Negli ultimi 20 anni si è andata affermando una visione del mondo che impone la casa come uno status symbol. In maniera vertiginosa sono esplose delle vere e proprie manie che sono sfociate in lavori e mestieri, dagli interior design, agli house blogger, ai consulenti di arredo, gli home stylist, ognuno ha qualcosa da dire, da consigliare. Cavalcano le mode, invitano le persone a emulare, tutto all’insegna del grande sogno di avere una casa bella, moderna e opulenta.
Bisogna saper utilizzare bene gli ambienti, i colori, i materiali, chi può permetterselo può puntare al lusso, al comfort sotto ogni punto di vista, e dunque la casa non racconta più la storia individuale di chi la vive ma rispecchia il modo in cui gli altri vorrebbero la loro. Un ribaltamento pericoloso che è andato ormai fuori controllo. Non è importante viverla ma è importante mostrarla.
Con la crisi finanziaria del 2008, nata appunto dai mutui subprimes legati al sogno americano di possedere una casa, qualcosa si è incrinato. Da una parte il mercato della moda e dell’affermazione dello status symbol ha continuato a prosperare, dall’altra vi è un numero enorme di persone che non possono più permettersi un’abitazione e soffrono continuamente la condizione di non poter mostrare una bella casa con tutti i comfort che vorrebbero.
La nuova crisi economica legata al Coronavirus getterà ancor più benzina su questo sconforto. Molte case rimarranno disabitate, e questo perché non vi è ancora un contratto sociale con lo Stato che permetta ai più indigenti di poter vivere tranquillamente in una propria abitazione.
Solo per indicare un dato locale, a Roma vi sono centinaia di immobili completamente abbandonati, 2600 famiglie in emergenza abitativa con un reddito al di sotto della soglia minima per accedere alla casa popolare, 57 mila famiglie a rischio emergenza. Di contro 37 mila abitazioni inutilizzate, 1177 occupazioni, con una media di circa 6 mila sfratti annui per “morosità incolpevole”, ovvero persone che non hanno alternative all’occupazione.
A denunciare la difficile realtà dell’abitare, oltre a giornali e reportage, si è affermato un filone cinematografico, che dalla fine degli anni 90 tende a mostrare questo spaccato della società, come un novello movimento neorealista. Una corrente artistica florida soprattutto in Asia dove il problema “abitazione” è sempre stato visto come un’emergenza da non sottovalutare. In questo fine settimana vogliamo consigliarvi tre film molto interessanti, che mettono in luce la portata della casa come status symbol e i propri drammatici risvolti di questa percezione.
Il primo si intitola Ferro 3, la casa vuota. Una vera e propria perla del 2004 diretta dal coreano Kim Ki-duk. Narra la storia di un ragazzo (il cui nome non verrà mai pronunciato) senza fissa dimora che ha come abitudine quella di introdursi nelle case altrui e viverci come se ne fosse il padrone. In segno di riconoscenza, cura la casa, innaffia le piante, lava i piatti sporchi, ripara oggetti rotti e all’arrivo dei proprietari si dissolve nel nulla. Un giorno, il giovane vagabondo, si introduce in una casa lussuosa dove non si accorge, in un primo momento, della presenza della padrona. Seguendola di nascosto scoprirà una dura verità di quella famiglia e decide così di restare al fianco della ragazza. Il giovane si muoverà in quella casa come un fantasma alle spalle dei proprietari fino a innamorarsi della donna. Sarà per loro un inseguimento amoroso, come due ombre che si cercano e si trovano sui muri dell’abitazione.
Afferma Kim Ki-duk sulla sua arte di narrare: «L’odio di cui parlo non è rivolto specificatamente contro nessuno, è quella sensazione che provo quando vivo la mia vita e vedo cose che non riesco a capire. Per questo faccio film: tentare di comprendere l’incomprensibile».
Il secondo è il capolavoro del coreano Bong Joon-ho, Parasite. Film del 2019 che ha sbancato nella serata degli oscar con ben quattro statuette, tra cui quella per il “miglior film”. È la storia di una famiglia che vive con il sussidio di disoccupazione, in un piccolo e sudicio seminterrato nei bassifondi della città. Il figlio più giovane riesce a farsi assumere da una facoltosa famiglia come insegnante privato della loro figlia. Lentamente, attraverso menzogne e raggiri, il ragazzo sarà in grado di far assumere anche i genitori e la sorella nelle mansioni più disparate. Inizia a questo punto una macabra mobilità sociale verso l’alto con un unico scopo: vivere il più possibile nella lussuosa villa. Quando sembra che il loro diabolico piano sia arrivato a compimento scoprono che non sono gli unici a voler vivere in quella casa alle spalle dei proprietari. Un ritratto incredibile della società contemporanea che il regista è riuscito a trasporre con naturalezza sul grande schermo.
Il terzo è un film spagnolo dei fratelli Pastor, David e Alex, intitolato Dov’è la tua casa (titolo originale inglese The Occupant), rilasciato esclusivamente su Netflix il 25 marzo 2020. La vicenda ruota attorno a un uomo di successo, con una bella famiglia, una bella casa e una bella macchina, tutto sembra girare alla perfezione, ma quando il protagonista perde il proprio lavoro per dei tagli al personale si ritrova a dover far fronte alle ingenti spese della sua vita. Inizia con il sacrificare proprio la casa, trasferendosi in un piccolo bilocale di periferia. Dal giorno del trasloco, l’uomo non riuscirà più a riprendersi e sosterà tutti i giorni di fronte la sua vecchia abitazione, comprata intanto da un’altra famiglia benestante. Avendo conservato una copia delle chiavi, decide di entrare nel vecchio appartamento quando questo è disabitato. Inizierà a vivere nella sua mente la sua vecchia vita, con un unico pensiero fisso: riprendersi ciò che aveva perso. I nuovi proprietari non sanno minimamente cosa si stia celando nella loro abitazione.
Quest’ultimo film si discosta dai primi due in quanto tende a una visione thriller della vicenda, mentre le pellicole coreane mantengono le caratteristiche romantiche e oniriche del cinema asiatico. Il filo comune che li lega è, come detto nell’introduzione, la vita all’interno della casa e quindi di come questo influisca sulla percezione del benessere. Ma nello stesso tempo denunciano una questione molto più sottile ovvero quella legata alla mobilità sociale. In Ferro 3 nulla sappiamo della vita del protagonista anche se è molto affine ai “parassiti” di Parasite.
Resta, comunque, la questione legata alla convinzione che una casa spoglia di comfort e mobilio trend da mostrare sia priva di una storia da raccontare, quando in realtà sono le persone, nella loro unicità, a incidere profondamente gli spazi con i loro vissuti, i loro dolori e le loro rivalse verso una società che continua ad escluderli attraverso gli status symbol.
Tutti i film indicati sono disponibili on demand sulle diverse piattaforme online.
P.S.: volendo riderci su, aggiungiamo un quarto film! Vi segnaliamo anche la commedia, del 1983, di Pier Francesco Pignotore, Sfrattato cerca casa equo canone, con Pippo Franco, Enzo Cannavale e Anna Mazzamauro. Un ritratto grottesco di un’Italia anni 80 dove tutti, ma proprio tutti, erano alla ricerca di una casa con uno sfratto sul groppone, e a Roma il nuovo complesso residenziale-popolare di Corviale era la chimera di una nuova vita.