È notizia di questi giorni la decisione dell’amministrazione comunale di Firenze, guidata dal Sindaco Nardella, di prevedere un 70% minimo di prodotti toscani per ristoranti e attività alimentari del centro storico cittadino (salvo deroghe da stabilire ad hoc).
Si tratta della seconda fase del cosiddetto “Regolamento Unesco” che a gennaio la giunta Nardella approvò e che fu confermato in Consiglio Comunale, pur con non pochi mal di pancia anche in seno alla maggioranza.
La motivazione che ha portato al varo di questo regolamento è stata la volontà di salvare l’identità storica del cuore turistico di Firenze, pregiudicata da una vera e propria invasione di minimarket con alcolici e internet point, pizzerie a taglio e money transfer. Ed il grimaldello utilizzato per ovviare alle ormai tristemente famose liberalizzazioni della legge Bersani (che nel 2006 deregolamentarono il commercio cittadino) è stato il Codice dei Beni Culturali e l’essere il centro di Firenze patrimonio dell’Unesco.
Già con il regolamento approvato a gennaio si sono fissati limiti molto stringenti per le attività commerciali del centro storico, come il requisito di avere un minimo di 40 mq di spazio di vendita più un bagno accessibile ai disabili, il divieto di esporre alcool in vetrina, il divieto assoluto per attività che vendono pizza in forma esclusiva o per la somministrazione con distributori automatici, il divieto di vendere alcool dalle 21 alle 6.
Ora con la previsione che per gli esercizi alimentari del centro storico almeno il 70% dei prodotti sia di origine toscana si introduce un nuovo forte vincolo, sempre con l’obiettivo di arrestare lo snaturamento dell’area centrale di Firenze, interessata anch’essa da fenomeni di globalizzazione e omologazione al basso.
A noi alcune previsioni di questo regolamento Unesco di Firenze appaiono esagerate e difficilmente difendibili in caso di ricorso alla giustizia amministrativa. Però è senz’altro apprezzabile il tentativo di porre un freno alla perdita di identità di una delle capitali della cultura mondiale.
Perché invece se su questi temi giriamo lo sguardo verso la nostra disgraziata città, c’è da farsi prendere dallo sconforto più totale. Non solo nessuna recente amministrazione ha minimamente pensato di governare questi fenomeni commerciali, lasciando che i veri negozi di vicinato ed artigiani venissero sostituiti da minimarket-rivendite-di-alcool o pizzerie, paninerie o kebab; ma anche laddove qualcuno ha predisposto delle modifiche normative utili a fermare questa invasione (la Commissione Commercio dell’ultima legislatura con il prezioso aiuto della consigliera Naim), il commissario Tronca non si decide a promulgarle, lasciando che le mucche continuino a fuggire dalla stalla (che ormai è quasi del tutto vuota).
Senza contare che sui temi del commercio, così critici per la città tutta, ancora si deve udire anche solo un sussurro da qualcuno dei candidati sindaco. Anzi no, qualcuno ne ha parlato del commercio: è stato Storace che ha difeso le bancarelle dicendo che limitarle oggi sarebbe una catastrofe per i titolari. Praticamente una barzelletta.
Una risposta
La via giusta è quella imboccata dal Sindaco di Firenze: non ce ne sono altre per “salvare” i centri storici delle nostre città.
Ma il nuovo sindaco di Roma, chiunque sarà, avrà gli attributi per attuare un’iniziativa simile?