Le immagini di Venezia allagata stanno facendo il giro del mondo e tutti si preoccupano del suo futuro e delle magnifiche opere d’arte che conserva. Eppure l’acqua a Venezia è un elemento tipico perfino negli eventi eccezionali come la marea di questi giorni. Assai meno normale è l’afflusso devastante di turisti che divorano la città e cacciano i residenti. Ma di questo si parla poco o niente, come se fosse un destino ineluttabile.
Venezia, Firenze, Barcellona, Praga, Amsterdam, Parigi, Madrid e soprattutto Roma sono vittime di un grave reato che è stato chiamato “urbanicidio”. Ne abbiamo parlato in altre occasioni e non pretendiamo che la giunta Raggi si allarmi per il fenomeno dell’overtourism, dato che il livello medio dei suoi componenti non comprende neanche le cose più semplici. Occorre però tornarci di tanto in tanto perché si diffonda tra noi romani la consapevolezza del problema e si immagini di trovare soluzioni non appena la sciagura 5Stelle avrà lasciato il Campidoglio.
Un ottimo articolo di Paolo Conti pubblicato sul Corriere della Sera del 29 settembre scorso ce ne dà lo spunto con la definizione di Urbanicidio, ripresa dagli studi di Gaetano Scognamiglio, presidente della Fondazione di ricerca Promo P. A.. Si tratta di “quel fenomeno che lascia i corpi dei centri urbani quasi intatti ma ne uccide l’anima nel nome del turismo di massa, dell’omologazione del tessuto commerciale, con la fine delle botteghe artigiane, della gastronomia locale e soprattutto con la fuga dei residenti“.
Occorre analizzare parola per parola questa perfetta definizione di ciò che sta accadendo nelle città più turistiche del mondo, Roma compresa. Nel 2018, 1,4 miliardi di persone sono andate in vacanza e di queste ben 630 milioni hanno scelto una città d’arte e di cultura. Entro il 2029 le città saranno visitate – secondo la previsione del WTTC, World Travel & Tourism Council – da 1 miliardo di persone. Questo significa che la pressione su tessuti fragili come il centro storico della Capitale sarà così violenta che rischieranno di non reggere. Il risultato sarà una ulteriore fuga dei residenti e un dilagare incontrollato di paninerie, fast food e pizza al taglio che snatureranno il cuore urbano.
Andrea Declich, socio-economista dell’Università di Tor Vergata, ha analizzato lo spopolamento del I Municipio di Roma negli ultimi 10 anni. I dati non hanno bisogno di particolari commenti:
Castro Pretorio – 30%
Trevi – 32%
Ludovisi e Parione – 28%
Ponte – 26%
Colonna – 25%
Sant’Eustachio -24%
Nel 1951, all’interno delle Mura Aureliane, vivevano 370 mila abitanti. Nel 2019, non arrivano a 90 mila. Le loro case sono state trasformate in affittacamere, attività ricettive, hotel scadenti racchiusi in appartamenti con servizi di pessima qualità. Gli edifici della zona adiacente a Castro Pretorio, per fare un esempio, sono popolati solo da affittacamere e su 30 appartamenti nei grandi palazzi umbertini, solo due o tre sono ancora abitati. Tutti gli altri a disposizione di un turismo mordi e fuggi che vede poco di Roma e ne capisce ancor meno.
Il meccanismo che si è instaurato è vizioso e non potrà che produrre effetti devastanti anche per l’economia, arrivando ad un certo punto a cacciare non solo i residenti ma anche i turisti più colti e preparati, coloro che invece sono una risorsa per la città perché portano denaro ma anche cultura e integrazione. Costoro saranno spinti a cercare altro. Come correttamente osserva Paolo Conti sul Corriere: “Perché devo andare a Roma se nel suo centro storico non trovo più una trattoria tradizionale ma posso comprare solo pizza al taglio? Se nei vicoli, invece degli ebanisti e delle pelletterie, mi imbatto in minimarket uno uguale all’altro?”.
