Finalmente Michela Di Biase ha compiuto il gesto che tanti le avevano chiesto: ha rinunciato al doppio incarico, dimettendosi dall’assemblea capitolina e scegliendo il seggio in Regione. La consigliera Pd, era stata eletta lo scorso 4 marzo alla Pisana ma in un primo momento aveva annunciato che non avrebbe lasciato il Campidoglio.
Due seggi, uno dei quali nel consiglio comunale della Capitale d’Italia, sono contrari allo statuto del Pd, ma anche al buon senso. Svolgere l’incarico di consigliere comunale è lavoro complesso che richiede molto impegno soprattutto in un momento storico come questo, con un’amministrazione che dimostra ogni giorno di più la propria inettitudine. Nello stesso tempo, il ruolo di consigliere regionale è estremamente importante, dato che in Regione si fanno leggi e regolamenti che hanno conseguenze dirette sulla vita di ciascuno. Più volte avevamo domandato ai consiglieri comunali di opposizione di scegliere un solo seggio proprio per avere tempo ed energia da dedicare a Roma.
Non solo Di Biase, dunque, ma anche Roberto Giachetti (Pd), Stefano Fassina (Leu) e Giorgia Meloni (Fdi), sconfitti nella corsa a sindaco e tutti e tre deputati. E’ pur vero che a Montecitorio il lavoro sta diventando sempre più scarso, dato che il governo non ha presentato neanche un disegno di legge da quando è in carica. Ma Roma ha bisogno di un impegno a tempo pieno, di persone che si dedichino a studiare le delibere della giunta ed eventualmente a smontarle o modificarle. Senza una vera opposizione, la Raggi e la sua inetta amministrazione possono commettere ancora più errori.
La Di Biase, che è anche moglie dell’ex ministro Franceschini, ha spiegato che la sua scelta “è arrivata dopo mesi di profonda riflessione perché i grandi temi che riguardano Roma vanno affrontati in maniera più incisiva”. Amen rispondiamo noi. Ma il beau-geste della ex capogruppo Pd non è solo frutto della sua volontà: una pressione interna al suo partito deve aver costituito un motivo in più per le dimissioni. Un membro della Commissione Nazionale di Garanzia del Pd, Aurelio Mancuso, aveva sollevato il caso doppio incarico alla commissione disciplinare del partito.
Come si legge nel post pubblicato da Nextquotidiano, Mancuso ha dovuto aspettare un anno perché la commissione si esprimesse ed è incappato in un’altra violazione, quella della Commissione di Garanzia di Roma che alla fine è stata sciolta. Insomma regole calpestate all’interno del Pd che possono sembrare questioni minori, interne ad un partito, ma che sono invece il simbolo del mancato rinnovamento dei democratici romani che ancora portano sulle loro spalle il peccato originale di aver fatto dimettere Marino in un modo assurdo, senza dibattito e senza una spiegazione vera.
Dunque ben venga il ripristino delle regole e ben vengano le dimissioni della Di Biase. Ora tocca a Giachetti che sta compiendo uno sciopero della fame in questi giorni per sollecitare il congresso nazionale del Partito. Questa doppia morale di Giachetti convince poco: da una parte fa lo sciopero della fame per chiedere il rispetto delle regole a livello nazionale e dall’altra dimentica che lo statuto vieta il doppio incarico e che dunque lui è il primo a non rispettare le regole a Roma.
Stupidaggini dirà qualcuno, soprattutto in un momento grave come questo: ieri notte il governo Conte ha approvato di portare al 2,4% il rapporto debito-pil, caricando sulle spalle delle prossime 3 generazioni almeno 15 miliardi l’anno. Una cifra monstre che difficilmente potrà essere coperta nei prossimi 10 anni, provocando dai 150 a 200 miliardi di debito in più, senza contare gli interessi. Di fronte a questo caos è giusto attaccarsi ai doppi incarichi del Pd? Ebbene noi crediamo che il rispetto delle regole debba partire proprio dai partiti e soprattutto da quelli di opposizione. Solo così avranno il volto pulito per opporsi alle castronerie della maggioranza.
Roma merita consiglieri comunali che lavorino per la città a tempo pieno. Che studino e approfondiscano. Anche perché non possono delegare tutto a cittadini che cancellano la loro vita privata per fare qualcosa che spetterebbe alle opposizioni politiche. In aula Giulio Cesare entrerà Giovanni Zannola, che non abbiamo il piacere di conoscere e che speriamo si faccia notare per iniziative rapide e concrete.