Nel 1866 Fëdor Michajlovič Dostoevskij in Delitto e Castigo scriveva: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigione”. Con questa frase lanciava un manifesto che ha segnato l’evoluzione della giurisdizione.
Con la diffusione del Coronavirus quello che sta avvenendo nelle carceri italiane è qualcosa di surreale. Dall’inizio della quarantena ad oggi non è stato preso nessun provvedimento a tutela dei detenuti e del personale di sorveglianza. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite Michel Bachelet aveva lanciato un monito nel tenere sotto osservazione la situazione dei penitenziari, invitando l’Italia a non sottovalutare la questione, affermando che la diffusione del Covid-19 nei penitenziari potrebbe essere “devastante”.
Agli inizi di marzo dopo le sommosse scoppiate per i malumori e i timori dei detenuti, la Presidenza del Consiglio aveva inserito disposizioni a riguardo nel decreto “Cura Italia”. Venivano infatti disciplinate alcune norme che puntavano al contenimento della diffusione del virus all’interno degli istituti penitenziari. In particolare, si stabiliva che i detenuti per reati minori con un residuo di pena inferiore ai 18 mesi, avrebbero potuto usufruire degli arresti domiciliari, mentre se la pena fosse stata superiore ai 6 mesi avrebbero dovuto indossare anche il braccialetto elettronico di monitoraggio.
Si trattava, tuttavia, solo di un atto preliminare che non ha portato ancora a nessun risultato. Lo stallo in cui si è arrivati è puramente giudiziario, in quanto il decreto non fa distinzione fra detenuti e pene, inglobando così anche i reati di terrorismo e mafia, con ben 750 detenuti in regime di 41 bis (tra cui il capostipite dell’ndrangheta Umberto Bellocco, il noto camorrista Raffaele Cutolo e altri importanti nomi del panorama mafioso).
Nell’attesa che qualcosa si sblocchi il virus ha iniziato a diffondersi, mietendo le prime vittime: Vincenzo Sucato è deceduto per Covid-19 nel penitenziario di Bologna, mentre Antonio Ribecco in attesa di giudizio è deceduto nel carcere di Voghera. Due giorni fa nel circondariale “Le Vallette” di Torino sono stati riscontrati 60 positivi su 1250, una situazione dunque che sembra ormai arrivata a numeri importanti.
Anche a Roma, a più riprese è stato denunciato come il sovraffollamento nel carcere di Rebibbia è una polveriera pronta ad esplodere, non sono mancate le lettere inviate al Presidente della Repubblica Mattarella, denunciando una situazione di “grave inciviltà” soprattutto nel complesso femminile. Qui una donna di 35 anni è risultata positiva ai test insieme a due infermieri e due medici.
Sembra quindi che nel noto penitenziario romano si stia alimentando un preoccupante focolaio. Da settimane, seguendo le direttive delle Nazioni Unite si chiede al governo italiano di intervenire prontamente per scarcerare soprattutto i bambini reclusi. In Italia ve ne sono 55 con meno di 3 anni, di questi 10 sono attualmente reclusi nel carcere di Rebibbia. Le soluzioni sono alla portata di mano, dai servizi sociali agli arresti domiciliari, ma anche questa volta la burocrazia e l’inesperienza politica rallentano le procedure giudiziarie.
E mentre il governo, circondato da Task force, si arrovella sulle soluzioni da prendere, nel mondo sono state annunciate importanti iniziative di amnistie carcerarie:
- in Turchia la riforma del Codice penale ha consentito a Erdogan di varare un’amnistia senza precedenti riguardante 90.000 detenuti, esclusi gli oppositori del governo.
- l’Indonesia rilascerà 30.000 detenuti per reati minori.
- l’Iran rilascerà 100.000 detenuti, il 40% del totale dei reclusi.
- Il presidente del Camerun Paul Biya, rilascerà 10.000 prigionieri per reati minori, 1/3 dei detenuti, esclusi i terroristi, i gruppi separatisti, i funzionari corrotti e i gruppi di opposizione al governo, fra cui giornalisti e politici.
- Win Myint presidente del Myanmar, libererà 25.000 detenuti, come già promesso nell’amnistia di Capodanno.
In Italia nessuno sta chiedendo un maxi-indulto, come paventato da alcuni gruppi politici, si sta piuttosto puntando su un’amnistia “responsabile e solidale”, come ha sottolineato l’organizzazione “Nessuno tocchi Caino” che ha lanciato una raccolta firme per arrivare ad una scarcerazione che protegga i più deboli, le donne incinte, gli anziani, i bambini, i disabili e le persone che soffrono di patologie pregresse.
Anche il quotidiano il Riformista, ha proposto una raccolta firme per arrivare presto ad un’amnistia.
I partiti di opposizione al governo credono invece che queste iniziative possano mascherare un futuro decreto “svuota carceri”.
Senza entrare in merito alle questioni di contrapposizione politiche ricordiamo che la Corte di Strasburgo ha già condannato diverse volte il governo italiano per la situazione di sovraffollamento delle proprie carceri invitando gli organi istituzionali a riformare l’assetto giudiziario soprattutto per quanto concerne la legge dell’ergastolo ostativo, il cosiddetto “fine pena mai”. Il ministro Bonafede, il 14 aprile, è dovuto comparire a Strasburgo per fare il punto della situazione dei penitenziari. L’associazione “Antigone” ha infatti sottolineato come attualmente in Italia il tasso di sovraffollamento tocca la mostruosa cifra del 190% in più rispetto alle capienze ordinarie. Nel 2019, questa associazione ha visitato e monitorato 100 istituti penitenziari, di questi, la metà delle celle è senza acqua calda, in più della metà delle celle non ci sono docce.
E mentre alcuni politici continuano a ricordare che “Siamo in Europa” dove “i Trattati vanno letti prima di essere firmati”, è bene ricordare che proprio il trattato che disciplina l’Unione Europea ricorda a tutti i membri che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana”.