I giovani democratici del Pd sono stati tra i pochi fino ad oggi ad organizzare un dibattito sul referendum Atac. Eppure, al voto dell’11 novembre, mancano meno di due mesi e la gran parte dei potenziali elettori non conosce neanche la data della consultazione.
Anche questa è una anomalia tutta romana, o forse dovremmo dire italiana. Al governo ci sono coloro che sostengono sia importante la democrazia diretta e l’ascolto dei cittadini ma quando questi finalmente hanno la possibilità di esprimersi, il dibattito viene messo sotto al tappeto. Anzi la Sindaca Raggi ha fatto sapere fin da subito che qualunque sarà l’esito di questo referendum, il Campidoglio non ne terrà conto. “Avrà solo un valore consultivo”, ha annunciato durante la conferenza stampa che snocciolava dati trionfali su Atac, molto poco rispondenti al vero.
In mezzo al deserto informativo, sabato scorso i giovani del Pd hanno convocato un dibattito a piazza Bologna tra gli esponenti del Comitato Promotore e quelli del No. Un confronto interessante sebbene sia emerso che lo stesso Pd è spaccato (dov’è la novità direte voi!). Infatti, poco dopo Matteo Orfini, intervenendo al dibattito successivo, si è affrettato ad annunciare il suo NO alla liberalizzazione, mentre altri esponenti democratici si sono dichiarati a favore.
Al di là delle diatribe di casa democratica è, a nostro avviso, necessario che i romani si facciano un’idea concreta della scelta da intraprendere. Il non voto è una possibile alternativa, ma è sempre una sconfitta soprattutto riguardo qualcosa che tocca la nostra vita quotidiana. La domanda da farsi allora è: votare sì o votare no potrà migliorare le condizioni della città che subisce il peggior servizio di trasporto pubblico d’Europa?
Nelle prossime settimane approfondiremo con due distinti articoli le ragioni del Sì e quelle del No. Oggi ci limitiamo a riassumere per grandi linee le posizioni di Mobilitiamo Roma – che è il comitato promotore costituito dai Radicali Italiani che hanno raccolto le firme e presentato il quesito – e dei due comitati contrari: Mejo de No e Abc.
Le ragioni del NO. C’è di dice NO, canterebbe Vasco Rossi. Ebbene i fautori del rinnovo del contratto ad Atac si sono divisi tra loro. Oltre a ABC, che sta per Atac Bene Comune – promosso da Stefano Fassina, assieme a Paolo Berdini e Vezio De Lucia – c’è Mejo de No un comitato di attivisti, amministratori locali e gruppi (in corsivo perché è la definizione che danno loro stessi in un comunicato).
I due comitati del No si differenziano poco tra loro se non per gli uomini che li hanno promossi, viziaccio di sinistra di parcellizzarsi ad ogni occasione. “Rifiutiamo l’ideologia secondo la quale privato è efficiente e pubblico no e che il passaggio della gestione al privato sia la panacea di tutti i mali del trasporto di Roma”, scrivono. Ecco perché regalare il servizio pubblico ai privati è Mejo de No. Il trasporto, secondo il comitato, è un servizio essenziale e deve essere permesso a tutti a prescindere dai costi; cosa che può essere garantita meglio dal pubblico. La scarsa produttività di Atac non è causa della sua proprietà pubblica ma del fatto che la grande maggioranza del servizio avviene su gomma. Un autista di bus, infatti, trasporta non più di 100 persone ad una velocità molto bassa, mentre un macchinista di metro trasporta 1200 persone ad una velocità molto alta. Ecco perché – spiegano – in città dove vi sono più metropolitane la produzione è superiore.
Anche l’anzianità dei mezzi ha poco a che fare con il gestore del servizio. Essendo il Comune a dover acquistare i mezzi, anche in caso di liberalizzazione è improbabile che il parco bus possa ringiovanire.
Come esempio di inefficienza gestionale da parte del privato, il comitato del No porta il Ponte Morandi che – sebbene fosse sotto la tutela di un concessionario privato – ha fatto la fine che tutti conosciamo.
Si potrebbe obiettare che negli ultimi 5 anni sono precipitati in Italia 6 ponti e cinque di questi erano gestiti dal pubblico, cioè Anas, ma non è questa la sede per esprimere il nostro parere.
Le ragioni del Sì. Dal fronte opposto, il Comitato per il Sì, Mobilitiamo Roma, sostiene che terminare il monopolio di Atac potrà liberare il trasporto dalla zavorra attuale, perché il vero bene comune è il servizio offerto ai cittadini e non l’azienda che lo gestisce.
Mettere a gara il servizio, sostengono, significa affidare il trasporto ad una o più aziende, sotto il controllo del Comune di Roma che continuerà a stabilire il prezzo del biglietto e le tratte necessarie per ogni quartiere. Aggiungere semplicemente risorse significa gettare nel pozzo senza fondo di Atac denaro, come è stato fatto dal 2006 al 2015, quando l’offerta complessiva di Tpl è diminuita di 13 milioni di vetture-km, i bus elettrici sono calati dell’80 per cento e i tram del 30%. Nello stesso tempo, Atac ha accumulato un deficit di 1,1 miliardi totalizzando da sola più della metà delle perdite del settore a livello nazionale.
Non si tratta, spiegano i promotori, di privatizzare Atac ma di inserire nel settore una pluralità di operatori in modo da permettere al comune un maggior controllo. Nella situazione attuale, infatti, Atac è talmente grande e compromessa con interessi politici e sindacali da essere lei la principale forza in gioco e non il Comune. Con più aziende in concorrenza tra loro, il Comune si rafforzerebbe perché non sarebbe soggetto ai ricatti di un unico operatore.
Ecco perché non vogliono si parli di privatizzazione ma di liberalizzazione del settore. E’ un processo simile a quanto già avvenuto a Parigi, Barcellona e Londra, dove la gestione di tipo “misto” (pubblica e privata) ha risolto problemi di monopolio e di costi troppo elevati.
Chi avrà ragione e quale potrà essere la scelta migliore per Roma? Ci sono ancora sette settimane per il confronto e sarebbe auspicabile che la discussione partisse proprio dalla giunta che finora si è limitata a svilire l’importanza di questo referendum, prima rinviandolo di continuo e poi affermando che “è solo consultivo”. E’ invece l’occasione per parlare a fondo del tema per eccellenza. Senza un efficiente trasporto pubblico, infatti, la città sarà sempre meno attrattiva per gli investimenti e il lavoro. E qualsiasi spostamento resterà un inferno per tutti noi.