Inauguriamo una nuova variante della rubrica “Città in rovina”, iniziando ad occuparci degli stabili, normalmente di proprietà pubblica o di enti pubblici, lasciati andare in rovina perché occupati illegalmente.
Quello delle occupazioni illegali è un malcostume molto diffuso a Roma e riguarda qualche decina di stabili di proprietà del Comune, della Regione e di enti previdenziali. La motivazione alla base di tutte queste occupazioni è la cosiddetta “emergenza abitativa”, ossia il fatto che a Roma sarebbe difficile trovare abitazioni a prezzi ragionevoli o comunque abbordabili per chi abbia poche risorse. Per esigenze del genere dovrebbero esserci le case popolari, quelle gestite dall’ATER, ma apparentemente queste non sono in numero sufficiente e la loro gestione è tutt’altro che efficace e trasparente, essendo risaputi innumerevoli casi di persone che occupano alloggi popolari senza averne diritto (e la cronaca di questi giorni ha appena dato conferma di ciò, nel caso ci fossero dubbi), con le liste d’attesa degli aventi diritto a decantare inutilmente.
In realtà il problema principale a Roma è probabilmente il mercato degli affitti praticamente bloccato, con i proprietari degli appartamenti che spesso preferiscono tenerli liberi pur di non rischiare problemi con gli inquilini, ben sapendo di non poter contare su una giustizia minimamente affidabile per veder riconosciute le proprie ragioni. Se invece si riuscissero a garantire i legittimi diritti del proprietario, pur continuando a riconoscere quelli dell’inquilino, sul mercato tornerebbero probabilmente una gran quantità di immobili e i prezzi scenderebbero naturalmente, offrendo possibilità per tutte le tasche.
Va anche considerato che il valore degli affitti dipende dalla localizzazione degli immobili, con prezzi decrescenti man mano che ci si allontana dal centro cittadino, fino ad arrivare a valore molto bassi, alla portata di chiunque, nei sobborghi o nei paesini che circondano Roma, dove è la norma vivere gravitando sulla città per il lavoro. Ma evidentemente c’è una corrente di pensiero molto diffusa per cui qualcuno avrebbe un diritto divino ad abitare a Roma, a prescindere dal poterselo permettere; e quello che stupisce è che sempre più spesso un tale diritto parrebbero averlo molti stranieri appena giunti in città, gente che evidentemente vivrebbe il pendolarismo come un’umiliazione (mentre per decine se non centinaia di migliaia di cittadini è la norma).
Di nuovo quindi ci troviamo di fronte a problemi ingarbugliati e stratificati negli anni, con le ragioni ed i torti che stanno un po’ da tutte le parti e l’unico risultato che sono sempre i più forti e prepotenti a primeggiare.
Passando allo stabile di cui vogliamo occuparci, esso è l’ex sede centrale dell’INPDAP, sito all’incrocio tra via S. Croce in Gerusalemme e via Statilia.
Fino al 2012 lo stabile ha accolto dirigenti e dipendenti INPDAD che poi sono stati tutti trasferiti in altra sede, mentre esso è confluito nel Fondo Immobili Pubblici in previsione della sua vendita.
Una volta liberato dagli uffici, nello stabile sono stati rimossi tutti gli impianti e parzialmente murate le entrate, il tutto per evitare che venisse occupato. Ma la cosa non ha funzionato e, dopo brevi occupazioni simboliche, nell’ottobre 2013 è stato preso in possesso da quelli di Action che hanno curato nella struttura la sistemazione di un centinaio di famiglie, molte di origine straniera.
Nei grandi spazi dell’immobile è stato anche creato un Cantiere di Rigenerazione Urbana, chiamato SpinTime Labs, pensato per “progettare e produrre un nuovo modello di sviluppo e di relazioni sociali”.
Immaginiamo che non sia un vivere facile quello all’interno della struttura, con ambienti pensati per uffici riadattati ad unità abitative. Ci chiediamo anche chi paghi le bollette elettriche e dell’acqua per gli occupanti, immaginando già quale sia la risposta. Inoltre c’è da credere che gli occupanti non possano permettersi lavori di manutenzione all’immobile, o quantomeno eviteranno di investire soldi su una proprietà che potrebbe essergli tolta da un giorno all’altro, per cui necessariamente la struttura andrà incontro ad un disfacimento continuo, fino a divenire inagibile (ammesso che già non lo sia ora).
Apparentemente l’occupazione è molto ordinata, a parte alcuni segni di degrado e le immancabili scritte sui muri (che però ormai sono una costante su tutti i palazzi romani), e probabilmente non sta creando problemi particolari nel quartiere. C’è sempre da tener conto però che si tratta di una situazione al di fuori della legalità, con un numero imprecisato di persone che vivono ed operano senza che le istituzioni e le forze dell’ordine abbiano i normali strumenti di controllo previsti per tutti i cittadini. Basti considerare l’impossibilità di verificare che le norme igieniche minime vengano rispettate per rendersi conto dei rischi che necessariamente corrono tutti coloro che abitano nei pressi dello stabile e che sono costretti a convivere con una presenza così ingombrante ed anomala.
Insomma una situazione insostenibile che dovrebbe essere ricondotta entro le norme della civile convivenza a brevissimo ma che apparentemente sta per festeggiare il secondo anno di occupazione.
Riguardo alle possibili soluzioni, noi non vediamo altro che la restituzione dell’immobile alla proprietà ed un suo riutilizzo per gli scopi previsti, siano pure essi l’alienazione per fare cassa (i cui proventi non andrebbero in tasca a qualche fortunato ma sarebbero rimessi a disposizione della collettività, pur nell’immenso calderone del bilancio statale).
Per chi vive ora nella struttura possiamo solo pensare allo stesso percorso che normalmente fa la stragrande maggioranza dei cittadini a Roma, siano essi italiani o stranieri, ossia trovarsi un alloggio sulla base delle proprie possibilità, quand’anche questo voglia dire andare a vivere in estrema periferia o in un paesino ad un’ora dalla città. Perché, lo si creda o no, questa è la realtà per la maggioranza delle persone.
Non vogliamo qui imbarcarci in una discussione, necessariamente complessa, su cosa voglia dire “diritto alla casa”. Senza dubbio le istituzioni devono creare le condizioni perché chiunque abbia la possibilità di trovarsi un alloggio dignitoso al prezzo che può permettersi e probabilmente vanno previsti anche sostegni particolari per chi si trovasse in difficoltà impreviste e temporanee. Quello che troviamo inaccettabile è l’idea che qualcuno più intraprendente (e prepotente) si impossessi di beni pubblici sottraendoli alla collettività e ne pretenda l’uso sine die, mentre la maggioranza silenziosa dei cittadini si dibatte mensilmente con mutui, bollette e tasse sulla proprietà. Non sono stupidi questi ultimi, sono solo cittadini che fanno il loro normalissimo dovere.
Le precedenti puntate di Città in rovina:
- la Casa del Passeggero
- la rimessa Atac di pzza Adis Abeba
- l’ex ospedale San Giacomo
- il Palazzo sull’Arco di Giano
- l‘ex Cinema Puccini
- Palazzo Rivaldi al Tempio della Pace
- Villa York
- L’ufficio Geologico
- La vecchia Stazione Trastevere
- A piazza della Cancelleria
- L’ex rimessa Atac di Piazza Ragusa
- La Sala Troisi
Una risposta
Preciso che lo Spin Time Labs è divenuto una discoteca e ristopub a tutti gli effetti. Alla faccia di chi paga le tasse ed è in regola con la normativa giuridica vigente.