Sir Alexander Fleming, l’uomo che ha salvato milioni di vite umane grazie all’invenzione della penicillina, nei primi anni 50 venne a visitare questo complesso industriale e restò senza parole. “E’ la fabbrica per la produzione della penicillina più moderna e all’avanguardia che abbia mai visto”, esclamò.
Era maestosa e incuteva timore. Ettari di terreni ed edifici immensi dove lavoravano migliaia di operai che si erano insediati poco lontano, a San Basilio, a Rebibbia, a Lunghezza. La LEO, questo il nome della fabbrica, era il centro del nuovo polo industriale del dopo guerra. Grazie a questa immensa struttura, la Tiburtina attrasse piccole aziende, indotto, cervelli, diventando uno dei simboli del boom ecomico italiano.
Il Conte Giovanni Armenise, molto vicino a Mussolini tanto da essere nominato Podestà di Genzano direttamente dal duce, era il proprietario dei terreni. E nello stesso tempo anche il presidente e fondatore della Banca dell’Agricoltura. I mezzi economici, dunque, non gli mancavano e infatti non badò a spese nella costruzione del complesso, chiamando i più noti architetti dell’epoca.
Da sola la Leo produceva il 1100 per cento del fabbisogno italiano di penicillina, cioè 11 volte tanto la richiesta interna del Paese. Il farmaco, dunque, veniva esportato in tutto il mondo, ritenuto di grande qualità perfino negli Stati Uniti.
Forse perchè cresciuta troppo facilmente grazie ai denari del Conte Armenise (che a sua volta si era arricchito più per meriti politici che professionali), negli anni 70 la fabbrica entrò in crisi. Tanto che fu deciso di vendere alla ISF, un gruppo di imprenditori che tenne in piedi l’azienda fino al 1990.
Fino a che – destino comune a tante grandi industrie romane – la fabbrica chiuse e il complesso fu abbandonato. Oggi a vederlo da fuori continua a incutere timore, ma non più per la sua mestosità. Lo scheletro con il cemento a vista, le scale fatiscenti e le recizioni provoca angoscia. È la metafora di Roma, della sua grandezza passata e del suo decadimento presente.
Inutili i tentativi di una multinazionale dell’hotellerie di trasformarla in un albergo da 400 camere. Il progetto è abortito poco dopo il suo concepimento. Così come inutili le promesse degli amministratori che si sono succeduti di un uso sociale, abitativo e sportivo dell’area. L’ultimo sopralluogo dell’ex assessore Estella Marino è stata l’ennesima promessa non mantenuta. La proprietà – un gruppo immobiliare privato – vorrebbe vendere. Le istituzioni parlavano di acquistare, ma il futuro dell’ex Leo è oscuro come gli interni del capannone più grande. Una struttura gigante dentro la quale vivono decine di sbandati.
Il fotoreporter Emanuele Vergari ha deciso di esplorare quel mondo al confine della legge, rischiando di grosso, perfino una violenza sessuale. Il suo racconto e le sue belle foto le trovate a questo link.
E poi c’è il problema ambientale, quello per il quale l’assessore Marino aveva promesso una soluzione: residui chimici, rifiuti speciali abbandonati nella fabbrica che sono una potenziale bomba sanitaria. In caso di incendio (ipotesi niente affatto improbabile data la popolazione che ci vive) i fumi tossici si diffonderebbero in tutto il quadrante est della capitale.
Un luogo che racconta una Roma che non riesce a risollevarsi, che non prova neanche a prevenire un disastro annunciato. Come la nostra rubrica cerca di comunicare ogni lunedì ormai da mesi, una Città In Rovina!
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3 risposte
Consiglio vivamente l’implosione “a sorpresa” con tutti i sorci dentro, quadrupedi e bipedi.
Curiosando (come al solito) su Google Maps, sembra che l’ala ovest del complesso (quella in verde che si vede nella terza foto) fosse in uso almeno fino al 2008. Nelle foto si nota infatti che quella parte di complesso sembra essere ben tenuta, è ancora presente la targa ISF, le finestre sono tutte presenti (e qualcuna sembra essere aperta), dentro sembra di scorgere un camion nel piazzale e gli spazi verdi sono ben tenuti (al tempo erano presenti pini sulla strada).
Io ho scoperto l’esistenza di questo rudere da un servizio di Striscia la Notizia, in cui Gimmi Ghione entrava dentro e mostrava tutto ciò che aveva trovato: medicinali scaduti conservati sia in capannoni che all’aperto, sostanze infiammabili in armadi aperti e accessibili a chiunque, sostanze tossiche colate sul pavimento, nel retro sostanze non meglio identificate lasciate allo scoperto con un pozzo che colava direttamente nell’Aniene che scorre lì dietro. Una bomba a orologeria (e sono passati più di 10 anni)