Come ampiamente previsto, gli attivisti del M5S hanno acconsentito al cosiddetto “mandato zero”, l’escamotage (a Roma la chiamiamo furbata) per consentire il terzo mandato agli eletti, e alla possibilità per il Movimento di fare alleanze elettorali a livello comunale.
Virginia Raggi è quindi autorizzata a ricandidarsi l’anno prossimo, potendo addirittura cercare un accordo con il PD romano, benché praticamente tutti nel PD abbiano già chiarito che mai appoggeranno una riconferma dell’attuale sindaco.
Si tratta della deroga a due norme fondative del MoVimento, come ha anche sottolineato l’ex capo politico dello stesso, Luigi Di Maio:
“Siamo in una fase molto delicata, il MoVimento sta affrontando una prova di grande maturità e sta evolvendo.
Si appresta a crescere e lo deve fare senza abbandonare i propri valori: legalità, rispetto del cittadino e giustizia sociale.“
Si tratterebbe quindi di evoluzione del MoVimento e non di tradimento dei principi sulla base dei quali lo stesso negli ultimi anni è divenuto tra le maggiori forze politiche del paese.
E sia.
C’è però un’altra mutazione evoluzione che è avvenuta nel Movimento senza che sia stata annunciata, decisa o votata e riguarda la presunta “purezza” degli eletti del Movimento, ossia l’incompatibilità con qualsiasi iniziativa di natura giudiziaria nei loro confronti.
Ecco come scriveva Virginia Raggi nel 2015:
Ebbene questa cosa non è più valida, è stata superata già fin dal primo avviso di garanzia che la stessa Virginia Raggi ricevette nel 2017.
Ma soprattutto l’assoluta compatibilità di un eletto del M5S con un avviso di garanzia, un’indagine, o addirittura un rinvio a giudizio con tanto di udienze alla sbarra come imputato è stata ormai abbondantemente dimostrata da Marcello De Vito, l’attuale presidente dell’Assemblea Capitolina.
Ecco cosa scriveva Di Maio, allora capo politico del M5S, appena saputa la notizia dell’arrestodi De Vito:
“Marcello De Vito è fuori dal MoVimento 5 Stelle. Mi assumo io la responsabilità di questa decisione, come capo politico, e l’ho già comunicata ai probiviri.
Quanto emerge in queste ore oltre ad essere grave è vergognoso, moralmente basso e rappresenta un insulto a ognuno di noi, a ogni portavoce del MoVimento nelle istituzioni, ad ogni attivista che si fa il mazzo ogni giorno per questo progetto.Non è una questione di garantismo o giustizialismo, è una questione di responsabilità politica e morale è evidente che anche solo essere arrivati a questo, essersi presumibilmente avvicinati a certe dinamiche, per un eletto del MoVimento, è inaccettabile. De Vito non lo caccio io, lo caccia la nostra anima, lo cacciano i nostri principi morali, i nostri anticorpi.
Ciò che ha sempre distinto il MoVimento dagli altri partiti è la reazione di fronte a casi del genere. De Vito potrà e dovrà infatti difendersi in ogni sede, nelle forme previste dalla legge, ma lo farà lontano dal MoVimento 5 Stelle“.
Peccato per Di Maio ma soprattutto per il MoVimento che in realtà l’espulsione di De Vito non sia mai avvenuta.
La cosa è rimasta sempre sotto traccia, un non detto che ha fatto comodo sia al diretto interessato, che con una sfacciataggine mai vista prima ha mantenuto la carica di presidente dell’Assemblea Capitolina anche in carcere ed ora a processo, che al M5S che ha difficoltà a spiegare la cosa.
A
fine luglio avevamo parlato della presunta intenzione di Marcello De Vito di lasciare il MoVimento e la cosa sembrava aver avuto una conferma lo scorso 13 agosto, quando con un
lungo post sulla sua pagina facebook il presidente pareva annunciare l’intenzione di fondare un nuovo soggetto politico.
Poi l’altro giorno un
nuovo post che invece conferma l’appartenenza piena di De Vito al MoVimento, col presidente che chiede la convocazione degli Stati Generali:
“L’importanza degli Stati Generali e del confronto democratico.
Basta arrocchi.
Da tempo sostengo che è necessario convocare gli Stati Generali.“
E per rispondere ad alcuni commenti che mettevano in dubbio l’appartenenza di De Vito al MoVimento ecco la sua inequivoca risposta:
Possiamo quindi dare per appurato che anche sul fronte del giustizialismo il M5S si è “evoluto” fino a tollerare ormai ogni tipo di status da parte dei suoi eletti.
Solo a Roma ci ritroviamo con il sindaco Raggi al processo di appello per l’accusa di falso, prossima udienza ad ottobre, e il presidente dell’Assemblea Capitolina De Vito a processo di primo grado per corruzione.
Non male per chi chiedeva di cacciare gli indagati.