Martedì scorso, nel dare la notizia della possibile rimozione della cabina elettrica che giace in via Monterone da ben sette anni, abbiamo accennato al rischio di blackout che potrebbe correre Roma tra pochi anni quando la domanda di energia elettrica sarà molto superiore ad oggi. La transizione verso l’auto a batteria e i sistemi elettrici di riscaldamento/raffreddamento sempre più diffusi nelle case e negli uffici provocheranno un forte aumento di fabbisogno elettrico. Questo è un dato di fatto, non contestato da nessuno.
Quello che invece ci è stato rimproverato da più di un lettore è il nostro scetticismo sulla capacità del sistema elettrico nazionale (e soprattutto romano) di far fronte a questo incremento di fabbisogno. “L’aumento dei consumi non è ritenuto da nessuno un problema. E anche la distribuzione che è la parte più critica è coperta dagli investimenti che si sarebbero fatti comunque“, scrive il lettore Mario in un commento. “Non dobbiamo aver paura dell’auto elettrica perché non siamo più ai primi del ‘900 quando le persone ritenevano insostenibile l’arrivo della lampadina a incandescenza“, dice la lettrice Elvira in una mail inviata alla redazione.
Vale allora la pena sgombrare subito il campo da possibili equivoci. Chi scrive non è contrario all’avvento dell’auto elettrica tanto da averne acquistate già due per uso personale. E tanto meno possiamo essere tacciati di conservatorismo o di aver paura delle innovazioni. E’, però, nostro dovere porci delle domande e analizzare tutti i dati e tutti gli scenari. Diarioromano lo fa di default ed è la sua ragione di vita. Chi vuole prendere per buone le versioni ufficiali fornite dai governi o dalle amministrazioni pubbliche può leggere il restante 90% dei media italiani. A noi piace ragionare e non passare le veline che vengono distribuite. Per cui, dovrete perdonare la lunghezza di questo articolo, ma è necessario partire dall’inizio e spiegare in maniera la più semplice possibile come funziona il sistema elettrico italiano (e romano). E poi analizzeremo gli scenari capitolini, con un breve accenno alla situazione nazionale.
Come arriva l’energia elettrica alla presa di casa
La produzione: l’elettricità, come tutti sanno, non è disponibile in natura per cui occorre produrla partendo da altre fonti di energia. In Italia vengono usate per circa la metà fonti fossili (petrolio, carbone e gas); per circa il 35% fonti rinnovabili (idroelettrico, solare, eolico) e per la restante parte l’elettricità viene importata dall’estero, in particolare dalla Francia.
La trasmissione. Una volta prodotta nelle centrali, l’energia inizia a correre in linee ad alta tensione e sottostazioni che la trasformano in tensioni più basse. Questa funzione viene svolta esclusivamente da Terna, la quale deve garantire un equilibrio costante tra domanda e offerta. Perché – questo è un punto importante – l’energia elettrica non si può stoccare. Tanta ne viene prodotta e tanta ne deve essere usata, altrimenti va perduta.
La distribuzione. I distributori sono coloro che conducono l’energia fino alle case o agli uffici o alle fabbriche e lo fanno con una tensione più bassa, per cui devono essere dotati di diverse cabine di trasformazione, fino a quelle secondarie che portano la tensione da media a bassa. I distributori operano sui territori locali in regime di concessione e a Roma abbiamo Acea/Areti. Vi sono poi i venditori ma in questa sede tralasciamo la parte puramente commerciale.
Quando il lettore Mario scrive che la distribuzione è la parte più critica si riferisce a questo terzo elemento ed è quello che in effetti preoccupa anche noi. Oggi a Roma la distribuzione vive una realtà molto eterogenea. Vi sono quartieri dove l’energia distribuita è accettabile a altri dove è del tutto insufficiente tanto che se si vuole chiedere una trifase al Salario/Trieste si può attendere mesi prima di vederla attivata (quando va bene). Per non parlare del centro storico dove anche a grandi negozi o uffici viene erogata potenza col contagocce. La risposta ufficiale di Acea/Areti è che nella zona non vi è una rete di distribuzione sufficiente. Le cabine secondarie, come quella di via Monterone, sono vecchie, malmesse e posizionate in luoghi angusti che non permettono l’ampliamento. Questo perché negli anni si è seguita una politica miope di imporre la presenza di cabine a chi chiedeva una potenza leggermente più alta della media. Politica che prosegue tutt’ora col risultato che spesso le cabine vengono posizionate in scantinati, garage o aree condominiali dove diventa difficile effettuare interventi per migliorarne la capacità.
