Lo scorso 14 maggio si sono festeggiati i primi 46 anni dal referendum abrogativo sulla legge a favore del divorzio del 1 dicembre 1970.
Con la vittoria del “No” (circa 20 milioni di cittadini favorevoli al mantenimento della legge, contro i 13 milioni contrari), l’Italia cambiò per sempre il volto della sua società, lanciandola, come scrissero i giornali di allora, in una nuova era di modernismo.
Il referendum abrogativo del 1974 fu il primo della storia repubblicana e alimentò un grande fermento politico e intellettuale sulla questione.
A due giorni dal voto, Roma fu protagonista di una grande mobilitazione cittadina dei due schieramenti. I sostenitori del “Sì” si radunarono a Piazza del Popolo, con alla testa uno tra i più importanti esponenti della Democrazia Cristiana, Amintore Fanfani. Quelli del “No” riempirono Piazza Navona. Fu una grande dimostrazione di partecipazione e di senso civico delle Istituzioni. La televisione fu la vera protagonista di questo dibattito. Gli spot pubblicitari che allora venivano mandati in onda (finanziati dai partiti, soprattutto dal Comitato del No), oggi sono delle vere e proprie fonti storiche. Nino Manfredi e Gigi Proietti furono tra i più importanti sostenitori del “No”. Anche Gianni Morandi fu coinvolto in uno spot a favore del “No”, dove comparve con sua moglie e i suoi due figli (per chi volesse vederli, alla fine dell’articolo sono disponibili i link).
Da allora avvenne una rapida trasformazione del concetto di famiglia tradizionale, in linea con quanto stava avvenendo già nel mondo.
Negli ultimi anni, in tutti i paesi in via di sviluppo, vi è stato un incremento vertiginoso delle separazioni. Secondo l’Euromonitor International entro il 2030 le separazioni, su scala globale, aumenteranno del 78,5%.
Gli studiosi ricollegano questa crescita esponenziale di divorzi al fatto che il matrimonio non viene più visto come un sacramento, come un legame indissolubile, ma come un contratto sociale, dove si inserisce con forza l’emancipazione economica della donna sempre più indipendente dalla forza lavoro del proprio compagno.
Stando agli ultimi dati, solo a Roma si è arrivati alla cifra incredibile di 10 mila divorzi annui.
Ma anche qui il Coronavirus è entrato a gamba tesa, tutte le udienze di separazione che erano state fissate nel mese di marzo sono state rimandate a data da definirsi, creando così una difficile situazione sociale, dove coppie in crisi sono costrette a vivere sotto lo stesso tetto quando non si presentano altre alternative di dimora. Un quadro preoccupante che ha accesso non poche polemiche.
Così dall’inizio della Fase 2 i presidenti dei tribunali sono convenuti sulle regole da attuare per quanto riguarda le separazioni, con il risultato che i procedimenti “urgenti”, riguardanti le crisi familiari con un alto tasso di conflittualità, non possono protrarsi per molto tempo.
Il 27 aprile, a Roma, il presidente della sezione Famiglia, Marta Ienzi, ha emanato un provvedimento con cui vengono individuate le cause prioritarie: tra queste rientrano i casi con difficili margini di mediazione o con un coniuge senza mezzi di sostentamento. Si è dato così via libera alle separazioni tramite trattazione scritta, i coniugi trasmettono al giudice le loro volontà e quest’ultimo darà la priorità ai casi urgenti. In alternativa si può ricorrere all’udienza da remoto, mentre tutte le altre condizioni di separazione, non essenziali, verranno trattate in un secondo momento in sede. In linea di massima queste disposizioni sono state accolte anche dai presidenti dei tribunali di Torino e Milano, nel tentativo di stemperare le preoccupanti insofferenze domestiche.
Non volendo addentrarci troppo nel merito delle questioni tecniche, sottolineiamo come l’istituto giuridico del divorzio, fin dalla sua istituzione, con la legge Fortuna-Blasini, con i suoi alti numeri, ha sempre costituito uno spaccato sociale del nostro paese, raccogliendo soprattutto l’attenzione della cultura con film e libri dedicati.
