Da sempre impegnati nel civismo e nelle azioni di volontariato, convinti sostenitori dell’equazione qualità della vita = qualità del territorio, e della teoria delle finestre rotte (bruttezza e degrado generano violenza) in rappresentanza dei blog e delle associazioni che da anni si battono su questi temi nell’indifferenza delle istituzioni (ad ahinoi, nel malcelato fastidio del cittadino medio), non possiamo che accogliere con favore l’avvio degli Stati Generali del Paesaggio, che si terranno il 25 e 26 ottobre a Palazzo Altemps, qui a Roma.
I quali temi e obiettivi, nonché la visione di fondo, coincidono esattamente con i nostri valori, il nostro progetto, la nostra “missione civica”. La riqualificazione dei luoghi del vivere quotidiano, ponendo l’accento non più solo sul verde pubblico (giardinetti e parchi cittadini) inteso come sinonimo esclusivo di bellezza e qualità, ma sugli spazi costruiti, le aree edificate, il cosiddetto paesaggio urbano. Con i suoi elementi costitutivi e caratterizzanti: strade, piazze, palazzi. E non solo i palazzi monumentali, badate bene, o i suggestivi vicoli e piazzette del centro storico, ma anche, e diremmo soprattutto, gli squallidi palazzoni che fiancheggiano i viali dei quartieri più popolosi, affollati e caotici. Che rappresentano sia per estensione di superficie che per numero di abitanti che ci vivono, la porzione di territorio più rappresentativa e significativa dell’identità locale e dello spirito popolare romano. Il “genius loci”, l’atteggiamento dei romani nei confronti dello spazio urbano, è facilmente riscontrabile percorrendo le strade della città, girovagando nei quartieri popolari, soffermandosi sullo stato degli edifici “intensivi” di edilizia residenziale pubblica, ovvero i palazzacci nei quali la maggior parte di noi vive. Siamo l’ambiente in cui viviamo, recita il Feng Shui. E se la casa riflette chi siamo, basta vedere i muri delle case dei romani: completamente ricoperti di graffiti vandalici.
Il centro storico racchiuso all’interno delle Mura Aureliane, è certamente la zona più bella di Roma, la più romantica e chic, la più cosmopolita e famosa: ma saremmo tutti dei bugiardi se dicessimo che rappresenta la Roma più genuina e autentica, la sua immagine più veritiera. Al contrario, il panorama diffuso, oramai conosciuto dai turisti che alloggiano spesso in alberghi di periferia, è la sterminata distesa di palazzoni dei quartieri semicentrali e periferici: l’espressione della più pura identità visiva, urbana e architettonica di Roma, che racchiude lo spirito pubblico, la cultura, il carattere e la mentalità dei romani, siano essi cittadini o politici. Un caos di sgraziati palazzoni fatiscenti e senza alcun pregio architettonico, sovrastati da migliaia di antenne televisive con i cavi penzolanti che aggiungono disordine al disordine di strade invase dalle bancarelle ed auto in sosta vietata. E cartelloni invadenti, scritte sui muri, affissioni abusive….tutto questo, duole dirlo, non viene percepito dalla stragrande maggioranza dei romani come un problema, ma anzi questa situazione disperante, questo panorama desolante e abbrutente che non ha raffronti in Europa, viene vissuto come una cosa normale, accettabile, “comoda”. E se la maggioranza schiacciante dei romani preferisce vivere nel degrado piuttosto che curare l’ambiente in cui vive (escludendo naturalmente poche eccezioni) e nel grosso del corpo sociale (politica, mondo accademico, imprenditoriale e cittadinanza) la presenza di degrado visivo è considerata marginale e trascurabile, “I problemi sono altri” si dice, allora ci troviamo davanti ad un bel problema.
Con quale spirito ci si accinge ad affrontare temi come la “Cultura del paesaggio”, quando l’abitante (elettore) medio di Roma non chiede bellezza e fruibilità dei luoghi pubblici, ma soltanto praticità e convenienza personale? Tradotto: il “soddisfacimento incondizionato” della pretesa di usare dei beni comuni a proprio piacimento e per seguire i propri interessi, essenzialmente lasciare la macchina dove capita e farsi pubblicità, o imbrattare muri e pali della luce, o posizionare una bancarella dall’aspetto allucinante, quasi sempre autorizzata dal comune distratto, o colluso.
Insomma, è facile rendersi conto che la domanda di decoro e bellezza non assilla i nostri concittadini. Anche perché la politica a livello locale, diciamo così, non ha coltivato a dovere il senso di appartenenza e la sensibilità al bello. Ma si è lasciata guidare dal calcolo politico, stringendo un patto scellerato con i cittadini basato sulla reciproca tolleranza verso i comportamenti scorretti, del cittadino come della pubblica amministrazione. Il classico voto di scambio alla “tu mi voti e io ti lascio fare quello che vuoi”. Senza contare che a Roma proliferano a dismisura le attività commerciali a basso valore aggiunto che producono danni al tessuto urbano, inquinamento visivo, disordini alla circolazione e concorrenza sleale: parliamo della cartellonistica pubblicitaria “alla romana” e della lobby dei proprietari di licenze ambulanti che prosperano in virtù dei buoni agganci con la politica, dando lavoro a migliaia di immigrati sottopagati, portando in dote pacchetti di voti e, quel che è peggio, occupando in maniera sproporzionata aree pubbliche per offrire un servizio al di sotto dello standard qualitativo europeo.
