Atac: cosa voleva fare Rota e perché il M5S non era d’accordo

rota

 

Non serve essere specialisti di diritto fallimentare per capire la strategia dell’ex direttore generale di Atac, Bruno Rota. L’ha dichiarata lui stesso nelle interviste rilasciate in queste ore dopo le dimissioni: l’azienda doveva entrare in concordato preventivo. Si tratta di una procedura che scongiura il fallimento ma soddisfa parzialmente i creditori. Questi, invece di aspettare anni per ottenere delle somme che forse non arriveranno mai, si accontentano di un pagamento parziale ma rapido. L’azienda riduce così il macigno di debiti che non le permette di proseguire e riesce nello stesso tempo a svolgere meglio la proprio attività.

Rota ha guardato i conti e da manager qual’è ha capito che altre strade non ce ne sono. Ma quali sono le cifre che lo hanno così spaventato? Per capirle meglio ci affidiamo a Andrea Giuricin, docente alla Bicocca di Milano che ricorda un dato fin qui trascurato: l’Atac è costata alle casse dello Stato molto di più di Alitalia. Tra il 2009 e il 2015 l’azienda ha accumulato perdite per 1,3 miliardi di euro. Nello stesso tempo riceveva un contributo pubblico di quasi 6 miliardi di euro.

I ricavi che derivano dalla vendita dei biglietti ammontano a 260 milioni di euro l’anno ma Atac spende 1 miliardo e 100 milioni l’anno. E come li spende?

4,6% costo del carburante

0,48% costo delle consulenze

50,8% costo del personale.

 

Il resto va alla manutenzione (!) dei mezzi e pochissimo ai nuovi investimenti. Insomma è il personale la voce monstre che va ridotta, altrimenti il servizio di trasporto non si potrà mai risanare, anche se per miracolo i ricavi della bigliettazione raddoppiassero. Ma il personale viaggiante non è in eccesso – Rota lo ha spiegato bene. Quello che è fuori misura è il personale amministrativo: oltre 3mila dipendenti chiusi negli uffici che potrebbero essere prepensionati, cassaintegrati o in casi estremi licenziati.

E’ questo il secondo bubbone che il direttore generale uscente voleva incidere. Mandare a casa gli amministrativi inutili e far lavorare il personale viaggiante che oggi “fa turni anche di sole 3 ore al giorno”. Per farlo la ricetta era quella iniziata dalla precedente gestione, incaricata da Marino: la timbratura sia per i macchinisti delle metro sia per gli autisti. Ricorderete che contro quella timbratura furono indetti scioperi che bloccarono il servizio per giorni e giorni (inclusi i cosiddetti scioperi bianchi che rallentavano i treni applicando alla lettera tutti i regolamenti più astrusi).

Con chi si schierò il M5S all’epoca? Con chi scioperava. E cosa accadde il 13 giugno del 2016 quando il personale entrò in sciopero proprio durante l’incontro Italia-Belgio degli europei di calcio? Accadde che la Sindaca Raggi e l’assessore Meleo giustificarono quell’episodio assurdo affermando che era solo una coincidenza.

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Come si può pensare allora che il M5S potesse appoggiare un piano drastico come quello di Rota? Che potesse decidere di licenziare i lavoratori imboscati e rendere produttivi gli altri? Tradirebbe il patto elettorale stretto con i sindacati (soprattutto alcuni tipo quello della Quintavalle) e presto la cosa si ritorcerebbe contro la stessa giunta. Rota, insomma, andava fermato nonostante fosse stato nominato da Casaleggio o forse proprio per questo. Le voci di ribellione dell’asse De Vito-Mazzillo contro i diktat di Grillo e Casaleggio confermano quanto la situazione sia delicata nel MoVimento.

“Ho provato a spiegargli cosa è il concordato preventivo” ha detto Rota sprezzante che ha aggiunto: “Questi sono delinquenti”. L’ex dg lascia intendere che la Raggi vuole portare Atac a sbattere contro un fallimento inevitabile e che di fatto la Sindaca non ha idea di come uscire dal pantano. Ecco che il referendum promosso dai Radicali torna ad essere una possibile soluzione. Spacchettare Atac e affidare i servizi al miglior offerente tra i quali Ferrovie dello Stato o altri imprenditori. Per la Raggi sarebbe un fallimento politico senza precedenti.

Se avesse lasciato lavorare Rota e avesse seguito l’esempio del Sindaco pentastellato di Livorno Nogarin che aderì al concordato preventivo forse una speranza ancora ci sarebbe. Ma ora, in nome della pace sociale con i sindacati, si scatenerà la guerra con gli utenti. E le guerre fanno male a tutti.

 

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2 risposte

  1. Io non sono certo un esperto di procedure fallimentari e concordati preventivi, però faccio osservare una cosa. Il concordato preventivo andrebbe per prima cosa approvato dai creditori, ai quali dovrebbe essere sottoposto un piano di risanamento credibile dell’azienda. Un azienda nelle condizioni di ATAC è risanabile (forse) solo con tempi molto lunghi, ma a fine 2019 il servizio di trasporto pubblico dovrà essere obbligatoriamente messo a gara in base alle leggi europee (regolamento CE 1370/2007). Un’azienda nelle condizioni di ATAC non sarebbe mai in grado di vincere questo bando di gara, neanche immaginando le più improbabili forzature. E allora, mi chiedo, quale piano di risanamento può essere presentato se tra due anni ATAC potrebbe essere messa da parte da altri soggetti? Quali entrate garantirebbe? E quindi, come si fa a proporre un concordato preventivo in queste condizioni? Tutto questo senza tenere conto che un piano di risanamento imporrebbe un recupero di produttività da parte dei lavoratori ATAC che vedo difficile da imporre, vista la sindacalizzazione deteriore che impera in quell’azienda.
    Forse mi sfugge qualcosa, ma se proprio vogliamo essere ottimisti io la situazione la vedo nera…

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