Approvata le “disciplina transitoria” di Andrea Coia, fino a fine 2021

Andrea Coia fa approvare la nuova disciplina OSP con illegittimità che la rendono facilmente annullabile. Una vittoria di Pirro evidenziata dalle dimissioni presentate, e ritirate, dall'assessore Cafarotti

Non ha paura del ridicolo Andrea Coia, presidente della commissione commercio dell’Assemblea Capitolina, e deve essere per questo che sulla sua pagina facebook definisce “Disciplina transitoria di sostegno alle imprese’’ la delibera appena approvata che consente l’esplosione delle occupazioni di suolo pubblico (OSP) a Roma fino a fine ottobre 2021.

Laddove il provvedimento del governo aveva previsto norme emergenziali limitandone la validità al 31 ottobre 2020, il presidente Coia ha deciso che quello non poteva essere sufficiente, decidendo così in totale autonomia di estenderne la validità per un ulteriore anno.

Poteva farlo? No, chiaramente no, non potendo l’Assemblea Capitolina approvare norme che siano difformi dalle leggi nazionali, come ad esempio quelle poste a tutela dei beni architettonici. È infatti solo in virtù del provvedimento del governo che è possibile sospendere i pareri delle soprintendenze per il rilascio delle OSP, ma quel provvedimento è limitato al 31 ottobre di quest’anno, per cui dal 1 novembre gli enti di tutela ricominceranno a fare le loro valutazioni sulle OSP cassando quelle a loro avviso non ammissibili, con tanti saluti alla delibera di Coia.

Ce ne sono altre di estensioni che Coia ha voluto includere nella delibera appena approvata, preso evidentemente da una specie di delirio d’onnipotenza, e questo nonostante i rilievi fatti qualche giorno fa dall’assessore alla cultura nonché vicesindaco Bergamo e le rimostranze dell’assessore al commercio Cafarotti, che ha cercato in ogni modo di limitare le iniziative del Coia ma senza minimamente riuscirci. Preso atto del provvedimento finale l’assessore Cafarotti ha addirittura pensato di presentare le proprie dimissioni, ritirandole subito dopo, a testimonianza del male che evidente deve pensare di quella che era nata come “delibera Cafarotti” ma che ormai è innegabilmente l’ennesima “delibera Coia”.

 

Si può essere o meno d’accordo sul genere di aiuto che il presidente Coia vuole concedere ad una parte del commercio cittadino. Già perché mesi di impegno e di sedute della sua commissione sono stati dedicati solo agli esercizi di somministrazione, ignorando tutto il resto del commercio di Roma che evidentemente per il Coia può anche chiudere bottega.

Si può quindi essere d’accordo con la previsione di sostituire centinaia di posti auto regolari con nuovi dehors dei locali, benché un’amministrazione responsabile si porrebbe il problema di dove residenti ed avventori dei locali finirebbero per parcheggiare i propri veicoli, oppure concordare sulla possibilità di ottenere una OSP pari al 50% o al 70% della superficie interna (un’enormità!?!).

Quello però a cui tutti avrebbero dovuto puntare è una normativa su cui gli esercenti possano fare affidamento, evitando quanto più possibile il rischio di contenziosi o interventi dei giudici amministrativi. E questo tanto più in quanto l’amministrazione capitolina è arrivata con un ritardo colossale, laddove ad esempio a Milano le norme per operare nell’emergenza sono state approvate definitivamente a fine maggio.

 

Invece il presidente Coia ha voluto esagerare, buttando nel provvedimento di tutto di più senza le necessarie coperture per le normative nazionali.

Questo vuol dire che la delibera appena approvata potrà essere facilmente smontata dal TAR, appena qualcuno farà ricorso, col risultato che gli esercenti a cui Coia ha voluto concedere tutto si ritroveranno di nuovo senza regole con cui operare.

E c’è da aspettarsene di ricorsi, sia da parte di cittadini e associazioni che avevano già sollevato enormi perplessità su un provvedimento che con la scusa di aiutare certo commercio ad operare in epoca di distanziamento in realtà concede privilegi enormi a scapito della sicurezza e del decoro, sia da parte di uffici statali che in mancanza di decisioni a livello nazionale non possono rimanere silenti fino a quando lo decide il presidente Coia.

