Recentemente è stata emessa una sentenza del TAR del Lazio che potrebbe modificare, e non di poco, le relazioni tra l’amministrazione Capitolina e gli operatori dei mercati rionali, con particolare riguardo allo stato di questi ultimi.
Da molti anni i mercati rionali di Roma versano in un grave stato di abbandono e di desolante desertificazione. Tra i tanti motivi che hanno portato a questa situazione c’è sicuramente il pessimo stato in cui si trovano queste strutture che porta sia ad una disaffezione degli utenti che uno scarso appeal nei confronti di nuovi potenziali operatori interessati a prendere in concessione eventuali spazi disponibili. Ma c’è anche, come riconosce la sentenza del TAR, un comportamento messo in atto dalle Associazione di Gestione dei Servizi (AGS) della gran parte dei mercati rionali di Roma che “… non è stato improntato a risultati di efficienza allocativa (ovvero incremento della qualità del servizio a parità di fondi erogati)”.
Facciamo qualche passo indietro per capire meglio la situazione. La maggior parte dei mercati rionali di Roma è gestito dalle AGS che altro non sono che forme di Associazione tra gli operatori del singolo mercato per fare fronte ad una serie di servizi (manutenzione ordinaria, sorveglianza e guardiania, pulizia, ecc.) al posto dell’Amministrazione pubblica locale. Per fare ciò l’Amministrazione ha stabilito che ogni AGS costituisca un “fondo” annuale (un piccolo gruzzolo che tanto piccolo non è) costituito dal mancato versamento (abbattimento) delle quote che ogni singolo operatore paga per la concessione del suolo pubblico del posteggio a Roma Capitale e che invece vengono versate alla AGS stessa. In teoria ogni singolo operatore non dovrebbe far altro che prendere la propria quota di affitto dello spazio pubblico interno al mercato e suddividerlo in due parti e versarne una al Roma Capitale e l’altra alla propria AGS di cui fa parte. Fino al 2016 questa torta era suddivisa, per semplificare, in una quota dell’80% alla AGS e del 20% a Roma Capitale. Dal 2017 si è tentato di modificare questa situazione.
L’allora Assessore al Commercio di Roma Capitale – Adriano Meloni – iniziò un confronto con le Associazioni di Categoria del commercio su area pubblica e con il coordinamento delle AGS per verificare la possibilità di una diversa ripartizione delle quote sopra descritte. L’idea era far fronte ad una serie di interventi di riqualificazione all’interno dei mercati rionali nel tentativo di rilanciarli rendendoli più funzionali, a norma e più accoglienti, avvicinandoli a quel modello di strutture simili al mercato di San Lorenzo a Firenze o alla più famosa “La Boqueria” di Barcellona mettendo sul tavolo la bellezza di 4 milioni di euro per la prima trance di interventi.
Dopo però un’attenta analisi degli ultimi anni dei bilanci presentati dalle AGS e della media delle spese sostenute, l’amministrazione proponeva una quota di abbattimento che passava dall’80% al 65%.
Su quello stesso tavolo nel gennaio del 2017 piombava la scure del Presidente della Commissione Commercio, Andrea Coia, che con un emendamento alla Delibera sul bilancio portava la ripartizione delle quote ad un equanime 50% per ciascun soggetto e rendendolo retroattivo già da quell’anno. La reazione delle parti sociali non si fece attendere e non fu assolutamente di gradimento di questa iniziativa solitaria ed improvvisa (ma anche improvvida) da parte del Presidente della Commissione Commercio.
Successivamente l’Amministrazione ha comunicato alle AGS la revoca di tutte le convenzioni in essere per poter procedere alla sottoscrizione di un nuovo testo che recepisse quanto stabilito dalla Delibera approvata a inizio 2017.
Per tutta risposta molti operatori singoli e le AGS hanno impugnato gli atti dell’Amministrazione davanti al TAR e sospeso i pagamenti dovuti per le annualità 2017 e 2018.
A questo punto l’intrepido Presidente della Commissione Commercio con un emendamento alla proposta di delibera sul bilancio per il 2018 fa approvare una modifica che impegna il Dipartimento al Commercio a “procedere alla revisione dei canoni da applicare dal 1 gennaio 2018 nel senso che gli operatori dei mercati rionali coperti e su plateatico attrezzato in regime di autogestione dovranno versare il 10%, 20% o 50% del canone intero” sulla base di una serie di criteri, alquanto discutibili e difficilmente applicabili, creando un meccanismo di “premialità” che permette una sorta di scorrimento verso tariffe meno gravose (e quindi lasciando più risorse nelle casse delle AGS) per quelle AGS che avessero assunto comportamenti virtuosi (?) nella gestione dei versamenti dei soci-operatori dei mercati.
Nel frattempo l’Assessore Meloni viene sostituito da quello attuale, Carlo Cafarotti, che con repentina solerzia non solo si adegua alle nuove indicazioni ma va oltre e partorisce una propria proposta di meccanismo di premialità che partendo da una quota di abbattimento del 65% arriva fino all’80% attraverso quattro “scatti” di virtuosità.
Su questo idilliaco connubio tra l’Assessore al Commercio e il Presidente della Commissione Commercio si innesta l’ultima sentenza del TAR del Lazio che respinge il ricorso presentato dalle AGS e le condanna riconoscendo la correttezza dell’operato dell’Amministrazione Capitolina in quanto riscontra nella gestione delle risorse trattenute e non versate a Roma Capitale “… numerose criticità relative alla mancata manutenzione e pulizia delle strutture e delle aree … ”.
Ora se è vero che le AGS sono state riconosciute “colpevoli” di non aver esercitato la loro attività di corretta gestione delle risorse economiche, da loro legittimamente trattenute ma mal utilizzate, come si può pensare di attribuire loro un “premio” attraverso un abbattimento del canone che parta da una quota maggiore del 50% prevista dalla Delibera impugnata ma riconosciuta legittima dal TAR? E cosa avrà da dire la Corte dei Conti in merito a questo regalo ingiustificato che l’Amministrazione concede loro? Anche perché le risorse che utilizzano le AGS per svolgere quelle attività che il TAR ha riconosciuto non essere state svolte adeguatamente sono soldi pubblici che avrebbero potuto essere utilizzati per altri scopi.