Ma non basta! C’è un altro aspetto che sta privando i centri storici di vitalità ed è la loro immobilità totale. Su questo elemento sappiamo già di non trovare l’assenso di tutti i lettori ma lasciamo parlare al posto nostro lo scrittore Marco D’Eramo che ha studiato diverse città mondiali diventate Patrimonio dell’Umanità Unesco. D’Eramo lo definisce “urbanicidio a fin di bene” perché il bollino di patrimonio Unesco “dissangua e imbalsama metropoli millenarie, sottraendo il tempo al naturale divenire. Città gloriose, opulente, frenetiche, che per secoli, e a volte per millenni, erano sopravvissute alle peripezie della storia, a guerre, pestilenze, terremoti. E che ora, una dopo l’altra, avvizziscono, si svuotano, si riducono a fondali teatrali su cui si recita un’esangue pantomima“.
D’Eramo sostiene che per preservare questo patrimonio, lo si surgela, lo si fissa come una fotografia e “lo si sottrae al cambiamento, al divenire“. Se nel 450 a. C. avessero paralizzato l’Acropoli di Atene oggi non avremmo i Propilei, né il Partenone, scrive. Così come a Parigi non avremmo il Beaubourg e via proseguendo. Una osservazione discutibile ma importante quella di Marco D’Eramo che non va liquidata con un’alzata di spalle in nome della tutela, alla quale ovviamente tutti teniamo.
Fate attenzione perché se mettete insieme gli aspetti di cui abbiamo parlato fin qui, noterete che si sta verificando una tempesta perfetta. Troppi turisti di scarsa qualità. Spopolamento dei residenti. Sparizione di botteghe storiche. Moltiplicazione di minimarket e pizza al taglio. Blocco di qualsiasi “nuova” iniziativa urbanistica o edilizia. Ecco che l’urbanicidio è commesso! Ecco che se andiamo avanti così, nell’arco dei prossimi 20 anni, il centro di Roma sarà un morto che appare vivo.
Occorre qualche idea per invertire la rotta. Proviamo a stilarne un breve e non esaustivo elenco:
a) vanno favoriti gli affitti più lunghi rispetto a quelli più brevi attraverso la leva fiscale;
b) occorre facilitare la vita di chi risiede in centro e non penalizzarla con tasse elevate;
c) è indispensabile calmierare la nascita di attività di somministrazione di scarsa qualità;
d) rendere più attraente la visita turistica nei periodi di bassa stagione, sponsorizzando eventi culturali e riducendo la tassa di soggiorno;
e) aumentare invece la tassa di soggiorno per chi viene in alta stagione o si ferma solo una notte, diminuendola gradualmente a chi decide di restare più a lungo;
f) favorire l’ecotassa sui biglietti aerei allo studio del governo in queste settimane. Scelta analoga è stata fatta in Francia, Germania e molti altri paesi. Salvini se ne farà una ragione;
g) obbligare chi affitta tramite Airbnb o altre piattaforme a iscriversi in un registro;
h) promuovere visite a siti alternativi esterni al centro storico (per esempio San Paolo fuori le Mura, Centrale Montemartini, etc);
i) essere più accoglienti con visitatori di nicchia (child-free, gay friendly, legati all’ambiente e alla natura);
l) sanzionare duramente i comportamenti scorretti dei turisti (schiamazzi, alcool, etc) e degli operatori che se ne approfittano (tassiti, ristoratori, etc).
Non è certo la soluzione ad ogni problema ma almeno si deve cominciare a lavorarci, si deve riflettere su come vogliamo che sia la parte più pregiata della nostra città e di conseguenza su come vogliamo essere noi nei prossimi anni. Quelli del selfie con la pizza gommosa in mano o quelli che vedono e pensano.
Sullo stesso tema
Un quartiere senza residenti è senza vita. Il caso del centro di Roma
Prosegue lo spopolamento del centro. Le soluzioni delle altre città
Torniamo sullo spopolamento dei centri storici: il caso Bergamo