Ieri abbiamo letto questo pezzo de La Repubblica sul Piano di Massima Occupabilità (PMO) del centro storico e siamo trasecolati per le informazioni scorrette in esso contenute, oltre alle enormi omissioni sul tema specifico.
Ricordiamo anzitutto che i PMO sono una sorta di mini-piani regolatori in cui viene stabilito per una strada o per una piazza quante e quali Occupazioni di Suolo Pubblico (OSP) possono essere concesse, essenzialmente sulla base del codice della strada e delle altre normative vigenti, e rimandiamo ad un nostro post del 2017 per avere ulteriori informazioni.
Per spiegare quanto sopra ci si conceda un passo indietro recuperando una conferenza stampa tenutasi la scorsa settimana, martedì 30 luglio, proprio sul tema dei PMO ed organizzata da numerose associazioni di tutela e di residenti del centro storico di Roma.
La conferenza aveva lo scopo di denunciare il doppio tentativo in atto, sia da parte del Municipio I che del Comune, nella figura del presidente della commissione commercio Andrea Coia, di smontare lo strumento del PMO per puntare ad una sempre più spinta deregolamentazione in materia di OSP. In sostanza il tema è lo stesso che alla fine di giugno abbiamo provato a spiegare in un nostro post, dove tra le altre cose sottolineavamo lo strano sovrapporsi di PD e M5S per difendere gli interessi del commercio, senza che nessuno rimanesse a curare l’interesse pubblico.
La tesi delle associazioni è che lo strumento del PMO ha dimostrato di essere l’unico efficace per governare la materia delle OSP in un territorio vasto e complesso come quello del centro storico di Roma, fornendo agli operatori commerciali un quadro chiaro entro cui operare. Il problema semmai è che il PMO del centro storico non è ancora stato completato; dal 2008 al 2013 furono infatti approvate dal Municipio I oltre 160 schede di dettaglio, mentre nelle ultime due legislature, entrambe a guida PD nella persona di Sabrina Alfonsi, in sei anni di schede ne hanno approvate solo 10. Questo ha creato una discriminazione tra gli esercenti che operano in luoghi con scheda di dettaglio approvata e coloro che invece operano dove la scheda è ancora in itinere, con una disparità di trattamento che prolungandosi negli anni sta mettendo in discussione l’intera costruzione del PMO.
Qui è disponibile il comunicato stampa rilasciato dalle associazioni.
La conferenza stampa ha avuto una sua piccola eco, con un pezzo di Romatoday, uno sul Corriere Roma e due lanci dell’agenzia Dire:
ROMA. TAVOLINO SELVAGGIO, RESIDENTI: A TAR CONTRO DELIBERE COIA-I MUNICIPIO
“PRONTI A IMPUGNARE TESTI SE VERRANNO APPROVATI” (DIRE) Roma, 30 lug. – La paura e` quella di “un colpo di mano estivo” che porti all`approvazione di due delibere che, anche se di segno politico opposto, promettono entrambe “l`eliminazione definitiva dei Piani di massima occupabilita`, unico strumento che finora ha funzionato” contro tavolini e dehors in Centro storico. I residenti lanciano il loro grido di allarme per i due atti, uno comunale a firma del presidente della commissione Commercio, Andrea Coia, e uno del Consiglio del I Municipio, sul tema dei Piani di massima occupabilita` che nel cuore di Roma regolano la presenza delle occupazioni di suolo pubblico. “La delibera del I Municipio vuole eliminare la commissione tecnica lasciando tutto in mano agli uffici, mentre il Campidoglio vuole togliere la competenza sui Pmo al Municipio.Entrambi i testi, poi, danno la possibilita` ai privati di intervenire sui luoghi, sostanzialmente in cambio delle autorizzazioni. Ma se queste due delibere verranno approvate, le impugneremo al Tar”, dicono i rappresentanti di una lunga lista di comitati e associazioni che oggi si sono riunite in via del Tritone, negli spazi messi a disposizione dal gruppo del Partito democratico, supportate dalla consigliera del I Municipio, Nathalie Naim, e dal consigliere capitolino dem e gia` presidente del I Municipio, Orlando Corsetti.(SEGUE) (Dip/ Dire18:07 30-07-19 .NNNN
