Partiamo dal bell’articolo di Walter Veltroni pubblicato su Oggi, estraendone un paio di brani.
Anzitutto l’incipit:
“Quando scende la saracinesca di una sala cinematografica spesso è per sempre. I ristoranti e i bar che chiudono magari dopo un po’ riaprono con il promettente cartello “nuova gestione”. Il cinema ha resistito a tutto, durante il Novecento. Alla guerra, alla povertà, alla televisione. Ora, nel disinteresse totale, si stanno spegnendo ad uno ad uno gli schermi. Dove c’è stato Chaplin o Totò, ora c’è un supermercato on un Bingo.”
Quindi un’altra riflessione:
“Ma questo vuol dire che le sale devono essere lasciate al loro destino, come balene spiaggiate? Io credo che la grande crisi che il cinema tradizionale sta vivendo meriti dei cambiamenti non solo nelle politiche pubbliche ma anche nelle scelte di chi i film li pensa, li fa, li produce e di chi gestisce le sale. Si deve essere coscienti che i cinematografi devono diventare il luogo in cui si offre qualcosa di diverso dalla fruizione comoda della piattaforma in casa. Luoghi che abbiano accoglienza, poltrone, cibo, qualità tecnologica della visione e dell’ascolto e, soprattutto, che creino ciò di cui si ha più bisogno: una comunità di persone, come nei vecchi d’essai, unita dalla curiosità e dalla voglia di parlare di cinema e di vita.”
E qui a seguire Veltroni fa gli esempi dell’Anteo di Milano e della Sala Troisi a Roma.
Non potremmo essere più d’accordo con questo articolo di Walter Veltroni e nel nostro piccolo abbiamo provato a più riprese a spiegare queste tesi. Lo abbiamo fatto in genere per illustrare i motivi per cui a nostro avviso il cinema Metropolitan di via del Corso non deve essere convertito interamente in un grande spazio commerciale, ma gli stessi concetti si posso applicare all’ex cinema Maestoso, così come a tutte le sale cinematografiche che a Roma sono state chiuse e si stanno cercando di trasformare in spazi puramente commerciali.
L’articolo di Veltroni esce nei giorni in cui continua il battage mediatico che spinge per la riconversione del cinema Metropolitan. Da ultimo ne ha parlato anche La Repubblica, dopo che se ne era occupato Il Corriere della Sera, Il Foglio, Il Fatto Quotidiano, tutti con la stessa identica tesi: c’è una proprietà che aspetta da anni il via libera della Regione Lazio per la riconversione del cinema e questo blocco sta fermando grossi investimenti, decine di posti di lavoro ed anche la riapertura di due vecchi cinema di proprietà comunale, grazie al contributo straordinario derivante dalla riconversione.
Nessuna delle testate che si chieda perché la Regione Lazio non vuole dare l’assenso, nessuna che colga il danno di cancellare l’ultima sala cinematografica di via del Corso, ben sapendo che non se ne apriranno mai più.
Da chiedersi se si tratta dell’ormai consueta sciatteria della stampa main stream, o se di un’estremamente efficace opera di convincimento che sta facendo la proprietà del cinema Metropolitan.
Noi del cinema Metropolitan ne abbiamo scritto l’ultima volta ad aprile scorso, provando ad illustrare tutti i dettagli della questione così che chiunque possa farsi un’idea compiuta.
A noi sembra che l’unica istituzione che stia tutelando l’interesse pubblico sia la Regione Lazio, dopo che il Comune di Roma con l’amministrazione Raggi ha incredibilmente dato il via libera alla riconversione (parlammo a quel proposito di vera e propria “porcata” documentandone i motivi).
Come scrive giustamente Veltroni, un cinema non è come tutte le altre attività commerciali, non puoi farci altro e poi sperare che qualcuno lo riapra. Una volta riconvertito un cinema sparisce definitivamente e con esso sparisce il prezioso servizio culturale che svolge.
Come si può pensare che a via del Corso, strada dove anche i portoni sono stati trasformati in negozi, si possa cancellare l’ultimo cinema per far posto all’ennesimo spazio commerciale?
Se la proprietà dello stabile continua a provare, legittimamente, a fare il colpo grosso puntando ad una riconversione completa (stile ex cinema Etoile di piazza San Lorenzo in Lucina), è indispensabile che le istituzioni riaffermino l’interesse pubblico a che una presenza culturale non simbolica venga mantenuta in quel luogo.
Invece di lamentare all’unisono che la “povera” proprietà non riesce a fare il colpo grosso, le varie testate farebbero miglior servizio ai propri lettori, e a Roma, spiegando che basterebbe alla suddetta proprietà presentare un progetto di riconversione dello stabile al 50% per poter cominciare domattina i tanto agognati lavori.
Speriamo davvero che la Regione Lazio tenga il punto sul cinema Metropolitan, così anche da dare un chiaro segnale a tutte le proprietà degli altri cinema romani: le sale non si cancellano, se occorre si ridimensionano quanto previsto dalle norme ma poi le si fa ricominciare ad offrire quei servizi culturali, e perché no anche sociali (vedasi Sala Troisi), che sono indispensabili per i cittadini.