.
Cosa c’entra tutto ciò con Roma?
Ebbene a nostro avviso il ragionamento che l’Annunziata fa su Di Maio si può applicare quasi integralmente anche al Sindaco di Roma, Virginia Raggi. Anche la Raggi è arrivata a ricoprire il ruolo di Sindaco quasi a sorpresa, priva di esperienza non solo nel ruolo specifico ma anche in senso più generale. In molti ci siamo chiesti al momento della proclamazione del risultato delle elezioni, nel 2016, se una persona tanto inesperta e giovane sarebbe stata in grado di tenere le redini di una città complicata come Roma, con l’aggravante di doverla risollevare da gravissimi problemi che affondano le radici in decenni di malagestione e malaffare. Va dato atto a Virginia Raggi di non aver mai mollato, di essere stata in grado di mantenere saldo il potere anche in momenti difficilissimi per chiunque, come quando fu ad un passo dal rinvio a giudizio per falso ideologico.
Sulle urgenze di Roma, la Raggi è riuscita più o meno a barcamenarsi in questi 3 anni e mezzo di mandato. Riguardo il trasporto pubblico, ha tenuto il punto sul voler mantenere il controllo di Atac senza mettere a bando il servizio e le sta riuscendo di tenere più o meno in piedi la baracca, anche se il servizio scade sempre di più e le proteste dei cittadini montano.
Sulla manutenzione delle strade ha prima provato a fare a meno dell’assessore ai lavori pubblici, poi ha incaricato la prima incompetente che le capitava ed infine vi ha spostato l’assessore Meleo che già aveva espresso tutta la sua mancanza di potenzialità nell’assessorato ai trasporti. Recentemente però a qualcuno è venuta la bella idea di contare le strade rifatte in metri quadrati (anziché in chilometri lineari, come si è sempe fatto) e il pubblicizzare che è stato rifatto oltre un milione di metri quadrati di strade sembra fare un certo effetto (anche se a fronte dei circa 55 milioni di metri quadrati di strade cittadine, stiamo parlando di circa il 2%).
È sui rifiuti però che si è realizzata la Caporetto di Virginia Raggi. Nel 2016 era partita forse col piede giusto, mettendo all’assessorato un’esperta come Paola Muraro che però in breve tempo, a causa di un’indagine a suo carico, aveva dovuto lasciare. Scelto Pinuccia Montanari come sostituta, indicata pare direttamente da Beppe Grillo, da lì è partito un declino fatto di confusione, passi falsi e soprattutto ingerenze da parte di altri assessori che hanno pesantemente condizionato le decisioni dell’amministrazione in materia di rifiuti.
Alle dimissioni della Montanari, con una situazione generale dei rifiuti già pesantemente compromessa, il sindaco non ha fatto seguire l’assegnazione della delega a qualcun altro, bensì ha scelto di esercitarla lei in prima persona, pur senza alcuna competenza ed esperienza specifica nel campo. In questo modo si è arrivati allo stallo più totale, con un’AMA del tutto fuori controllo, affidata all’ennesimo dilettante dopo che l’ultima dirigenza era stata costretta alle dimissioni, ed una città di quasi tre milioni di abitanti totalmente priva di un piano per la gestione dei rifiuti. Le ultime disperate mosse del Sindaco sono state la scelta di una discarica di servizio, concordata con la Regione Lazio, ma pare già rimangiata a seguito delle rimostranze dei cittadini.
Ebbene in una situazione ormai disperata come l’attuale, una persona responsabile nei panni del Sindaco Raggi prenderebbe atto dell’evidente fallimento della sua azione e invocherebbe la nomina di un commissario incaricato di affrontare la questione rifiuti a Roma.
Chiaramente si tratterebbe di ammettere di aver mancato ai propri compiti, ma chi avvertisse la responsabilità di un ruolo importante come quello di un Sindaco metterebbe l’interesse della città al primo posto e, prendendo atto della propria inadeguatezza ad affrontare la cosa, farebbe il necessario passo indietro.
Purtroppo temiamo che il Sindaco Raggi non arrivi a comprendere quanto una tale decisione farebbe il bene della città e la metterebbe al riparo da situazioni potenzialmente esplosive. Proprio come il ministro Di Maio mai ammetterebbe di non essere minimamente attrezzato ad affrontare le crisi mondiali in corso.
Un passo indietro di entrambi sarebbe assolutamente auspicabile ma purtroppo appare scelta quanto mai remota in tutti e due i casi.