Umberto D: la povertà per la prima volta sul grande schermo. Un capolavoro del neorealismo

La pellicola di Vittorio De Sica ci riporta ai drammatici momenti che viviamo e vivremo per la crisi del Covid. Lo spettacolo di una Roma del dopoguerra, ancora da ricostruire

Umberto D è un film di Vittorio De Sica del 1952: considerata l’opera più significativa del neorealismo italiano. Racconta la storia semplice e nello stesso tempo feroce di Umberto Domenico Ferrari, ex funzionario ministeriale di sessant’anni caduto in disgrazia per la scarsa pensione di sole diciottomila lire. Con questa misera somma, conduce una vita di stenti insieme al suo cagnolino Flike. Non può permettersi una casa, vive in una pensione gestita da una dispotica padrona che tanto ricorda la vecchia di Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij. Quando l’arcigna signora deciderà di abbandonare l’attività e di chiudere la pensione, Umberto si ritroverà per strada alla ricerca di una soluzione. Sarà l’inizio di una discesa vertiginosa verso la disperazione, un lento susseguirsi di eventi drammatici che indurranno in Umberto il desiderio di suicidarsi.

 

Umberto D volle essere prima di tutto una denuncia sociale nei confronti dell’impoverimento della media borghesia messa alle strette dalle scelte politiche di allora (come ad esempio la riduzione delle pensioni). In questa prospettiva Vittorio De Sica insieme al suo amico e storico sceneggiatore Cesare Zavattini elaborarono una vicenda che doveva svilupparsi attraverso frammenti di vita quotidiana, “i fatti qualsiasi” come li chiamava Zavattini, che mettessero in risalto lo struggimento psicologico del protagonista. Vecchiaia, solitudine, indifferenza, dignità umana e difesa della rispettabilità: su questi perni ruota tutta la storia di Umberto D.

La pellicola è stata considerata l’esperimento più drastico e drammatico del neorealismo, la critica è infatti concorde nel sottolineare che non ci possa essere un altro neorealismo dopo Umberto D. Dunque, una sorta di testamento o meglio il canto del cigno di quella visione cinematografica che monopolizzò l’arte dai primi anni ’40 e che vide il suo trionfo in Ladri di biciclette del 1948, sempre di Vittorio De Sica e premiato con l’assegnazione dell’Oscar come miglior film straniero nel 1950.

De Sica volò negli Stati Uniti per far visionare in privato il film a Charlie Chaplin che già nel 1918 aveva interpretato in Vita da cani un ruolo simile a Umberto D, un vagabondo accompagnato solo dal suo fidato cane (da notare la somiglianza dei due cani, come a sottolineare un omaggio verso l’attore londinese).

Chaplin rassicurò De Sica sul suo film, dichiarandosi profondamente commosso dalla storia ma soprattutto dall’impatto visivo.

Una portata visiva che però non fu apprezzata dal pubblico che bocciò amaramente il film con incassi scarsissimi. Allo stesso tempo, si accese un vivace dibattito politico intorno al senso di produrre film che svilivano l’immagine dell’Italia all’estero. Il sottosegretario dell’allora Presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti, intervenne personalmente, definendo l’opera come un “pessimo servizio”, scrisse infatti su Libertà:

«Se è vero che il male si può combattere anche mettendone a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che, se nel mondo si sarà indotti – erroneamente – a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale».

L’intento di De Sica era mostrare la realtà senza compromessi sentimentali, senza vincoli o censure. Mise a segno un duro colpo contro le istituzioni che lo stavano osteggiando e rimarcò il suo stile anche provocatorio, destinato a influenzare intere generazioni.

Film di questa portata dovrebbero far riscoprire il senso della dignità, indurre lo spettatore a pensare che dietro ogni persona che chiede l’elemosina vi è una storia di sofferenza, una lotta violenta fatta di pudore e rispettabilità. La scena in cui Umberto D stende per la prima volta la mano per chiedere l’elemosina è uno schiaffo in pieno volto, che risveglia i sensi di chi guarda. Se De Sica sigillò per sempre il neorealismo su un’Italia che si lanciò nel pieno progresso del dopoguerra, oggi, quando si entrerà nell’economia da post epidemia, i registi saranno chiamati a lanciare un “nuovo neorealismo” risvegliando lo stesso spirito di solidarietà verso l’indifferenza, per rimarcare, come fece la penna di Zavattini, che la vita anche se dura riserva sempre qualche speranza.

Note:

  • Nel film alcune scene vennero girate in una magnifica piazza della Rotonda di fronte il colonnato del Pantheon.
  •  Sono da considerarsi testimonianze storiche di una Roma svanita: la fermata dell’autobus a ridosso dell’elefantino di Bernini in piazza della Minerva e il capolinea della corriera a pochi metri dal Pantheon.
  • Il protagonista del film venne interpretato da Carlo Battisti, un famoso professore di glottologia dell’università di Firenze. Umberto D fu la sua prima e ultima esperienza cinematografica.
  • Il film è stato inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare.
  • Il titolo è un omaggio al padre di De Sica che si chiamava appunto Umberto.

Trama:

L’anziano Umberto Domenico Ferrari, accompagnato dal suo fedele cane Flike, cerca di sopravvivere con la scarsa pensione che percepisce. Combatte ogni giorno con la padrona della sua stanza nel tentativo di non farsi sfrattare. Cercherà in ogni modo di racimolare dei soldi per saldare gli affitti arretrati, con scarsi risultati. Quando la signora deciderà di metterlo alla porta per Umberto rimarrà solo la strada e un’ultima drammatica soluzione…

 

Il film è disponibile gratuitamente sulla piattaforma online di YouTube.

 

 

 

 

 

 

 

 


Le precedenti puntate della rubrica “Roma vista dal cinema. Un film per la quarantena”

 

Trilogia di Luigi Magni: In nome del Papa Re, Nell’anno del Signore, In nome del Popolo Sovrano

Il marchese del Grillo e Il Conte Tacchia di Mario Monicelli e Sergio Corbucci

Stazione Termini di Vittorio De Sica

To Rome with Love di Woody Allen

Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini

Avanti c’è posto con Aldo Fabrizi

Caterina va in città di Paolo Virzì

 

 

 

 

 

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