Come tutti sanno da due giorni le misure di distanziamento sociale sono diventate ancora più stringenti, nel tentativo di diminuire al massimo i contatti tra gli individui.
I numeri dei contagi da Covid19 e le morti hanno registrato ieri un lievissimo miglioramento ma i dati restano allarmanti, soprattutto la nord, e giustificano senz’altro misure tanto restrittive, soprattutto per evitare che anche nelle altre regioni, Lazio incluso, ci si possa anche solo avvicinare a quei numeri.
Possiamo però dirci soddisfatti per come la situazione viene gestita a tutti i livelli istituzionali?
Non che si voglia fare i saputelli o i disfattisti, ma sempre con uno spirito costruttivo ci chiediamo se alle misure adottate non ne possano essere affiancate altre che comincino a essere un minimo mirate. L’esprienza di altre nazioni che sono uscite dalla fase di emergenza, come Corea del Sud, Singapore o Taiwan, insegna infatti che l’approccio più efficace consiste nel tracciare quanto più possibile le persone, fare test mirati e adottare quarantene vere (non confinare i possibili positivi in famiglia).
Il governo nazionale sembra essersi convinto di adottare un approccio simile a quello dei paesi più virtuosi ma nel frattempo forse a livello locale è possibile adottare altre misure che possano contribuire a rendere ancora più efficace il distanziamento sociale a cui siamo sottoposti.
Per capire cosa potrebbe fare di più o di diverso la Regione Lazio, partiamo da una decisa critica che abbiamo letto sulla gestione dell’emergenza della Lombardia, scritta da una giornalista che in quella regione ci vive. Ecco un estratto dell’articolo:
“Infine, e qui sta la questione più importante e drammatica, in Lombardia regna il caos. La gestione Fontana è una non gestione. Dovremmo urlarlo tutti i giorni in tutte le lingue. Dovremmo affacciarci al balcone non per cantare ma per urlare a Gallera e a Fontana di fare qualcosa di serio per arginare la malattia. Si aprono nuovi ospedali che si riempiranno in 5 minuti, ma non si fa quello che dall’epidemiologo al barista dell’autogrill avrebbe già deciso di fare in un paese serio: monitorare, mappare, isolare. In Lombardia, se non lo sapete ve lo dico io, siamo abbandonati a noi stessi. Non sapete e non sappiamo né il numero dei morti né il numero dei contagiati. Quei numeri lì snocciolati sulla Lombardia in conferenza stampa da Borrelli sono numeri di un’approssimazione sconcertante.
La gente sta morendo in casa senza mai aver avuto diagnosi, sta morendo negli ospizi e in certe cliniche private infilata in sacchi ancora in pigiama come da prassi senza che neppure sia stato fatto un tampone. Il numero dei contagiati in Lombardia non può essere calcolato semplicemente perché non si fanno tamponi neppure ai sintomatici gravi. Sintomatici gravi che non vengono dunque mappati, isolati, che non hanno neppure l’obbligo di stare in casa (ci si affida al buonsenso). Se hai tosse, febbre, congiuntivite, problemi respiratori ma non stai morendo, ti dicono di stare in casa e chiamare il medico di base, che ti dice di prendere la tachipirina. Nei casi più seri devi procurarti l’ossigeno. Fine. Questo vuol dire che contagerai il resto della famiglia. E magari un membro della famiglia che sembra stare bene esce, va a lavorare, va al supermercato. Ho amici, parenti, conoscenti che hanno chiamato il numero preposto per dire ho la febbre. Sto male. Sto molto male. È un terno al lotto.”
A conferma di come le cose in Lombardia siano tutt’altro che sotto controllo, segnaliamo questa lettera dei medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo inviata a una rivista del gruppo New England Journal of Medicine
Un breve estratto:
“Il nostro ospedale è altamente contaminato e siamo già oltre il punto del collasso: 300 letti su 900 sono occupati da malati di Covid-19. Più del 70% dei posti in terapia intensiva sono riservati ai malati gravi di Covid-19 che abbiano una ragionevole speranza di sopravvivere.
Noi ci auguriamo fortemente di non arrivare mai ai numeri registrati in Lombardia o nelle altre regioni del nord, ma se le cose non dovessero andare per il verso giusto sarà il caso di farci trovare preparati con procedure chiare che consentano di individuare e trattare nel modo migliore i diversi casi.
Probabilmente ce ne sono di cose che si possono mettere in campo ora per contribuire a diminuire i rischi di contagio. Di seguito, ad esempio, un suggerimento inviato via Twitter al presidente Zingaretti per sensibilizzare e proteggere al meglio gli individui a maggior rischio:
“Lei sa certamente che questo virus colpisce (dai dati..pochi…in ns. possesso) in maniera profondamente diversa in base a : sesso età patologie pregresse qui c’è tutto -> https://epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-sorveglianza-dati
ora, lei ha tutti i dati che le servono nelle segreterie dei presidi per, in base agli appuntamenti presi, comporre un indice di rischio pesato per: sesso, età, patologie pregresse. E se li dovrebbe trovare già in formato elettronico con numero di telefono vicino. Quindi poichè la Regione ha lanciato questa app http://regione.lazio.it/rl/coronavirus/scarica-app/ …
… con l’indice di rischio individuale alla mano, una cosa che richiede qualche ora di lavoro, manda un messaggino ai valori oltre una certa soglia e, con estrema gentilezza (e se fosse possibile l’anonimizzazione dell’intero processo meglio, non so se ci sia già un consenso o meno) li invita, con estrema chiarezza e cortesia, se lo fa un coetaneo meglio, a scaricare l’app quando possibile ed usare la massima cautela. Spiegandolo…spiegando che il virus data la loro età, sesso e storia clinica, li considera bersagli privilegiati. e da una bella botta alle prob. avverse nel Lazio.
Previene insomma…un tracing(per usare una parola che va di moda oggi) dolce. E si fa in qualche ora …le assicuro (ha i ZingaBoyz no? Li faccia lavorare). A proposito, Lei come sta?
(disclaimer-> sono iscritto ad @Azione_it @CarloCalenda)
Saluti”
Siamo sicuri che ce ne possono essere tanti altri di suggerimenti per migliorare la gestione dell’emergenza e rendere più efficaci le drastiche misure messe in atto.
Noi speriamo sinceramente che nelle settimane trascorse dall’inizio della crisi la Regione Lazio si sia dotata di un piano pandemico che non preveda solo il blocco totale di tutte le attività. Ci chiediamo però cosa si aspetti a cominciare ad utilizzare la tecnologia per individuare precocemente i possibili portatori del virus, proteggere meglio gli individui più a rischio, cominciare a fare un maggior numero di test e più mirati.
Intanto che il governo nazionale non si convince, perché la Regione Lazio non mette subito in campo qualche strategia un minimo più sofisticata?
Infine una semplice domanda: quando sarà possibile per tutti i cittadini della regione avere una dotazione minima di mascherine e disinfettanti liquidi, presidi indispensabili per ridurre le possibilità di contagio?