Commercio e artigianato: il Covid ha prodotto una strage. A Roma 1 su 5 fallisce

L'attenzione del Campidoglio è solo per i tavolini di ristoranti e bar. Ma quasi 27 mila negozi di vicinato, di cui non si occupa nessuno, non alzeranno le saracinesche

 

E’ quella che si può definire una strage silenziosa. E’ come se il Campidoglio non riuscisse ad ascoltare il grido di dolore che parte da migliaia di botteghe artigiane che sono state messe in ginocchio dal virus. La Raggi, l’assessore Cafarotti, il presidente Coia sembrano concentrati solo sulle attività di somministrazione.

Per loro consentire più tavolini sui marciapiedi equivale ad aver risolto il problema del commercio romano. In realtà c’è un mondo del quale non si occupa nessuno che sta morendo o in molti casi è già morto. E le conseguenze sul piano occupazionale saranno gravissime.

Secondo lo studio della Cna di Roma, nelle prossime settimane, quando il lockdown sarà ulteriormente allentato, 26.930 negozi resteranno chiusi. Per sempre!

Si tratta di parrucchieri, alimentari, negozi di abbigliamento, elettronica, ferramenta, piccoli e medi alberghi e certamente anche bar e ristoranti.  Un settore che in periodi normali vale il 10% del Pil romano, oltre 15 miliardi di euro. Di questi, circa la metà (per un giro di affari di 7,5 miliardi) sta per dichiarare fallimento e l’unica via per evitarlo è permettere una ripartenza rapida.

Secondo Stefano Di Niola, della Cna, stanno per fallire 390 gelaterie, 380 parrucchieri, 180 gioiellieri, 140 autoriparatori e ben 5mila tra ristoranti e bar che evidentemente non hanno tavolini all’esterno e che quindi non godono di alcuna agevolazione tra quelle previste dal Comune.

C’è poi il settore degli artigiani: 1.260 impiantisti e 1.400 ditte che si occupano di trasporto di persone e cose sono pronte a portare i libri in tribunale. Roma non aveva mai subito una crisi del genere dal 1946 ad oggi, si tratta quindi del colpo più duro che la nostra città potesse immaginare. Un tessuto economico già profondamente logorato da anni di concorrenza sleale da parte dei colossi di internet e di scarsa attenzione delle istituzioni.

 

Tutte le stime, anche le meno pessimiste, prevedono un esercito di 400mila disoccupati o cassaintegrati.

Certamente l’elasticità degli orari di apertura potrà aiutare ad allentare la morsa della crisi ma si tratta di provvedimenti del tutto insufficienti. La riapertura in sicurezza delle attività può e deve essere fatta. D’altronde non si riesce a capire perché supermercati, alimentari o negozi per bambini possono lavorare  mentre un negozio di scarpe deve restare chiuso. Se le regole di distanziamento e uso delle mascherine valgono per alcuni, devono valere per tutti. Il tema è nazionale e non è questa la sede per dibattere sul prolungamento del lockdown più severo d’Europa pur in presenza di città e regioni che hanno praticamente azzerato i contagi.

Ma il Campidoglio, dal canto suo, non può pensare di cavarsela con un aiuto mirato solo ad alcuni. Le misure che agevolano le attività di somministrazione che hanno tavolini all’aperto devono essere compensate con altri provvedimenti a favore del resto del commercio. Tra questi alcuni sono di sua diretta competenza, altri devono essere decisi dal governo centrale e Roma Capitale si può fare facilmente portatrice degli interessi dei propri cittadini presso il ministro Gualtieri e il premier Conte.

Solo per citare alcuni provvedimenti si dovrebbe prevedere l’esenzione dell’Imu sugli immobili strumentali allo svolgimento dell’attività, almeno fino a dicembre.
Pensare a un credito di imposta per le locazioni e affitti di rami d’azienda per  negozi, alberghi, terme, centri sportivi.
Spingere per una cassa integrazione in deroga per tutte le aziende del settore commercio/turismo alle quali non si applicano i normali ammortizzatori sociali.

Insomma occorre pensare a tutti, non solo ad alcuni. Altrimenti non è politica, è lobbying.

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2 risposte

  1. ma questo si inserisce nel solco dello storico disinteresse di questa amministrazione per il commercio di prossimità: non dimentichiamoci del menfreghismo dimostrato nel trattare con un occhio di riguardo il commercio ambulante a scapito di quello dei negozi. Non dimentichiamoci delle bancarelle che “oscurano” le vetrine dei negozi, che pagano 2 baiocchi di suolo pubblico, che vendono i prodotti della filiera del malaffare, che strabordano al di fuori degli ombrelloni (tanto le sanzioni non le pagano mai, e ci sarebbe da capire come fanno, visto che ai comuni mortali gli fanno il fermo amministrativo della macchina o del motorino. Questi invece non pagano niente, boh), che intralciano gli attraversamenti pedonali con i Ducato o i Transit a carbone e targati Cartagine mentre a noi chiedono le Euro 8……
    Può far sangue una rapa?

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