Rilanciare Roma è possibile: pluralismo e nuova governance

Francesco Rutelli esalta la bellezza e la storia di Roma, invitando i giovani a cambiare la Capitale. Francesco Delzio indica alcune linee da seguire... due libri a confronto

Nella nostra seconda puntata “a due libri” vi proponiamo un raffronto tra due testi sostanzialmente agli antipodi, vuoi per la formazione e la storia degli autori vuoi per i diversi temi trattati.

Il primo libro si intitola Tutte le strade partono da Roma (Editori Laterza) dell’ex sindaco Francesco Rutelli, che di certo non ha bisogno di presentazioni.

Il volume viene magistralmente sintetizzato fin dal titolo scelto. Leggendolo, si ha la netta sensazione che l’intento dell’autore non sia tanto mostrare l’operato del sindaco durante il suo mandato ma quanto in realtà Roma abbia condizionato, e condizioni tutt’ora, la vita personale e politica, prima del giovane Rutelli, quello scanzonato che perlustra in moto le trasformazioni della Capitale, negli anni ‘70, poi del Rutelli maturo, dalle lotte radicali fino all’ascesa in Campidoglio e il traghettamento della città verso un appuntamento unico e irripetibile, il Giubileo del 2000.

Il fil rouge è sempre lo stesso: l’innegabile bellezza di Roma, il suo passato, le “stratificazioni storiche” e i suoi paradossi pongono la città al centro del Mediterraneo, dell’Italia e d’Europa. Chiunque si affacci in questa città con l’intento di amministrarla o di governarla dovrà scontrarsi con un’identità di quasi 3 mila anni.

Perché questa “piazza del mondo”, questo “teatro della storia” ha una struttura che va oltre il tempo. Una città che irradia tutto dal suo centro, amori, passioni, ambizioni, elevatezza, crimini ed errori umani, con una tale forza da soggiogare tutti, compreso lo stesso Rutelli, che sembra non poter fare a meno di elogiare la città che tanto ama.

Il libro non vuole essere un manifesto politico né tanto meno un testamento, non ha intenzione di dettare future agende di governo. Di certo non mancano alcuni moniti all’amministrazione attuale, così come ad altre amministrazioni, anche se quello che preme ribadire all’ex sindaco è il senso di amore che si deve provare per la città e per la Capitale che con i suoi 150 anni si pone agli occhi del mondo come una fantastica giovane ragazza, ammaliatrice, ma dal passato tremendamente turbolento.

Questa constatazione ci permette di introdurre il secondo libro intitolato Liberare Roma. Come ricostruire il “sogno” della città eterna (edito da Rubbettino) di Francesco Delzio. Manager, editorialista e insegnante presso la Luiss Guido Carli, il suo approccio è estremamente diverso rispetto a quello di Rutelli.

In poco più di 100 pagine, Delzio affronta ed espone alcune delle tante criticità che hanno paralizzato la città, cercando di disegnare una via di fuga da questa terribile impasse. Esiste un “sogno” di Roma? O meglio, esiste la possibilità che Roma si possa liberare dai propri errori e lanciarsi in un sogno ad occhi aperti?

Nel 2020 la pandemia ha dato l’ultima spallata ad una città profondamente in crisi. Un virus che si è insediato in un corpo in coma da più di 10 anni.

I dati, esposti da Delzio, non lasciano troppo spazio alle speculazioni. Dopo il Giubileo, la Capitale era una città florida e in crescita, il centro e la provincia crescevano più dell’1% rispetto alla media nazionale, dal 2001 al 2004 gli occupati aumentavano del 10% (+3,7% rispetto al resto del Paese) e nel 2005 vi erano più di 200 mila aziende attive. La stampa estera dedicò grande attenzione a questo fenomeno, definito il “nuovo Rinascimento di Roma”.  Dati che continuarono a crescere fino al 2008, anno in cui i primi segni di cedimento iniziarono ad affacciarsi.

In soli 8 anni il sistema di crescita romano si è totalmente polverizzato: -13% di società quotate in borsa; il 96% delle aziende conta meno di 9 dipendenti. Di contro iniziarono ad esplodere le microimprese, +30% di ambulanti, +150% di affittacamere. Roma affrontò la crisi dal 2008 al 2016 riconvertendo totalmente la sua economia in un mercato low cost; questo le permise di sopravvivere ma pagando un costo altissimo, ovvero l’impoverimento dei ceti medi, l’avanzamento prepotente della disoccupazione e del precariato, lo svuotamento del centro storico da residenti e grandi aziende, con l’allontanamento totale delle attrattive per i capitali. La periferia si è totalmente scollegata dal suo centro perdendo ogni tipo di identità collettiva. Una “Roma in rovina” come titolò nel dicembre 2018 un reportage del New York Times.

Le colpe sono tante e ricadono in primis sulla pessima visione politica che si è avuta della Capitale: come si può governare una metropoli da 3 milioni di cittadini disponendo di leggi e poteri sufficienti ad amministrare un comune di 3 mila persone?

