C’era una volta il cinema Metropolitan, l’ultimo grande cinema di via del Corso. Aperto la prima volta nel 1911 come Cinema Teatro America, nel 1923 aveva cambiato nome in Cinema Gioia e infine nel 1948 in Cinema Metropolitan, nome che conservò fino al dicembre 2010, quando fu repentinamente chiuso.
Fu quella una chiusura inaspettata e improvvisa, proprio nel bel mezzo delle vacanze di Natale, tradizionale momento di picco per l’attività dei cinema. La proprietà era però da poco passata di mano ed evidentemente i nuovi proprietari avevano ben altre mire che accontentarsi dei pur dignitosi guadagni che la gestione assicurava, grazie alla specializzazione dei film in lingua originale. E di pubblico quel cinema ne aveva, come attestano anche le migliaia di firme raccolte in poco tempo per cercare di scongiurare la chiusura.
Legittimamente dunque nel 2010 la proprietà decise che tutta la struttura dedicata all’attività cinematografica non fosse più giustificata e propose un cambio di destinazione d’uso.
Orbene, la normativa vigente prevede la possibilità di cambio d’uso per un edificio a destinazione culturale, ma con il limite del 50% della superficie. Trattasi, com’è facile immaginare, di norma di buon senso pensata per difendere un minimo di offerta culturale anche in zone che altrimenti verrebbero tutte riconvertite al puro commercio.
Considerato infatti che non si può vivere di solo commercio, ma che le persone hanno anche bisogno di librerie, cinema, teatri e musei, è indispensabile che le normative tutelino queste ultime destinazioni che altrimenti verrebbero naturalmente a scomparire a favore di altre molto più redditizie.
D’altronde quando qualcuno acquista un cinema lo paga in quanto tale, ben sapendo che al massimo potrà riconvertirlo al 50% in qualcos’altro, mantenendo però il resto a destinazione culturale.
Nel caso del Metropolitan la nuova proprietà deve aver invece pensato di fare il colpo grosso: acquistare un cinema e poi convincere la politica che esso non era più giustificato in quel luogo e che quindi lo si poteva chiudere, trasformando il tutto in un grande magazzino, possibilmente di qualche marchio del lusso (che fa più chic).
Ad essere precisi, da un punto di vista formale il progetto della proprietà non prevede la totale scomparsa del cinema, bensì il suo ridimensionamento a circa il 14% della superficie totale; ciò equivale, nella migliore delle ipotesi, ad una saletta da un centinaio di posti al massimo che solo la totale malafede di qualcuno potrebbe far considerare ancora un “cinema”.
D’altronde un’operazione in tutto e per tutto simile è già avvenuta a Roma, per di più non lontano proprio dal cinema Metropolitan. In piazza in Lucina infatti, sempre su via del Corso, un tempo c’era il prestigioso Cinema Etoile, anch’esso risalente agli inizi del ‘900, che però nel 2011 è stato trasformato in grande spazio commerciale mantenendo come foglia di fico una striminzita saletta cinematografica al primo piano di cui nessuno sa nulla. Godibile, seppur molto amara, la storia di quel progetto fatta dal sito Dagospia nel 2012.
Tornando al cinema Metropolitan, dopo la chiusura del 2010 ed un lungo periodo di abbandono, come a voler creare un degrado da poi porre come giustificazione per il passaggio a diversa destinazione, il progetto di riconversione è andato avanti fino alla sua definizione durante l’amministrazione Marino. Al tempo il M5S era all’opposizione in Assemblea Capitolina e si era dimostrato fermamente contrario al superamento della previsione del 50% (la vicenda fu seguita in prima persona dal consigliere Daniele Frongia).
Arriviamo infine all’attuale amministrazione Raggi con la quale, dopo anni di silenzio, improvvisamente nel luglio 2019 il progetto viene presentato in Assemblea Capitolina per l’approvazione e passa al primo colpo. Al tempo demmo conto della vicenda chiamandola “la porcata del M5S“.