Nel corso di tutte le ultime estati si sono registrati blackout di interi quartieri durati giornate complete sol perché la domanda di energia era più alta della media per via del massiccio uso dei condizionatori. Il picco si è toccato nel luglio 2023 quando Corcolle, Tor Pignattara, Appio Latino, Ostia, Marconi, Centro Storico, Trieste e Africano sono rimasti al buio contemporaneamente per ore se non giorni. Eppure l’incremento di richiesta per i condizionatori è davvero modesto rispetto a quello che si registrerà quando le auto elettriche saranno il 30/35% del parco circolante.
Il caso California. Quello che è successo in uno dei più ricchi stati degli Usa nel 2022 ha provocato l’allarme di alcuni esperti. Ram Rajagopal, uno dei più stimati docenti della Stanford University, alla guida del dipartimento di Ingegneria Civile, ha lanciato uno studio sull’impatto della mobilità elettrica sulla rete energetica. Secondo l’analisi, il deficit di energia è oggi di 1.700 megawatt, pari al fabbisogno di 1,3 milioni di abitazioni che rischiano di restare al buio soprattutto alla sera quando le fonti solari smettono di erogare energia ma la gran parte dei veicoli viene attaccata alla spina per la ricarica. Secondo Rajagopal nel 2030 vi sarà un picco di domanda alla sera che la California non sarà in grado di soddisfare.
I timori britannici. Già nel 2022, la Commissione Trasporti della Camera dei Comuni aveva commissionato un rapporto in base al quale entro il 2030, l’adozione della mobilità elettrica nel Paese avrebbe messo in pericolo la tenuta della rete di distribuzione. Tanto è vero che il premier Sunak ha deciso di rinviare il bando delle auto a combustione al 2035 e secondo alcuni vi sarà un ulteriore proroga fino al 2040.
Elon Musk, che non può certo essere tacciato di opporsi all’auto a batteria, ha previsto che entro il 2045 la domanda di energia elettrica negli Stati Uniti triplicherà ma che la rete non sarà in grado di erogarla. Uno studio di Deloitte avverte che o gli USA spenderanno 1.800 miliardi di dollari entro il 2030 o il paese non riuscirà a far fronte alla richiesta.
In questo scenario globale, sarebbe imprudente non porsi delle domande sulla tenuta italiana e in particolare romana. Se oggi non possiamo garantire l’accensione di più climatizzatori al Tiburtino perché le cabine secondarie non ce la fanno, cosa succederà domani con centinaia di migliaia di auto elettriche assetate di energia?
In realtà il problema Acea/Areti se lo è posto da tempo, proprio perché l’azienda è consapevole delle proprie mancanze.
Roma. Il territorio capitolino ha una rete di distribuzione di circa 31.000 km e alimenta 2,9 milioni di abitanti (1,6 milioni di utenze). Nel 2022, l’energia distribuita ammontava a 10,02 TWh, corrispondente a 2.092 MW di picco registrato il 25 luglio alle ore 15.00.
Le cabine primarie, quelle che trasformano l’Alta Tensione (AT) in Media Tensione (MT) sono 70 e alimentano 13.347 cabine secondarie che portano la MT in Bassa Tensione (BT) che arriva nelle case. Per via della particolarità storica e architettonica di Roma, i cavi aerei sono per lo più vietati (meno male) per cui il 92,4% dell’energia corre in cavi interrati che ovviamente sono di più difficile manutenzione.
Consapevole delle difficoltà registrate nel Comune di Roma, Arera (l’autorità di controllo e regolazione del settore) ha previsto una serie di multe nei confronti di Areti/Acea se questa non migliorerà le proprie performance (multe che saranno retroattive e si calcoleranno a partire dal 2020). Nel corso del 2022 le interruzioni senza preavviso sono calate di 13,9 minuti rispetto al 2019 per gli utenti di bassa tensione passando da 43,8 a 29,9 minuti. Non si conoscono ancora di dati del 2023 ma c’è da supporre non siano buoni.
Come ha fatto Acea/Areti a migliorare leggermente il servizio, seppur ancora di mediocre livello? Ha realizzato nuove linee di MT per le cabine primarie ma deve ancora intervenire su quelle secondarie, il vero punto debole del sistema. “Con l’obiettivo di contenere il rischio di disalimentazione ….(omissis) … è prevista la realizzazione di interventi strutturali …(omissis)… sulle cabine secondarie (es. ricostruzione cabine secondarie con specifici criteri progettuali)“, è quanto scrive l’azienda nel proprio piano di sviluppo.