Questa è la domanda delle domande che in parte sintetizza il libro di Delzio: dove sono i poteri speciali di cui dovrebbe disporre Roma? Come può un sindaco governare una capitale se i suoi poteri sono pari a quelli di un amministratore di condominio?

 In assenza di libertà decisionali, la crisi è stata affrontata con molta superficialità, questo ha rafforzato un altro pericoloso virus che si insinua nel corpo in coma: ricorrere al pachiderma della burocrazia, assoldando un esercito di dipendenti pubblici che avrebbe dovuto salvare la città ma che, invece, ha finito per affossarla, decidendo di amministrare invece di governare. E i cittadini hanno permesso che tutto ciò avvenisse, convinti che l’amministrazione ordinaria fosse il volano da cui dover ripartire.

Al 31 dicembre 2018 il comune disponeva di 23 mila dipendenti, a cui se ne sono aggiunti altri 6 mila tra il 2016 e il 2020. Un “esercito con età media molto elevata perché pari a quasi 53 anni, superiore di 2 anni all’età media dei dipendenti pubblici a livello nazionale, e poco qualificato poiché solo il 27,9% dei dipendenti capitolini di ruolo è laureato”. Se a questi dati volessimo aggiungere i dipendenti delle società municipalizzate toccheremmo la vertiginosa cifra di 50 mila unità.

Da questa cittadella burocratica i giovani sono scappati: solo il 5% della popolazione ha tra i 18 e i 30 anni, e il 9,5% ha tra i 31 e i 35 anni. Sono andati all’estero, o in città in forte crescita come Milano, dove i ragazzi tra i 18 e i 30 anni sono aumentati quasi del 15%. È dunque questa l’urgente “questione romana”, che andrebbe affrontata al più presto con il piglio di una vera e propria emergenza nazionale.

Le seconda e terza parte del libro presentano degli spunti interessanti con l’intento di stimolare un dibattito per risvegliare e rimettere in moto la città.

La successione dei titoli dei capitoli rende l’idea del programma che espone Delzio:

  • Roma può rinascere? Solo con il “modello Albertini”
  • La carica dei 100 (manager)
  • Orizzonte 2030: 10 idee per la rinascita
  • “Welcome to Rome”: un’agenzia per attrarre dal mondo investimenti e idee di business
  • La sussidiarietà dello sviluppo: i nuovi poli per la rinascita delle periferie

Sono solo alcuni dei titoli che ricordano al lettore che finora si è persa la battaglia, ma non la guerra, perché proprio come scrive Rutelli nelle sue pagine, Roma esiste e resiste al di là di Roma stessa.

Così il corpo in coma inizia a lanciare alcuni segni di risveglio, mettendo in mostra i suoi muscoli.

Negli ultimi anni i romani hanno esibito un grande dinamismo nel riappropriarsi dei propri spazi, cercando di lasciarsi alle spalle l’onta di una città parassitaria e sonnolenta. Delzio ci ricorda come la Capitale sia al secondo posto, in Italia, per numero di startup innovative. A fine maggio 2020 ne ospitava 1.129, seconda dopo Milano. La vocazione di queste imprese è nettamente digitale e green. 30 mila imprese hanno investito in prodotti e tecnologie verdi (31 mila quelle milanesi). Sono dati confortanti, che disegnano un nuovo orizzonte sia per la collettività sia per un nuovo approccio di governance.


La futura amministrazione dovrà, per forza di cose, tornare ad un’ampia visione governativa
(dettata dalla ricostruzione post Covid, dove l’agenda green non potrà più essere marginale), sponsorizzare e accogliere i grandi eventi, garantire un nuovo welfare per affievolire le divisioni sociali in città, combattere la povertà e la disoccupazione, rilanciare il “prodotto Roma” come Capitale della Scienza e della cultura (dall’ospitare un nuovo Politecnico all’accogliere le sedi di grandi organizzazioni), potenziare i servizi pubblici, rendendoli finalmente meritevoli del loro nome, e rilanciare un nuovo spirito di appartenenza.

Il primo passo sarà quello di aprire una fase costituente per garantire i giusti poteri nel “decennio romano”, ovvero per arrivare ad un’ipotetica battaglia finale che potrà permettere ai cittadini di abbandonare le vecchie rendite, per lanciarsi e misurarsi con nuove opportunità e cambiamenti.

Dunque, ha ragione Rutelli quando scrive che la Capitale si è sempre trovata al bivio tra un autocompiacersi e un proiettarsi in qualcosa di nuovo. Ma la chiave politica che ha reso la città realmente eterna, resta e resterà sempre la stessa: il pluralismo e l’accoglienza.

Roma è di tutti, “città aperta” per antonomasia, patria comune ai forestieri, che da sempre si sentono romani più dei romani stessi, perché vivono la città con il giusto distacco, godono delle sue bellezze, ne vedono le storture, vogliono cambiarla e sperano oltre e contro la speranza stessa, perché questa, come ricorda l’ex sindaco, citando Václav Havel, “non è ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che una cosa, in ogni caso, ha senso”, soprattutto a Roma dove la storia che si forma è destinata a non finire.

Buona lettura!!

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