Seconda puntata della nostra rubrica sul cinema e sui film consigliati dalla redazione per il fine settimana.
Quest’oggi ci occupiamo di due grandi classici della commedia romana e italiana, due film speculari tra di loro sotto molti punti di vista: Il marchese del Grillo e Il conte Tacchia. Commedie popolari infarcite di dialetto romanesco e situazioni paradossali.
Opere realizzate da due maestri della cinepresa, Mario Monicelli e Sergio Corbucci.
Entrambe le pellicole rappresentano, in chiave ironica, la denuncia dell’aristocrazia romana e del suo rapporto con il popolo di Roma in diversi contesti storici.
Roma è stata anche aristocratica e il gravitare delle famiglie nobili in città ha caratterizzato sia il tessuto urbano, con le loro sontuose residenze, sia i rapporti sociali, con vincoli e clientele instaurati a più livelli.
Il filo conduttore delle opere è l’apatia e la noia che sovrastava ormai i salotti nobili, inadeguati a seguire l’evoluzione storica della città.
I due film uscirono a distanza di un anno l’uno dall’altro, Il marchese del Grillo nel 1981 e Il conte Tacchia nel 1982. Entrambi i registi si ispirarono a personaggi realmente esistiti. Mario Monicelli tratteggiò le vicende di un gentiluomo romano dallo spirito stravagante e bizzarro nato tra il 1730 e il 1740, la cui storia fu narrata da Raffaello Giovagnoli in un libretto pubblicato nel 1887.
Sergio Corbucci, invece, si ispirò alla vita di Adriano Bennicelli soprannominato appunto “conte Tacchia”, un nobile romano vissuto tra il 1860 e il 1925. La famiglia proveniente da umili origini si arricchì grazie al commercio del legno da cui derivò l’appellativo di “Tacchia”. A differenza del marchese del Grillo, il film di Corbucci non ebbe un successo immediato, anche perché l’eco della pellicola di Monicelli era ancora troppo vasto. Solo nel tempo si affermò come un classico della commedia popolare.
Mario Monicelli attaccò l’aristocrazia dall’interno ambientando tutta la storia in una famiglia romana, Sergio Corbucci l’attaccò dall’esterno usando il popolo romano come detonatore di denuncia.
Nonostante le due storie si muovessero su due piani totalmente opposti il risultato fu il medesimo: mettere a nudo il sistema di vincoli, di convenzioni, di ideologie senza mai arrivare a scene rivoluzionarie.
Il marchese e il conte, dunque, due maschere aristocratiche ma nello stesso tempo reazionarie che ebbero lo scopo di ridicolizzare gli ambienti cittadini.
Monicelli con questa pellicola vinse due David di Donatello (Miglior scenografo, miglior costumista) e il premio come “Miglior regia” al Festival di Berlino.
Il marchese del Grillo:
Ambientato nella Roma papalina del 1809, il marchese Onofrio del Grillo (Alberto Sordi) trascorre le sue giornate a orchestrare scherzi nei confronti della sua servitù, delle maestranze ma anche ai danni di illustri personaggi della città, fino ad arrivare al pontefice in persona, Pio VII.
Il marchese Onofrio è incastrato in un mondo che non sente più appartenergli e per questo progetta di lasciare Roma per recarsi a Parigi, città che reputa all’avanguardia sotto tutti i punti di vista. Prima di lasciare la città incontra per caso un povero carbonaio alcolizzato, Gasperino, che per uno strano gioco del destino è un suo perfetto sosia. Scatta così in Onofrio la molla di lasciare la città orchestrando uno scherzo straordinario e diabolico: sostituire la sua presenza nel palazzo di famiglia con quella del carbonaio. Quest’ultimo ignaro di tutto quello che sta orchestrando il marchese si ritrova in un vortice di equivoci che hanno segnato la commedia italiana…
Il conte Tacchia:
La storia è ambientata a Roma, nel 1910. Il protagonista “Checco Puricelli” (Enrico Montesano) è il figlio di un noto falegname di rione, il maestro “Alvaro Puricelli” (interpretato da un indimenticabile Paolo Panelli). Nel suo piccolo, Checco sogna di diventare nobile, nella speranza di uscire dalla sua condizione sociale, e per questo cerca di frequentare il più possibile gli ambienti dell’aristocrazia. Tra i suoi migliori amici compare il principe Torquato de Terenzi (Vittorio Gassman). I due instaurano un rapporto padre-figlio e lo stesso Torquato mette in guardia Checco dalla nobiltà romana ormai rozza e decadente. Checco continuerà a inseguire il suo sogno tanto che un circolo di nobili lo incastrerà in uno scherzo che gli costerà la convocazione dal re d’Italia in persona. Per una serie di coincidenze, in parte fortuite e in parte disgraziate, Checco sarà elevato finalmente al rango di conte, ma la nobiltà romana non accetta la sua provenienza popolare e continuerà a denigrarlo. Solo un matrimonio di comodo orchestrato dalla famiglia Savelli, per scampare ai debiti contratti, aprirà le porte della vera nobiltà a Checco. Ma il giovane falegname non dimenticherà mai il suo vero amore, Fernanda, una ragazza del suo stesso rione, e ricordando gli insegnamenti del principe Torquato capisce che la vera nobiltà è quella d’animo…
Segnaliamo che per il conte Tacchia esistono due versioni: quella integrale di 141 minuti e quella televisiva di 118 minuti. Noi vi consigliamo vivamente la versione integrale, disponibile online sulla piattaforma YouTube.
La prima puntata della rubrica la trovate cliccando qui