Il tema più delicato riguarda la rete di bassa tensione nel Comune di Roma. La grande maggioranza di questa rete è costituita da vecchi sistemi trifase a tre conduttori, realizzati per lo più negli anni ’60 e ’70 e via via “rattoppati” (se ci consentite il termine). I quartieri più moderni prevedono invece una trifase a quattro conduttori. Il lavoro indispensabile per erogare quantità di energia sufficienti anche alle auto elettriche è quello di uniformare i due sistemi, portandoli tutti a quattro conduttori. Ma Acea/Areti sa benissimo che la difficoltà sta tutta qui tanto che scrive: “Uno degli aspetti più critici di tale trasformazione, risiede nelle modifiche (omissis) da effettuare sulla rete, in parte posata all’interno di proprietà private“.
Insomma oggi le vetuste cabine che ci ritroviamo nei palazzi e nelle cantine sono il vero collo di bottiglia e difficilmente in sei anni si riuscirà a modernizzarne quasi 10 mila!
Di quanta energia avremo bisogno?
Come si legge dalla tabella sopra¹, il fabbisogno nazionale crescerà dagli attuali 320 TWh a 418 nel 2040. Si tratta di un incremento dovuto per la gran parte all’auto elettrica (dai 12 TWh attuali a 64) e in modo minore alle abitazioni (da 161 a 182), mentre l’industria resta stabile.
Circa 98 TWh in più in 16 anni non sono pochi da produrre anche se gli studi dell’RSE² (la controllata pubblica che si occupa di ricerche sul sistema energetico) sostengono sia fattibile. Occorre puntare sulle rinnovabili ma in Italia per installare un nuovo impianto servono 30 diversi pareri e molti anni per ottenere i permessi³. I costi inoltre saranno elevati: secondo le previsioni di A2A, l’utility lombarda, per adeguare la rete della sola città di Milano si dovranno spendere 1,5 miliardi, il che fa presupporre cifre molto più alte per Roma. Gli investimenti sulle reti italiane – sempre secondo A2A – sarebbero superiori a 60 miliardi.
Le politiche europee, nazionali e pure quelle capitoline spingono per l’auto elettrica come raramente si è visto fare in passato per altri beni di consumo. L’Italia, ma soprattutto Roma, arriverà pronta all’appuntamento del 2030? La nostra città sarà in grado di far fronte a una domanda di energia così alta? Il dubbio occorre porselo e il dibattito sul nostro giornale è aperto a chi vorrà dire la sua.
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¹Fonte: piano di Sviluppo Areti, rilasciato nel novembre 2023
² E Muoviti: mobilità elettrica a sistema RSE View
³ Piano 2030 del settore elettrico. Agostino Re Rebaudengo-Elettricità Futura (Confindustria)
Una risposta
Complimenti per l’articolo e grazie per il dibattito che state supportando. Sono il Mario citato nel post.
Vorrei aggiungere qualche ulteriore spunto di riflessione:
– le previsioni di consumo della mobilità elettrica secondo me sono troppo “ottimiste” visto il trend attuale, siamo tra gli ultimi in Europa. Assumendo infatti un 40% di penetrazione sul totale delle auto circolanti al 2040, la stima dei consumi è di circa 40 e non 60 TWh ( https://www.vaielettrico.it/sistema-elettrico-e-ricarica-dei-bev-una-sfida-e-unopportunita/ ). Una differenza importante.
– le auto tipiche del romano fanno pochi km al giorno e quindi necessitano di piccole ricariche che possono essere facilmente programmate o incentivate in orari di minor picco differenziando la tariffa elettrica (a differenza dei climatizzatori ad esempio).
– citate l’esempio della rete elettrica USA che però è messa enormemente peggio della nostra. La rete europea è già più integrata di quella statunitense (come fate notare voi, importiamo molto del nostro fabbisogno proprio perché la rete è integrata).
Tutti questi elementi mi portano a dire che il problema è più a 6 mesi che a 6 anni. Questo perché gli investimenti, sia in distribuzione che in generazione di energia, in Italia sono lenti per i vincoli burocratici. E perché peserà secondo me molto di più la domanda per riscaldamento\raffrescamento delle abitazioni per i cambiamenti climatici. D’altronde il blackout che citate dell’anno scorso è appunto realtà e non è certamente avvenuto per le auto elettriche (io ci sono anche finito vittima). Tra 6, 7 o 8 anni probabilmente la rete e la generazione saranno adeguate e magari si sarà sviluppata la tecnologia del vehicle to grid che aiuterà uno dei vincoli che identificate nell’articolo (lo stoccaggio dell’energia). Questo mi porta ad essere ottimista sul futuro e molto pessimista sulla prossima (o prossime) estati. Rispetto all’anno scorso la rete è rimasta più o meno la stessa a Roma ed in consumi saranno leggermente in aumento per quelle poche auto elettriche in più e per il caldo in più, quindi il blackout è assicurato.