Non a caso cartelloni e bancarelle in Europa sono contigentati. Non a caso i commercianti su area pubblica e le ditte romane di cartelloni si oppongono strenuamente alla direttiva Bolkestein che porterebbe ordine, pari opportunità e riqualificazione urbana. Hai voglia a promuovere la qualità architettonica e urbanistica, se non si riesce neanche a regolamentare il commercio ambulante e l’outdoor advertising.
Ci si perdoni la digressione, ma è importante ai fini del dibattito che animerà gli Stati Generali del Paesaggio. Può un congresso di tale rilevanza, prescindere dal contesto nel quale si svolge? E quale contesto, la capitale d’Italia, dove la schiacciante maggioranza della popolazione non avverte come prioritario il tema dell’estetica urbana e sottolineiamo estetica, non decoro e pulizia o sicurezza o legalità.
Non è un paradosso che gli abitanti della capitale dell’arte, della cultura e della bellezza, ritengano secondario l’aspetto esteriore della propria città, quando non una vera e propria perdita di tempo? Non è un fatto serio e preoccupante che i romani se ne freghino della bellezza, o la ritengano appannaggio esclusivo del centro storico? E che non si capisca che il degrado genera inciviltà sociale? Andrebbe spiegato ai politici locali che sottovalutano il danno d’immagine causato dei graffiti, salvo poi accogliere i visitatori e le troupe cinematografiche in scenari da incubo che rimarranno per sempre impressi nelle foto ricordo e nei film che fanno il giro del mondo. E andrebbe pure spiegato al quel sottobosco di associazioni culturali che per interesse personale o di cordata, propala la vulgata dei “muri puliti, popoli muti” in combutta con intellettuali e giornalisti superficiali, facendo passare per arte ogni segno sul muro, dando copertura politica ai writers imbrattatori che devastano la città.
Hai voglia a dire che bisogna aumentare l’appeal turistico, se quartieri storici come la Città Giardino Aniene con le sue meraviglie architettoniche, o moderni Landmark come le stazioni di Franco Purini e Paolo Desideri, sono imbrattati da scritte di ogni tipo. E se la maggior parte degli istituti scolastici e universitari ha i muri deturpati dalle scritte, nel silenzio complice e compiacente degli insegnanti, c’è veramente di che preoccuparsi…..Per indagare il fenomeno, sarebbe interessante sapere cosa ne pensa il rettore di Roma Tre: la facoltà di architettura, che ha sede nell’ex mattatoio di Testaccio che ospita anche il Museo di Arte Contemporanea e un importante spazio multifunzionale, è da anni totalmente coperta di graffiti e manifesti abusivi. Nell’apparente disinteresse del corpo docente. Che in quel luogo di sapere e bellezza insegna ad applicare i concetti di armonia, simmetria ed equilibrio estetico. Dentro un edificio tappezzato di manifesti e scritte!
Valorizzazione del territorio e del patrimonio, accoglienza e bellezza degli edifici e degli spazi pubblici. Di questo e molto altro si parlerà il 25 e 26 ottobre a Palazzo Altemps, agli Stati Generali del Paesaggio. Al di là della retorica istituzionale, ci piacerebbe che le molte autorità e personalità intervenute per disquisire di tutela del paesaggio, si soffermino anche su quello urbano delle grandi città come Roma che sono luogo privilegiato di innovazione scientifica, culturale e istituzionale. E non parlino soltanto di bellezza naturali, polmoni verdi, giardini pubblici, monumenti e siti culturali. Ma anche di strade e facciate dei palazzi, anche e soprattutto di edilizia popolare. Il miglioramento del paesaggio passa anche per gli aspetti scenico-percettivi delle città, e in particolar modo a Roma, dal ripensamento degli infra-luoghi, la bellezza degli spazi di collegamento con il centro storico (si veda il lungotevere ricoperto in tutta la sua estensione di graffiti)
“Affinché l’accesso al paesaggio sia uguale per tutti: nelle città, va chiuso il divario fra squallori e bellezze degli spazi comuni” come si legge nella presentazione del convegno. Bene, ma prima dobbiamo convincere, o meglio, sensibilizzare i cittadini, e le istituzioni locali, al mantenimento del decoro urbano e promuovere la cultura del rispetto e delle regole condivise. Per fare questo, bisogna avere chiaro che l’assuefazione al brutto e al degrado è il primo scoglio da superare. Insieme al patto di ferro tra cittadini e amministratori locali nel segno della tolleranza accomodante all’inciviltà. Rompere il contratto sociale del “degrado porta soldi e voti”, cambiare la mentalità del quieto vivere nella bruttezza e nel disordine: facile a dirsi e difficile a farsi. Ma è la sfida più affascinante e decisiva del nostro tempo: condurre Roma nella serie A delle capitali europee, trasformandone mentalità, gli atteggiamenti e i comportamenti. Solo così si riuscirà ad attirare talenti e investimenti, generando benessere, crescita economica e posti di lavoro. E tanti romani impareranno a riconoscere ed apprezzare la bellezza che li circonda o decideranno di migliorare l’esistente, curando e abbellendo gli spazi pubblici che frequentano e attraversano ogni giorno.
Ma, lo ripetiamo, senza spezzare il patto deleterio che lega cittadini incivili e politici compiacenti, non si va da nessuna parte. Serve un piano politico, culturale e strategico per il decoro di Roma. Parlare di paesaggio senza prendere minimamente in considerazione il degrado della Capitale, e le cause che lo producono, rischia di essere un esercizio di retorica velleitario e autoreferenziale.
Confidiamo di essere smentiti, e che il problema del degrado di Roma, vero convitato di pietra, sarà finalmente affrontato con la dovuta chiarezza individuandone le cause alla base: writing vandalico, proliferazione anomala di cartelloni e bancarelle, sosta selvaggia incontrollata.
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