30 lug 18:07 – Dire
ROMA. TAVOLINO SELVAGGIO, RESIDENTI: A TAR CONTRO DELIBERE COIA-I MUNICIPIO
(DIRE) Roma, 30 lug. – Non ci sta Corsetti, che ripercorre la storia dei Piani, nati sulla base di “criteri gia` vigenti, come il Codice della strada. È fin troppo chiaro che nel momento in cui si deve scegliere tra due diritti, quello della tutela del pedone e` predominante. Quello che mi indigna e` che si voglia demolire questo strumento dicendo che ha basi errate. Sfido chiunque a confrontarmi sulla scelta dei criteri. Ma la verita`- dice- e` un`altra: si ha una visione della citta` diversa e la cosa emblematica e` che l`affondo sui Piani e` legato ad altre operazioni come quella del McDonald`s a Caracalla o del Metropolitan in via del Corso. Dove il privato e` pronto a intervenire econonicamente, l`amministrazione si mette seduta ed e` pronta ad affossare ogni vincolo e tutela”. Il consigliere annuncia anche la volonta` di presentare un nuovo testo che “affronta i temi dell`occupazione di suolo pubblico relativamente ai costi. La mia idea- anticipa- e` che in Centro storico si paghi di piu` e in periferia invece si incentivi e si preveda anche la gratuita` in alcune strade”. Presente in via del Tritone anche la consigliera Pd del IMunicipio, Sara Lilli. Anche lei ha sottoscritto la delibera sui Piani che vede i residenti del Centro storico tutti contrari.”Bisogna approfondire e condividere con loro- dice intervistata a margine della riunione- perche` la volonta` del Municipio non e` liberalizzare, ma regolamentare. Non c`e` nessuna volonta` di dismettere questo strumento, non c`e` scritto questo nella delibera che al momento e` ferma, perche` un testo cosi` funziona se condiviso”. (Dip/ Dire18:07 30-07-19 .NNNN
La Repubblica non ha ritenuto di mandare nessuno alla conferenza stampa e non risulta abbia fatto uscire nulla sull’argomento il giorno dopo.
Arriviamo quindi a ieri, quando esce il pezzo di cui al link con cui abbiamo aperto dove vengono rappresentate le sole ragioni del commercio, peraltro infarcite di inesattezze, con l’assessore al commercio del Municipio I che anziché provare a fare chiarezza getta benzina sul fuoco, contribuendo all’operazione di smontaggio del PMO.
Anzitutto l’articolo si apre con la notizia di un locale storico di Trastevere che dopo essersi visto ridurre l’OSP a 8 mq sembra aver deciso di chiudere. La causa sarebbe una “devastante ripercussione subita dal Pmo “, a voler significare che con pochi tavolini esterni non è possibile andare avanti. Al che verrebbe da chiedersi come faranno tutti quei locali che i tavolini esterni non ce li hanno ma continuano a prosperare (ci viene in mente una famosa trattoria del Pantheon, priva di dehor, dove è sempre difficile trovare posto).
Vengono poi riportati i dati della Fiepet- Confesercenti, secondo cui in 9 anni il PMO ha costretto alla chiusura il 15% delle attività, un dato francamente difficile da credere ed altrettanto difficile da dimostrare, stante la presenza di numerosissimi locali in centro storico che prosperano pur essendo privi di tavoli esterni.