Una vera e propria vittoria di Pirro quella di Andrea Coia che però incosciente conclude il proprio post con un incredibile: “Sono davvero orgoglioso di questo risultato.”

 

Un risultato “alla Coia”, non c’è che dire: prima si crea il far west con un provvedimento parziale accompagnato da messaggi di “tana libera tutti” da parte dell’amministrazione, poi si finisce il lavoro con un provvedimento che non sta in piedi e che quando sarà cassato precipiterà il settore nel caos più assoluto, per la disperazione degli esercenti onesti ma la gioia dei tanti profittatori che sull’illegalità ci campano.

Ancora una volta, dove il presidente Coia mette mano fa disastri. Lo avevamo sperimentato sulle bancarelle, dove la sua delibera non ha fatto che cristallizzare una situazione indegna di una capitale europea, oppure sulla festa della befana di piazza Navona, dove con la scusa di fare meglio del Municipio I ha finito per regalare la festa ai soliti ambulanti noti per 10 anni, o anche sulla questione piani di massima occupabilità (PMO), quando ha tolto la competenza ai Municipi per mancati adempimenti ma, non essendo riuscito a trovare un ufficio del Comune in grado di lavorare i PMO, ha dovuto riassegnarli ai singoli municipi.

 

Noi pensiamo sia anche merito di Coia se la riforma degli impianti pubblicitari, quella approvata nel 2014 anche col voto di Virginia Raggi e che darebbe a Roma un bike sharing tradizionale pagato dai cartelloni, sia rimasta nel cassetto negli ultimi quattro anni.

Il Coia si configura insomma come l’entità nera del commercio romano, colui che dovrebbe manovrare le normative per migliorare il commercio e la città ma che invece riesce sempre a fare disastri grazie alla sua micidiale miscela di incapacità e supponenza.

Sono quattro anni che Coia inanella insuccessi e irrilevanza nel commercio di Roma ma il sindaco Raggi continua a considerarlo la figura di spicco dell’amministrazione capitolina sul tema.

Fu a causa dell’incompatibilità con Coia che il rimpianto assessore Adriano Meloni fu costretto alle dimissioni. Quell’assessore le cose le sapeva fare: in breve tempo aveva sistemato la questione del mercato di S. Teodoro, stava lavorando ad una possibile applicazione della direttiva Bolkestein per ristrutturare complessivamente il commercio ambulante a Roma, aveva intrapreso ottime iniziative per il turismo congressuale. Ma a Coia, Meloni non andava a genio, così poco disposto a sottostare alle sue assurde idee, tanto che convinse la Raggi a sostituirlo con l’evanescente Cafarotti. Ora anche uno yes man come Cafarotti è costretto ad evidenziare le assurdità del Coia, pur dovendo sottostare alla forza che Coia può vantare in Assemblea Capitolina.

 

Chissà se quando esploderanno i conflitti per le nuove OSP senza regole il sindaco Raggi si renderà finalmente conto del pessimo servizio che le ha reso, e ha reso alla città, il Coia in questi quattro anni di legislatura. Ormai è tardi per recuperare ma mai troppo per rimettere in riga uno che, come abbiamo già scritto, si crede il Richelieu del commercio romano mentre ne può essere al massimo il Cimabue del vecchio Carosello (quello che fa una cosa e ne sbaglia due).

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Una risposta

  1. Le osservazioni mi sembrano pertinenti e azzeccate. Con molta probabilità i ricorsi fioccheranno e la Giunta porterà a casa un’ulteriore sconfitta. Roma è stata già sconfitta dai risultati elettorali che avrebbero dovuto segnare una profonda svolta amministrativa; una lunga scia di insuccessi che arriverà fino alla prossima tornata elettorale. Disonestà e incompetenza sono i nemici da scalare dalla P. A., ma l’incapacità e l’inettitudine causano il guaio peggiore.

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