In queste ultime settimane gli aumenti dei contagi da coronavirus hanno indotto il governo a prendere sempre più misure di contenimento. I riflettori sono stati puntati prima sui cittadini di ritorno dalle vacanze e sugli sparuti turisti che hanno deciso di trascorrere qualche giorno in Italia, poi sui giovani che si assembrano nelle discoteche oppure nei tanti locali che affollano i luoghi di vacanza.
Nel frattempo, per le centinaia di persone senza fissa dimora che si stanno riversando, mese dopo mese, nelle strade cittadine, adeguandosi in bivacchi di emergenza, nulla è stato fatto anzi sulla loro condizione è caduto un totale silenzio e la più assoluta indifferenza.
Lo denuncia la Caritas diocesana di Roma che ha segnalato come, nonostante ci siano posti vuoti nelle strutture di accoglienza, queste persone invisibili non possano essere ospitate, in quanto le istituzioni ancora non hanno provveduto ad effettuare i tamponi Covid-19, in modo da garantire la sicurezza degli operatori e il monitoraggio dei possibili infetti.
Non esistendo nessuna legge che imponga di ospitare i senza fissa dimora, e non essendo stato varato un dpcm che disciplini la loro accoglienza nei centri preposti, la Caritas è stata attaccata da più fronti, anche dai cittadini, accusata di scarsa attenzione, di poca partecipazione ai bisogni di questi disgraziati. Ma la questione è molto più complessa di quella che può apparire.
Perché la Caritas dovrebbe farsi carico di accogliere possibili infetti con il rischio di creare nuovi focolai? Perché nelle spese straordinarie riguardanti i tamponi destinati ai turisti e ai vacanzieri non sono stati inclusi anche i senza fissa dimora?
Il direttore della Caritas, Don Benoni Ambarus, in un’intervista rilasciata ad Avvenire, ha sottolineato come si stia segnalando questa emergenza da diversi mesi e di come la Caritas abbia offerto nuovi spazi per creare dei luoghi di isolamento, in modo da garantire la quarantena di 14 giorni prima di ospitare i vagabondi nei propri ostelli. Tutte iniziative che non hanno trovato riscontro né da parte del Comune, né da parte della Regione, nonostante fossero state già avanzate dal mese di marzo.
Alcune ASL si sono mosse in autonomia garantendo un minimo di sostegno alla Caritas, ma la mancanza di coordinamento e la scarsa comunicazione tra Comune e Regione hanno rallentato tutto l’iter.
Don Benoni sottolinea come la situazione sia davvero drammatica e spiega che a settembre la Caritas di Roma non riuscirà più a far fronte a questa emergenza.
Mentre si dibatte sulle scuole, sulle discoteche, sui referendum costituzionali, sulle elezioni al Comune di Roma, in città aumentano le tendopoli, i cartoni, i sacchi a pelo, alcuni disperati si rifugiano in vecchi cantieri abbandonati, nei parchi e negli angoli delle strade, ma a nessuno viene in mente che alcuni di loro potrebbero essere già infetti, che potrebbero contagiare altre persone. Perché la loro vita non conta agli occhi del governo e non rientra nelle priorità dei comitati tecnici scientifici?
Inserire questi vagabondi nelle strutture sarebbe anche l’occasione per responsabilizzarli di fronte all’epidemia, di fornire loro le istruzioni giuste su come contrastarla. Sarebbe questo il compito più importante della Caritas, quello disegnato dal suo fondatore, Don Luigi di Liegro, che vedeva proprio nella malattia uno degli elementi più emarginanti e discriminanti della società. Ma per far sì che si realizzi questa giustizia sociale, che si inneschi questo processo virtuoso, che trasformi e responsabilizzi le persone da passive a protagoniste della propria vita, occorre la partecipazione concreta della politica, affinché la carità non si ripieghi su se stessa come appannaggio del solo senso Cristiano.
La Regione Lazio, dopo la polemica sollevata dal quotidiano Avvenire, ha finalmente dato la sua disponibilità ad aiutare queste persone, in collaborazione con l’istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” sono stati effettuati i primi tamponi che hanno permesso alla Caritas di ospitare alcuni indigenti già nella serata di martedì 18 agosto. Le persone accolte saranno messe in quarantena in luoghi protetti, in attesa dei risultati. Tutti coloro che invece risulteranno positivi verranno trasferiti in strutture predisposte dalla Regione.
Andrea D’Amato, assessore regionale alla Sanità, ha ribadito la piena collaborazione ai senza fissa dimora, disponibilità garantita anche dall’ospedale Sant’Andrea. Spiace segnalare come ci siano voluti quattro mesi per un intervento delle istituzioni, arrivato solo dopo molte sollecitazioni.
Quarantasei anni anni fa nel famoso convegno voluto da Di Liegro, conosciuto con il nome di “I mali di Roma”, fu tracciata una linea politica che cambiò per sempre il volto della città. Il nodo centrale fu per l’appunto il concetto di assistenzialismo, l’idea che non poteva esistere modernità senza inclusione, non si poteva parlare di capitale europea senza combattere la povertà, segno di una lucida visione della città e della collettività.
Qualche anno dopo, nel 1979, nacque la Caritas, poi i centri di ascolto, l’ambulatorio, le mense. Oggi, quasi mezzo secolo dopo, le strutture di accoglienza continuano ad assolvere a quell’arduo compito, seppur duramente provate dalle nuove contingenze economiche e sociali. Abbandonarle a se stesse senza neppure aprire un dialogo costruttivo per mesi interi, pensando che la beneficenza sia l’antidoto a tutto, è sintomo di assenza di una politica assistenziale a cui nessuno può più sottrarsi. Per i cittadini come per le istituzioni è arrivato il momento di sporcarsi le mani, come amava dire Di Liegro.
“L’unico valore assoluto è la dignità umana”.
(Don Luigi di Liegro)