Il presidente della Regione Zingaretti e l’assessore alla Sanità del Lazio, D’Amato, si riempiono la bocca dei grandi successi della campagna vaccinale. Non c’è stata occasione pubblica nella quale non abbiano mostrato vanagloria per aver raggiunto somministrazioni anti Covid più alte della media nazionale. E con questo sembrano aver fatto il loro dovere per la salute dei cittadini. Ma le cose non stanno affatto così e una stampa seria dovrebbe accorgersene, invece di ripetere a cantilena le autocelebrazioni degli amministratori. D’Amato in particolare si sforza molto ad apparire come il bravo assessore anti pandemia perché si candida a succedere a Zingaretti alla presidenza della Regione.
Eppure basta guardarsi intorno, chiedere a parenti o amici che hanno avuto a che fare con il Sistema Sanitario Regionale negli ultimi 6/8 mesi per scoprire una serie di inefficienze che mai si erano verificate prima. Possiamo affermare senza rischio di essere smentiti, che la sanità del Lazio sta collassando. Prima della pandemia, era possibile recarsi in un ospedale e fare delle analisi cliniche in giornata, semplicemente pagando il ticket. Adesso è impossibile. Provate ad andare al Sandro Pertini o al San Giovanni Addolorata per un prelievo. Verrete rimandati alle calende greche oltre al fatto che le aperture pomeridiane non sono più disponibili. Ed è l’esatto contrario di quello che Zingaretti e D’Amato avevano affermato pochi mesi fa, quando sostenevano di voler aprire gli ambulatori fino a sera per smaltire le liste d’attesa.
Sono proprio le liste d’attesa ad essere un totale disastro. La propaganda regionale parla di una sanità risanata con i conti in ordine. Ma l’esperienza sul campo mostra una debacle con il 2023 totalmente prenotato per tac, risonanze, interventi ambulatoriali, colonoscopie, ecodoppler. Non è un refuso, abbiamo scritto 2023 perché il 2022 neanche a parlarne è già al completo da tempo.
Vediamo allora qualche numero che smonta lo storytelling della buona sanità sol perché sono stati fatti tanti vaccini (argomento sul quale si potrebbe aprire una lunga discussione, ma meglio lasciar perdere per non venir marchiati da una qualche bolla di no vax).
Fino a luglio del 2021 la Regione stessa sul proprio sito web, mostrava con differenti colori la situazione delle attese per gli esami più comuni. Dopo l’attacco informatico che paralizzò il sistema per alcuni giorni, il monitoraggio è scomparso ed è ripreso in queste ultime settimane. Secondo l’auto analisi della Regione, la gran parte delle prestazioni rientra nella categoria gialla, cioè un tempo di attesa ritenuto eccessivo tra il 50 e il 90% dei casi. Cambia molto a seconda della tipologia di prestazione, con per esempio una risonanza dell’addome con mezzo di contrasto che nel 50/60% dei casi supera il tempo di attesa ritenuto accettabile.
Vi sono esami come la risonanza muscoloscheletrica che hanno quasi sempre tempi di attesa non accettabili (catalogati in rosso) e altre, come la polipectomia endoscopica dell’intestino che invece nel 100% dei casi vengono effettuate in tempi corretti (di colore verde). Come si vede dall’estratto della tabella qui sotto, il colore dominante è il giallo e non è affatto un buon segno. Anche l’app introdotta dalla metà di aprile in via sperimentale per prenotare on line sembra non funzionare a dovere.
Il Meridiano Sanità Index dello Studio Ambrosetti valuta ogni anno i risultati dei sistemi sanitari in base ad una serie di indicatori tra i quali la durata delle liste d’attesa. E il Lazio si piazza nella coda della classifica.
Secondo il consigliere regionale Giuseppe Simeone “per effettuare una tac, una pet, una moc, visite oncologiche, pap test, mammografie e visite dermatologiche occorrono tempi biblici. Per non parlare degli interventi chirurgici programmati come una cataratta che richiede almeno un anno“.
Altra grave questione riguarda i posti letto negli ospedali, con centinaia di pazienti che ogni giorno non riescono ad essere ricoverati. Il picco si è raggiunto alla fine di aprile quando in attesa in un solo giorno c’erano 900 malati. Ma la media si aggira quotidianamente sui 500. Qualche esempio: all’Umberto I in una giornata hanno richiesto il ricovero 161 pazienti e 104 sono rimasti fuori. Al San Camillo 110 malati di cui 49 non hanno trovato posto. 100 al Sandro Pertini che ne ha rifiutati 46. “Le ambulanze restano cariche di malati e si fermano davanti agli ospedali“, spiegano in una nota Stefano Barone e Alessandro Saulini segretario provinciale del Nursind e segretario dell’Ares 118 Nursind. “Passato il picco pandemico speravamo di non vedere più affollamenti nei pronto soccorso, ma così non è stato“, scrivono sconsolati i due sindacalisti.
I malati vengono piazzati sulle barelle e restano in attesa anche due giorni, senza che la situazione accenni a migliorare.
Il disastro viene da lontano e il Covid non ha fatto altro che accelerare un processo degenerativo già in corso. La politica scellerata che si è fatta col numero chiuso nelle facoltà di medicina ha portato ad una carenza cronica di specialisti. Oggi trovare un chirurgo, un anestesista, un cardiologo è impossibile. La carenza di personale è il primo problema da risolvere ma non si potrà fare in fretta proprio perché non sono disponibili sul mercato. E’ un processo lungo che va avviato subito incentivando l’iscrizione alle facoltà mediche.
Il presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, Antonio Magi, suggerisce nel frattempo di portare a 38 ore settimanali di lavoro i 1.500 specialisti ambulatoriali interni del Lazio che oggi sono occupati solo 20 ore a settimana e non si capisce perché. Con l’aumento di orario si potrebbero aggiungere quasi 6 milioni di esami l’anno.
Altra soluzione indicata proprio da Zingaretti ma mai attuata (in perfetto stile del presidente) è tenere aperti gli ambulatori per due o tre giorni a settimana fino alle 22.00. Ma ovviamente senza personale non si può fare e medici non ce ne sono. Sarebbe il caso che il ministro Speranza si occupasse a fondo della questione invece di ripetere ossessivamente il leitmotiv dell’Italia paese modello che ha combattuto il Covid. In primo luogo perché non è vero e l’Italia è stata una delle nazioni che ha fatto peggio in termini di morti da coronavirus (seconda al mondo per contagi e quarta al mondo per decessi). E in secondo luogo perché malattie e pazienti non sono cominciati col Covid e la cura per loro non può essere né il marketing, né le dichiarazioni inutili.
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