Inoltre, imputare la responsabilità della chiusura delle attività di ristorazione alla mancanza di tavolini all’esterno del locale è affermazione che viene smentita dalle ultime rilevazione effettuate dalla Camera di Commercio di Roma. Nell’arco di cinque anni, dal 2013 al 2018, in tutti i rioni del Centro c’è stato un saldo negativo di imprese, tra aperture e cessazioni, di 265 attività. Ma la ristorazione ed i servizi di alloggio hanno avuto un vero e proprio boom di aperture: 1.872 contro 707 chiusure.
Grave poi il seguente passaggio della dichiarazione del rappresentante Fiepet- Confesercenti che è semplicemente falso:
“Da regolamento i Pmo andavano aggiornati ogni 3 anni, ma non è mai successo“.
A noi non risulta infatti da nessuna parte una tale previsione normativa (ben lieti di fare ammenda se qualcuno c’è la indicasse).
Riguardo invece i due esempi di locali che “avrebbero diritto” ai tavolini, giova qui ricordare che le OSP sono “concessioni”, ossia atti amministrativi con cui la pubblica amministrazione consente l’uso di risorse non disponibili da parte dei privati e riservate ai pubblici poteri.
È comprensibile come da parte degli operatori ci sia tutto l’interesse (economico) a veder riconosciuta la possibilità di mettere dei tavolini all’esterno del proprio locale sul suolo pubblico. Si perché il suolo è pubblico, cioè uno spazio che non è di nessuno in particolare perché è di tutti e per averlo in concessione (e non in autorizzazione) bisogna che ciò sia permesso dall’Amministrazione pubblica che lo concede a determinate condizioni e con specifici criteri. E possono essere anche cento anni che un operatore li ha avuti in concessione ma se da verifiche o da mutate esigenze quelle condizioni non sussistono più quella concessione deve essere revocata. Perché in ballo, in tutta questa vicenda, c’è l’interesse pubblico che si sostanzia nella possibilità, ad esempio, per un pedone di poter camminare sul marciapiede e di non dovervi scendere e finire in mezzo alla carreggiata perché questo è occupato dai tavolini, oppure perché oscura un segnala stradale, perché ingombra le strisce pedonali o perché, ancora, impedisce l’intervento dei mezzi di pronto intervento (ambulanza e Vigili del Fuoco) anche in una strada pedonale.
Sconcerta infine che un rappresentante pubblico come l’assessore al commercio del Municipio I non comprenda che ciò che deve essere tutelato per primo è proprio l’interesse pubblico e l’azione della pubblica amministrazione rispetto al pur legittimo interesse privato, come tra l’altro recita anche la nostra Costituzione della Repubblica. Meglio farebbe l’assessore a preoccuparsi di mettere in atto tutte le possibili azioni, se proprio vuole tutelare gli interessi di chi legittimamente ha avuto una concessione OSP, di contrasto all’abusivismo commerciale da parte di operatori disonesti che non solo violano i regolamenti comunali ma non pagano le tariffe che gli altri invece versano contravvenendo al principio di una sana concorrenza economica.
Per concludere, ribadiamo lo sconcerto nel leggere un articolo così di parte, disinformato e disinformante. Troviamo che in questo modo La Repubblica non fornisca un buon servizio ai propri lettori, dipingendogli una realtà molto parziale quando non falsata.
A voler pensar male, si possono mettere insieme la decisione di non partecipare alla conferenza stampa delle associazioni con questo pezzo sconclusionato di ieri, ottenendo un’immagine de La Repubblica al servizio di interessi particolari invece che a quello dei propri lettori.
Stupisce peraltro che questa discutibilissima iniziativa di parlare di PMO nei termini più scorretti e parziali possibili provenga dallo stesso quotidiano che ultimamente si è battuto contro l’apertura di un McDonald’s nei pressi delle terme di Caracalla. Si direbbe una passione per il decoro cittadino a corrente alternata, difficile da comprendere considerando le sole logiche della comunicazione.
P.s.: chi dei protagonisti del pezzo di Repubblica volesse fornire un’eventuale risposta ai nostri appunti sarà il benvenuto.