Non potendo ovviamente sintetizzare in poche righe la mole di contributi che sono emersi in quasi cinquant’anni di storia, in questo fine settimana, per la “Rubrica cinema”, segnaliamo altri tre film che rimarcano per l’appunto l’importanza del divorzio. Le prime due pellicole sono delle riflessioni sulla portata umana della conflittualità della coppia, perché dietro a ogni separazione vi è un grado di sofferenza su cui bisogna riflettere, vi è una contrapposizione dolorosa tra sincerità e menzogna. Infatti, quando si presenta un’istanza di divorzio, nei fascicoli si celano azioni di vita quotidiana, fragilità che non sempre è facile comprendere in un primo momento.
Il primo film è l’opera magistrale del regista iraniano Asghar Farhadi, Una separazione. Pellicola del 2011, incoronata da una miriade di riconoscimenti, tra cui anche l’Oscar come miglior film straniero.
Narra la storia di una famiglia benestante di Teheran che cerca di trovare una migliore sistemazione per la figlia adolescente in un paese occidentale. Quando il nonno di famiglia si ammala gravemente, il figlio (il marito della coppia) decide di non lasciare più la città. Questa sua scelta incrinerà i rapporti già fragili con la moglie. A complicare le cose, subentrerà la badante del nonno, una signora tradizionalista proveniente da una famiglia disagiata e residente in un quartiere povero. Devotissima all’Islam, e attenta osservante delle disposizioni della Repubblica teocratica, la donna entrerà in continuo contrasto con la famiglia che le ha offerto il lavoro. Sarà l’ennesimo elemento di disturbo nella coppia in crisi. Alla fine, i due coniugi arriveranno alla separazione, dopo aver attraversato un torbido viaggio nella contrapposizione tra tradizione e modernismo, tra borghesia e sottoproletariato, tra religione e laicità, un viaggio fatto di mezze bugie e continue dissimulazioni.
Il secondo film è Storia di un matrimonio, del 2019, scritto e diretto da Noah Baumbach, co-finanziato e distribuito da Netflix. A differenza di Una separazione, l’opera narra tutto il dramma che si consuma all’interno di una coppia, non vi sono altri personaggi che disturbano l’evoluzione della storia e non vi è una contrapposizione di classi sociali. La crisi si innesca in una famiglia borghese dove i coniugi non sono più in grado di comunicare tra loro: lui un famoso regista affermato, lei un’attrice teatrale che ha messo da parte la sua carriera quando è rimasta incinta. L’occhio del regista si concentra quindi sul vero e proprio istituto del divorzio, sui costi degli avvocati, sugli uffici di mediazione, sugli assistenti sociali e su tutte le norme da seguire per ottenere la separazione. Regole che non tengono minimamente conto della sofferenza della coppia che intanto si lacera di dolore guardandosi negli occhi, a volte in silenzio a volte no. Anche questo film ha ottenuto il successo che meritava, rastrellando premi in tutto il mondo fino all’Oscar come miglior attrice non protagonista, assegnato a Laura Derm.
Il terzo e ultimo film è un omaggio alla commedia italiana ed è un salto indietro nel tempo. Parliamo di Divorzio all’italiana di Pietro Germi del 1962. La storia è ambientata nella città siciliana di Agromonte e narra le vicende del barone Ferdinando Cefalù (uno straordinario Marcello Mastroianni), detto Fefè, e sua moglie Rosalia. L’uomo non essendo più innamorato di sua moglie rimane incastrato in un rapporto sterile, in quanto in Italia non è ancora ammesso il divorzio. Segretamente innamorato di una ninfetta sedicenne, sua cugina Angela, decide di passare ad una soluzione estrema, ovvero ricorrere al delitto d’onore: far innamorare la moglie di un altro uomo, coglierli in fragranza di reato e ucciderli. In quel caso, dimostrando di aver vendicato il suo onore di uomo sposato, Fefè potrà godere di un sostanzioso sconto di pena. Sarà un piano assurdo, con tantissimi colpi di scena e un finale imprevisto per il povero barone.
Il film portò alla ribalta internazionale l’importanza dell’istituto del divorzio in Italia. A Cannes fu incoronato come miglior commedia, ottenne anche tre candidature agli Oscar, vincendo quella come miglior sceneggiatura originale.
Tutti i film menzionati sono disponibili online sulle diverse piattaforme di streaming.
Di seguito i link degli spot del Comitato del No:
https://www.youtube.com/watch?v=hg4cBFJXOkM