Una volta tanto il Bel Paese non è l’ultimo in classifica in tema ambientale. Nel 2020 (e il trend è proseguito anche nel 2021) l’Italia ha superato l’obiettivo europeo dell’85% di riciclo di imballaggi in carta e cartone, raggiungendo l’87,3%.
Bruxelles ci aveva chiesto di adeguarci entro il 2035 e invece con ben 15 anni di anticipo abbiamo raggiunto il target. Il merito è di tanti comuni virtuosi, al nord come al sud, dove si sono ben compresi i benefici in termini ecologici ma anche economici della differenziata. Nove regioni hanno superato l’obiettivo del 65% di differenziata complessiva: Veneto, Sardegna, Lombardia, Trentino A. A., Emilia Romagna, Marche, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Abruzzo.
Il Lazio? E’ fuori classifica e a portare già la nostra regione è soprattutto Roma che si ferma ad uno stentato 43,8% ormai da anni (Milano è al 62,7, Parma all’82,6!!). In controtendenza col dato nazionale, la carta e il cartone nella capitale non si riciclano a dovere.
Intendiamoci, non tutto va in discarica, anzi Ama invia al consorzio Comieco 95 mila tonnellate l’anno provenienti dagli usi domestici e 135 mila dai non domestici. Ma la media delle città più grandi è superiore di circa un terzo. Quindi Roma per essere a livello del resto del Paese dovrebbe inviare complessivamente 306 mila tonnellate mentre si ferma a 230 mila.
Questo differenziale ha un costo non solo ambientale ma anche economico che grava sulle tasse di tutti. Per trasportare il cartone in discarica, infatti, Ama spende più di 7 milioni di euro l’anno. La mancata vendita al consorzio (che paga 119 euro a tonnellata), provoca un mancato incasso di 4 milioni l’anno.
Dunque, non fare un corretto riciclo di carta e cartone ci costa 11 milioni di euro che vanno ovviamente a rincarare la Tari. Non basta: una corretta filiera della carta dà lavoro a molti operai locali. Solo nel Lazio sono attivi 12 stabilimenti che rappresentano il 7% dell’occupazione dell’intero settore nazionale.
Ma quali materiali cartacei si possono (e debbono) riciclare? Si va dall’ovvio e cioè giornali, riviste, dépliant, volantini, sacchetti per la spesa in carta, foglietti illustrativi dei farmaci a tutti gli imballaggi in cartone ondulato, contenitore del latte e dei succhi in tetrapak. Poi ci sono le piccole confezioni in cartoncino come le scatolette del dentifricio, dei prodotti alimentari o dei detersivi.
Cosa invece non si può riciclare: i fazzoletti usati, la carta da cucina troppo unta, carta sintetica (composta da alluminio come quella per alimenti che va conferita nei contenitori per ferro e alluminio).
Una volta arrivato in cartiera, il materiale viene riprocessato e diventerà nuova carta con gli stessi usi domestici o di imballaggio. Quindi è un ciclo teoricamente infinito, la cosiddetta economia circolare. Oggi, in Italia, i nuovi imballaggi sono prodotti all’81% con materiale riciclato.
Se è vero che l’Italia sta facendo grossi passi avanti, secondo Greenpeace, gli italiani sono tra i più alti consumatori al mondo: 200kg a testa l’anno, circa 80 risme di A4. Ecco perché riuscire a riciclarla è particolarmente importante. L’agenzia americana per l’Ambiente EPA, calcola che differenziarla riduce del 35% l’inquinamento idrico nel settore industriale e del 74% quello atmosferico (relativamente alla produzione di cartone).
Roma, dunque, rimane indietro rispetto ad un processo tanto virtuoso e per rimetterla in carreggiata occorre l’impegno di tutti. Se si trovano cassonetti troppo pieni (cosa frequente) dovremmo cercarne altri oppure riportarci in casa il materiale e attendere che questi vengano svuotati. Gettare la carta o il cartone in terra significa mandarlo automaticamente alla discarica, anche se si lascia accanto al cassonetto.
Ama dal canto suo deve rendere più frequente il passaggio dei camion per facilitare la vita degli utenti e agevolare il processo di spedizione verso i consorzi.