L’accordo firmato nei giorni scorsi tra la premier Meloni e il presidente della Regione Rocca (chiamato “accordo di coesione“) porta molti soldi nelle casse del Lazio. Finanziamenti che vanno impiegati entro la metà del 2029, altrimenti andranno perduti. Tra questi spiccano 85,6 milioni di euro destinati a completare quel cantiere perenne che è il cosiddetto “nodo Flaminio”. I romani lo conoscono come un buco profondo a ridosso di Villa Borghese che fu aperto nel 2015 per poi restare in abbandono per anni.
Un lungo contenzioso tra Atac e Regione Lazio portò al blocco dei lavori. In questi anni più di una volta la politica ha annunciato il riavvio del cantiere, fornendo date per lo più illusorie sul primo passeggero che avrebbe potuto sfruttare la nuova stazione. Anche diarioromano ne aveva dato conto ascoltando le chimere provenienti dai vari assessorati comunali e regionali (in fondo trovate alcuni degli articoli che abbiamo dedicato alla vicenda).
Il problema non sono mai stati i soldi ma la lite tra Atac e la Regione che ha portato a scambi di accuse, lettere legali e procedimenti giudiziari fino a che l’ex giunta Zingaretti decise di avocare a sé la gestione dell’opera, affidandola ad Astral e revocando il mandato di Atac. Si pensava che quella sarebbe stata la svolta, tanto che a maggio del 2020, nonostante la pandemia, il cantiere riprese timidamente e Zingaretti parlò di fine lavori per l’autunno del 2022. Ma anche quella promessa si concluse con un nulla di fatto e i passeggeri ancora aspettano la nuova stazione.
Si tratta di un’opera fondamentale per rendere più efficiente la Roma-Viterbo che fa capolinea proprio a piazzale Flaminio. Qui i binari sono solo due perché le esigenze dei primi del ‘900 – quando la linea fu realizzata – erano soddisfatte da un solo convoglio in partenza e uno in arrivo. L’afflusso di pendolari che è cresciuto costantemente negli ultimi decenni richiede almeno un raddoppio dei treni, con due mezzi sulla banchina di arrivo e due su quella di partenza. Ma non ci sono gli spazi sufficienti, ecco perché già nel 2007 si pensò di scavare nella zona circostante e realizzare una stazione molto più grande. Inoltre lo scavo avrebbe consentito ai passeggeri di raggiungere direttamente la linea A della metro senza dover uscire su piazzale Flaminio, attraversare le oscene bancarelle e ridiscendere alla fermata della A. Insomma un miglioramento fondamentale che cambierebbe la vita ai pendolari.
Si tratta di circa 70 mila persone che quotidianamente usano questo treno e che sono esasperate. Hanno costituito un agguerrito comitato che cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni nelle quali sono costretti a muoversi. Arrivare a casa o al lavoro in orario è quasi impossibile e anche altre tratte per cui era stato promesso il raddoppio non vengono appaltate (il moncone tra Riano e Morlupo, circa 5km fu aggiudicato nel 2020 ma di cantieri non si vede l’ombra).
Ecco perché lo scorso 24 novembre hanno manifestato sotto la Regione Lazio e il prossimo 19 dicembre saranno di nuovo in strada per far sentire la propria voce: appuntamento a piazza del Popolo alle 16.00 per far conoscere a tutti il loro calvario: nel solo 2023, oltre 7.000 corse saltate e più di uno sciopero al mese. Ecco perché il raddoppio del nodo Flaminio è ritenuto fondamentale per ridare un minimo di dignità a un servizio che oggi è impresentabile. Gli 86 milioni stanziati dal Governo potrebbero essere persi se entro 5 anni e mezzo non si chiudono definitivamente i lavori. Rimandarli indietro, in questa situazione, sarebbe imperdonabile.
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