Il termine guerra ci insegue ormai da un decennio. Abbiamo visto scoppiare conflitti in diverse parti del pianeta, città scomparire e popoli migrare. Abbiamo accolto la logica della guerra al virus, per poi cadere in un conflitto armato alle porte dell’Europa. Un ritorno alla storia come qualcuno ha classificato l’attacco della Russia ai danni dell’Ucraina. Un “ritorno”, come se nelle nostre vite avessimo dimenticato il senso stesso della storia.
Al di là del termine scientifico, racchiuso negli ambiti della ricerca e dell’accademia, la storia è una successione di eventi, drammatici e no, fantastici e reali. La trasmissione orale o scritta di questi eventi ha il compito di raccontare qualcosa.
Lo scopo dell’ultimo, incredibile libro di Florian Illies è proprio questo. In “L’amore ai tempi dell’odio. Una storia sentimentale degli anni trenta” (Marsilio editore), titolo che ricorda il capolavoro di Gabriel García Márquez, l’autore si cimenta in una struggente ricostruzione della vita quotidiana dei grandi protagonisti della scena letteraria e artistica degli anni trenta del Novecento. Una ricostruzione storica, biografica, fatta di lettere e aneddoti che permette al lettore di immergersi in quel turbinio di eventi che ha contraddistinto gli anni ruggenti tra le due guerre mondiali.
Tutto inizia col il baratro della grande depressione per finire nel 1939 quando le nubi del nuovo conflitto mondiale si addensavano sempre più sulle deboli democrazie europee. Illies non ricostruisce i fatti del Novecento come li conosciamo, ovvero non ha nessuna voglia di scrivere un manuale di storia, il suo obiettivo è quello di esplorare l’inesplorato, ovvero di consegnare al lettore i sentimenti intimi e non pubblici che i grandi artisti di quel periodo vivevano nella loro vita, dove la grande storia scorreva alle loro spalle come delle note a margine.
Così ci si può immergere nel corteggiamento di Sartre per Simone De Beauvoir, nel rapporto conflittuale tra Thomas Mann e suo figlio, nelle peripezie di Picasso e delle sue amanti; nella vita travagliata dei coniugi Fitzgerald, quell’amore coniugale impossibile tra Zelda e Francis Scott, quel rapporto da addomesticare che ha poi consegnato alla letteratura i primi romanzi moderni incentrati proprio sulla crisi matrimoniale e sugli amori non vissuti; oppure nella storia incredibile della prima insegnante donna del Bauhaus, Gunta Stölzl e del suo coraggio di allattare a scuola il figlio appena nato:
“Con magnifica determinazione, lei lotta per conservare contro tutto e tutti il suo ruolo di guida dell’atelier di tessitura e conciliarlo con i doveri di madre, ma quando la si vede allattare il bambino a scuola la gente mormora alle sue spalle – e vale per uomini e donne. A che pro? In un primo momento quell’ostilità la induce a stringere i denti e tirare dritto…”.
Una cartina geografica sentimentale dei personaggi più influenti del secolo scorso. Sullo sfondo suonano le musiche di Cole Porter e si sfogliano le foto di Man Ray, mentre in Europa i dittatori ammassano armi e serrano i ranghi tra la popolazione.
Se per Gabriel García Márquez in Colombia era possibile aspettare l’amore per una vita intera, per i protagonisti di Illies vi era una sola certezza: vivere il tempo nell’immediato, amarsi nonostante tutto, vivere il presente come unica certezza. Troppa era quella fame di scoperta, di arte, di sentimenti, per dedicarsi ai drammi che la storia stava tracciando con una penna indelebile, un’impazienza di vita che non si raccordava con la mobilitazione all’opposizione della guerra. Una smania in grado di segnare la storia senza conflitti. Gli anni dell’irrequieta Jazz Age “della sete di vita, più che di significato”. Non stava propriamente a loro cercare il senso delle cose, non ne avevano bisogno. Almeno fino al 1933, la data fatidica, l’inizio del baratro: Hitler sale al potere, si bruciano libri, si limita la stampa, si schedano le persone e si perseguitano gli Ebrei. Anche i belli e dannati di Illies vengono colpiti da questo spartiacque, c’è chi fugge e chi resta con la malinconia nel cuore di quello che potevano essere e non sono mai diventati, di quegli anni venti che li aveva segnati per sempre.
Solo qualcuno aveva percepito l’inizio della fine. Nel 1932 Man Ray iniziò a dipingere su una tela lunga due metri due enormi labbra rosse. Prima dipinse quelle di Kiki de Montparnasse poi quelle della sua assistente e amante Lee Miller. Due labbra come simbolo di amore universale. Lo stesso Man Ray spiegò il significato: “L’ho dipinto in un’epoca in cui la marea montante dell’odio si preparava a travolgere l’Europa”.
Oggi non sappiamo dove ci condurrà il conflitto tra Russia e Ucraina e quale sarà il ruolo dell’Europa e delle superpotenze. Di certo sappiamo però, grazie anche alla ricostruzione di Illies, che odio e amore sono due facce della stessa medaglia, che le grandi trasformazioni storiche possono indurci a importanti agitazioni culturali. L’indifferenza politica non equivale sempre a menefreghismo. Vivere la vita inseguendo costantemente le proprie passioni è anch’essa una forma di resistenza. L’arte, la letteratura e la musica segneranno questo periodo nonostante la guerra travolgerà ancora una volta i sogni di una generazione.
Oltre alle armi, l’amore al tempo dell’odio, amare la vita e le passioni, è la nostra unica difesa.