Non solo infatti il M5S aveva cambiato totalmente posizione sulla cancellazione del cinema Metropolitan, ma una serie di osservazioni molto preoccupate presentate dalla consigliera Monica Montella, allora ancora nei ranghi del M5S (oggi passata al gruppo misto), erano state del tutto ignorate. Suggeriamo di dare un’occhiata alla comunicazione inviata dalla consigliera Montella a tutti i suoi colleghi e riportiamo di seguito solo il primo punto, per noi alquanto emblematico:
“Chiedo ai consiglieri competenti per materia di commissione che la delibera venga ritirata per opportunità politica visto la poca trasparenza sulle società indirette proprietarie e il probabile (da verificare) aggancio indiretto a Parnasi.”
Siamo sicuri che il M5S delle origini avrebbe fatto fuoco e fiamme su un materiale del genere (con contorno di commenti al vetriolo di Marco Travaglio & Co.), ma non l’amministrazione Raggi che infatti non ha reputato il caso di approfondire la questione ed ha accordato alla proprietà il regalone della quasi totalità della struttura riconvertita a grande centro commerciale.
A seguito della porcata di cui sopra, di cui si è reso responsabile il M5S, il boccino è quindi passato alla Regione Lazio che dovrebbe approvare lo stesso accordo di programma affinché esso venga definitivamente ratificato dall’amministrazione Capitolina. Al tempo dalla Regione Lazio giunsero voci informali che davano il governo Zingaretti contrario a ratificare un accordo tanto a favore del privato e contrario al pubblico interesse.
Torniamo a parlare oggi di questa storia perché abbiamo letto una recente comunicazione del Dipartimento Urbanistica del Comune che scrive alla Regione Lazio sollecitando, in sostanza, l’approvazione dell’accordo di programma già trasmesso a dicembre 2020 e rimasto senza riscontro.
Come si può leggere nell’estratto sopra, le premesse parlano di “totale cessazione dell’attività cinematografica” facendo pensare ad un destino cinico e baro per cui i cinema signora mia non vanno più, cosa che come abbiamo scritto non è vera. Ovviamente dopo la chiusura prolungata si è creato un degrado urbano che solo l’apertura di un grande centro commerciale potrà risolvere.
Comprensibile che un privato punti a massimizzare il proprio profitto, per di più con pratiche del tutto lecite, fino a prova contraria.
L’aspettativa è però che dall’altra parte vi sia un’amministrazione pubblica che allo stesso privato gli spieghi che il suo pretendere la quasi totale riconversione della struttura a destinazione commerciale non è giustificato, in particolare in una strada come via del Corso che più commerciale non si potrebbe, dove anche la gran parte dei portoni dei palazzi sono stati trasformati in negozi.
Basterebbe infatti qualcuno con a cuore l’interesse pubblico che spieghi al privato di cui sopra che se proprio i guadagni del cinema non sono per lui abbastanza, può ben riconvertire fino al 50% della superficie, che non è proprio poco, a destinazione commerciale per aumentare la redditività del suo investimento.
L’amministrazione Raggi ha chiaramente dimostrato di non aver alcun riguardo per l’interesse pubblico, avendo sposato senza obiezioni il progetto del privato e ciò addirittura ignorando dei gravissimi dubbi sollevati al proprio interno.
La nostra speranza è che la Regione Lazio di Nicola Zingaretti riconosca l’inopportunità di cancellare l’ultimo grande cinema di via del Corso e restituisca al mittente, ossia il Comune di Roma, il progetto della proprietà chiedendo che esso venga ricondotto entro le normali regole che prevedono una riconversione massima del 50%.
Anche in questo modo una fetta consistente dell’offerta culturale della zona sarà probabilmente persa per sempre, ma almeno si potrà dire di aver mantenuto un compromesso onorevole tra l’interesse pubblico e le legittime aspirazioni dell’imprenditore privato.
Con il progetto incredibilmente approvato dall’amministrazione Raggi invece viene massimizzato il ritorno per il privato e completamente ignorato l’interesse pubblico. Non male per quelli del vento nuovo.
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