Pochi giorni fa vi abbiamo dato conto dell’assurdo post della Sindaca col quale si vantava di aver rimosso tredici cartelloni abusivi. Il Campidoglio, insomma, spende soldi pubblici per fare quello che potrebbe essere fatto gratis dai concessionari se solo si applicasse la riforma pronta da cinque anni e mai entrata in vigore.
Oggi vi raccontiamo un caso emblematico del caos che regna in città nel settore della pubblicità esterna. Un lettore, Lorenzo G., ci segnala la comparsa di questo cartellone in via Panaro, in zona Nemorense, a ridosso di una scuola. Negli ultimi anni in quel punto non c’era mai stato un impianto per cui la domanda che ci viene posta è se si tratti di una installazione regolare o meno. Prima di rispondere vediamo nel dettaglio le fotografie che ci sono state inviate.
Nell’ultima foto si vede che sui pali di sostegno sono riportati due targhette: una identificativa della banca dati comunale che però è incompleta, perché non riporta l’indirizzo del cartellone come invece dovrebbe essere specificato. Sull’altra, dove è indicato il nome della ditta, si legge “trasformazione impianti”. Cosa vorrà dire e soprattutto è consentito in questo momento ai concessionari movimentare i cartelloni?
E’ la domanda che ci pone il lettore alla quale non è facile dare una risposta proprio per la confusione che vige nel settore. In linea di massima lo spostamento e la trasformazione sono consentiti in quanto resta ancora in vigore una delibera del 2008 che permetteva le ricollocazioni e gli accorpamenti purché fosse presentata una domanda alla società Aequa Roma. Se dopo 30 giorni non si è ottenuta risposta, vale la regola del silenzio assenso. E’ possibile, dunque, che questo impianto sia frutto dell’accorpamento di due cartelli più piccoli per i quali è stata presentata domanda.
Il dubbio però resta perché non possiamo sapere se siano stati rispettati i termini o se davvero la somma dei due precedenti formati consenta la nascita di questo 4×3. Il settore, infatti, resta in un limbo voluto dall’attuale giunta che non si decide a mettere in atto la riforma approvata nel luglio del 2014 dall’allora amministrazione Marino, voluta da Marta Leonori assessore dell’epoca alle Attività Produttive. Quella riforma non solo avrebbe assegnato con maggiore chiarezza le concessioni tramite bando di gara per cui sul territorio avrebbe potuto operare solo chi aveva vinto la gara, ma avrebbe dato incarico ai concessionari di vigilare sull’abusivismo e di rimuovere eventuali cartelli irregolari.
In quel modo, i cittadini non si sarebbero dovuti attivare come stanno facendo adesso per capire se un certo cartellone è ammesso o meno, perché sarebbe stato nell’interesse di chi ha l’esclusiva di quel circuito tenere pulite le strade da concorrenti sleali.
Il motivo per cui questa riforma non è ancora stata mandata a regime resta oscuro. L’attuale assessore, Carlo Cafarotti, aveva annunciato una nuova versione di quel documento entro marzo del 2019 ma nulla è stato fatto, dopo aver accumulato tre anni di colpevole ritardo.
Nel frattempo il Campidoglio non incassa tanti soldi che la riforma avrebbe potuto fruttare (circa 25 milioni l’anno), i cittadini non godono dei servizi che la riforma avrebbe garantito (in primis un vero bike sharing) e le ditte serie continuano a lavorare senza certezze per il loro futuro. Una situazione che scontenta tutti tranne forse poche imprese senza scrupoli che prosperano nel caos.
Ecco perché la sentenza della Cassazione di queste settimane è di grande importanza, perché conferma che il Campidoglio ha forti responsabilità nei confronti dei cittadini e non se ne può lavare le mani. La storia risale a qualche anno fa quando il vento provocò il distacco di un cartellone dalla propria sede che finì per investire una giovane che viaggiava sul motorino. Il Comune provò a scaricare tutte le colpe sulla ditta che non aveva manutenuto l’impianto a regola d’arte ma la malcapitata proseguì nel giudizio fino a che pochi giorni fa la Cassazione le ha dato ragione: “Il Comune, in quanto proprietario delle strade, è obbligato a vigilare sullo stato di conservazione e buona manutenzione di cartelloni e insegne”.
Insomma, come la Raggi non può lavarsi le mani sulla corretta manutenzione dei cartelloni (come stabilito dai giudici), così non può negare le proprie responsabilità politiche sulla mancata attuazione della riforma. Si tratta di tanti soldi che sta facendo perdere alla collettività: se si quantifica il bike sharing in 25 milioni in tre anni, e se – come accennato sopra – i mancati incassi sono di 25 milioni l’anno per i Canoni di Iniziative Pubblicitari, vuol dire che in tre anni la giunta 5Stelle ha provocato un danno di 100 milioni alle casse del comune.
In tempi di ristrettezze non è poco. E la giunta Raggi dovrà darne una spiegazione.
2 risposte
Se applicassero la riforma del 2014 potrebbero tranquillamente prendersene i meriti, così come hanno fatto per i licenziamenti dei dipendenti Ama confermati dalla Cassazione. Purché si diano da fare, accetto tutto.
Concordiamo completamente.
Questo accanimento contro la riforma è assolutamente senza senso!