Le dimissioni del presidente dell’VIII° Municipio Paolo Pace aprono uno scenario inedito. A Roma non ci sono molti precedenti di dimissioni ad inizio legislatura e infatti la maggioranza 5stelle non ha ancora deciso quale sarà il futuro amministrativo di quelle zone. Secondo il regolamento i poteri vengono assunti dalla Sindaca che li può tenere per sé oppure delegare ad un commissario.
Prima o poi, però, i cittadini dovranno necessariamente tornare alle urne e eleggere un nuovo presidente. Solo due casi simili sono accaduti negli ultimi 20 anni. Uno riguarda la presidente di centro-destra del II° Municipio, Sara De Angelis, che nel 2012 lasciò l’incarico sfiduciata dalla sua maggioranza. La consiliatura Alemanno stava volgendo al termine e non fu necessario tornare alle urne.
Sempre nel 2012 il presidente dell’ex 19°, Alfredo Milioni (centro-destra), rassegnò le dimissioni. Il bizzarro personaggio era diventato celebre due anni prima quando si rese responsabile della mancata presentazione della lista Pdl alla Regione Lazio a sostegno di Renata Polverini. Arrivato all’ultimo minuto all’ufficio elettorale uscì per cancellare qualche nome dalla lista e non fu fatto rientrare. “Ero uscito per un panino” tentò di giustificarsi goffamente. Anche nel caso dell’ex 19° comunque non si tornò alle urne perché pochi mesi dopo la legislatura arrivò al termine.
In quegli stessi giorni, Giammarco Palmieri (Pd) alla guida del Municipio VI°, lasciò la presidenza per dissidi con i suoi. Ma ritirò le sue dimissioni poche settimane dopo.
Il caso del grillino Pace, insomma, è un unicum perché caduto ad inizio consiliatura. E le motivazioni del suo abbandono sembrano molto serie. Pace ha dichiarato più volte di sentirsi boicottato da consiglieri 5stelle che ha definito “talebani ostruzionisti”. La Giunta municipale – secondo l’ex presidente – avrebbe presentato delle proposte ma i consiglieri le avrebbero bocciate tutte senza offrire soluzioni alternative.
Non è un caso che la prima amministrazione a cadere sia stata quella dell’8°. E’ in questo municipio, infatti, che si concentrano le due più grandi operazioni di trasformazione urbana della città. Oltre allo Stadio della Roma, i 5stelle hanno ereditato due dossier scottanti: l’ex Fiera di Roma sulla Colombo e gli ex Mercati Generali di via Ostiense. Entrambi cadono nell’8° e su entrambi c’era e c’è ancora da prendere decisioni. Sempre nello stesso territorio c’è poi da affrontare il caso di piazza dei Navigatori e di via Costantino. I privati hanno costruito gli edifici ma non hanno completato le opere pubbliche previste per un valore di 21 milioni di euro.
Dunque si tratta di tre questioni delicate che richiedono delle scelte. Ed è proprio sulle scelte che i 5stelle sono scivolati. Abbiamo assistito fino ad oggi al fermo amministrativo a livello capitolino: la giunta ha preferito non decidere eccezion fatta per lo Stadio della Roma (il cui capitolo è comunque ancora tutto da scrivere). Sulla base del detto che “chi non fa non sbaglia“, la Raggi e i suoi non stanno facendo praticamente nulla (vantarsi di asfaltare le strade è alquanto deprimente per il Sindaco di una capitale).
L’ex presidente Pace, invece, ha una visione diversa e probabilmente più corretta: occorre assumersi le proprie responsabilità e decidere. Sulla Fiera di Roma, su piazza dei Navigatori, sugli ex Mercati Generali ha avanzato le sue proposte. Le ha modificate più volte sulla base delle indicazioni della sua maggioranza ma prima o poi sarebbe voluto giungere ad una sintesi. Ma non è stato possibile perché – spiega – alcuni “consiglieri talebani hanno messo in atto un ostruzionismo inutile, dannoso e fine a se stesso. Il tutto senza fare proposte alternative”.
Una classe politica che non è in grado di decidere non può pretendere di guidare una città complessa come Roma. Il caso dell’8° municipio dovrebbe servire da sprone per i 5stelle: occorre ascoltare tutti, valutare a fondo i pro e i contro di ogni decisione ma alla fine la scelta va presa.
Sembra invece che anche negli altri Municipi la paralisi sia totale e che i consiglieri siano impegnati solo in meschine guerre intestine: in 13° la presidente Castagnetta che invia lettere su carta intestata della giunta per discutere di questioni politiche tutte interne al 5 stelle, mostrando scarso rispetto delle istituzioni.
In 3° la presidente Capoccioni lancia la guerra contro la consigliera Burri inviando a Beppe Grillo note sul suo comportamento.
In 14° l’assessore Cini se ne va in polemica con il presidente Alfredo Campagna. E l’elenco potrebbe continuare, denotando tante micro battaglie interne ai pentastellati e una paralisi di decisioni.
Se Milano, Torino e perfino Napoli proseguono nella trasformazione del loro territorio, Roma appare inchiodata. Le principali riforme avviate dalla giunta Marino giacciono dimenticate in qualche cassetto mentre la prima amministrazione monocolore della storia non sembra in grado di scegliere neanche un nuovo assessore all’urbanistica o un capo di gabinetto. Pace ha intuito che così non si andrà lontano. Forse invece di criticarlo aspramente, i suoi compagni di partito dovrebbero provare a capirne le ragioni.