Nel 2014 scoppiò lo scandalo “Mafia Capitale” a Roma. Nella grande inchiesta della magistratura furono coinvolti un assessore della Giunta Marino ed il presidente dell’Assemblea Capitolina, Mirko Coratti. Quest’ultimo quando seppe che nei suoi confronti era stata aperta un’inchiesta giudiziaria ebbe a dichiarare:
“Nel dichiararmi totalmente estraneo a quanto emerge in queste ore dalle indagini, per correttezza verso la città e verso l’amministrazione comunale ho deciso di dimettermi dall’incarico che mi onoro di servire“.
Al tempo la cosa apparve normale, aspettata, inevitabile: quando il titolare di una carica viene indagato la prima cosa da fare è separare il proprio destino da quello della carica, per non rischiare neanche di infangarla.
Poi a Roma c’è stato il quasi plebiscito per un movimento politico che dell’onestà aveva fatto la sua ragion d’essere, predicando per gli altri dimissioni dalle cariche anche solo a seguito di un avviso di garanzia.
L’abbiamo visto in azione questo movimento, prendendo atto di aver cambiato idea sulle dimissioni per un semplice avviso di garanzia quando la cosa capitò al Sindaco di Roma. Opinabile, pensammo in molti, benché il sapere che il Sindaco di Roma era oggetto di indagini da parte della magistratura sembrava già una cosa abbastanza grave.
Quando poi accadde che Marcello De Vito, presidente in carica dell’Assemblea Capitolina, venne arrestato, tutti ci saremmo aspettati dall’esponente M5S un’immediata azione che mettesse al sicuro la carica da lui ricoperta. Se infatti De Vito avesse avuto il necessario rispetto per quella carica, pur convinto della sua totale estraneità alle accuse avrebbe fatto semplicemente come fece Coratti.
Invece Marcello De Vito la presidenza dell’aula Giulio Cesare, benché sospesa, se l’è addirittura portata in prigione, una cosa inaudita.
Ed ora, scarcerato ma pur sempre sotto processo per le accuse mossegli dalla magistratura, Marcello De Vito è tornato a presiedere l’Assemblea Capitolina come nulla fosse, dimostrando ancora una volta di non aver alcun rispetto per quell’istituzione.
Dovevamo quindi aspettare l’avvento degli onesti che più onesti non si può per rischiare di vedere il presidente in carica dell’Assemblea Capitolina condannato per corruzione.
Evidentemente solo la più totale irresponsabilità di una persona può non cogliere l’assurdità di una delle più alte cariche cittadine costretta alla sbarra. È un po’ come se la città tutta fosse in tribunale e stupisce davvero che un uomo di legge come De Vito non se ne renda conto oppure lo capisca ma non si vergogni della cosa.
Detto dell’irresponsabilità politica di Marcello De Vito, non possiamo che censurare anche i suoi colleghi di schieramento, alcuni dei quali l’hanno addirittura applaudito rivedendolo presiedere l’Assemblea Capitolina. Trattasi evidentemente di altrettanti irresponsabili o ignoranti politici, indegni della carica che ricoprono.
Assolutamente censurabile, oltre che evidentemente codarda, anche la scelta della maggioranza di non procedere con la revoca della carica a De Vito, impauriti i consiglieri di eventuali risarcimenti che il presidente potrebbe richiedere.
Leggiamo dalle cronache che nella seduta di giovedì sia il capogruppo PD che quello di Fratelli d’Italia abbiano invitato De Vito a riflettere sull’opportunità di mantenere la presidenza nella sua condizione di accusato. Richieste assolutamente timide a nostro avviso, laddove un’opposizione minimamente decente avrebbe dovuto fare fuoco e fiamme perché la presidenza dell’aula fosse separata dalle vicende personali di De Vito.
L’unica che a nostro avviso si è comportata correttamente è la consigliera Grancio, ex M5S ora gruppo misto, che ha dichiarato:
“Ho deciso di uscire per protesta e astenermi dal partecipare ai lavori odierni dell’Assemblea contro la scelta della maggioranza di mantenere sullo scranno più alto dell’Aula Giulio Cesare un consigliere sotto processo per gravi reati contro la pubblica amministrazione. Un presidente dell’Assemblea che potrebbe trovarsi, fra l’altro, a breve, a presiedere sedute che riguarderanno direttamente fatti per i quali è imputato. Nulla da dire, ovviamente, sulla presenza del consigliere De Vito in Aula, che si verifica in applicazione della legge Severino, ma nessuna legge impedisce all’Assemblea di scegliersi un altro Presidente. La più importante istituzione di rappresentanza della città aveva ed ha il diritto di fare altre scelte, scelte che continuerò con fermezza a sostenere da capogruppo del Misto.”
Ben sapendo che queste nostre riflessioni contano meno di nulla, proviamo ugualmente a chiedere a Marcello De Vito un atto di responsabilità dimettendosi dalla presidenza dell’Assemblea Capitolina. Sarebbe questo un gesto che gli farebbe onore, consentendogli di difendersi nel processo al meglio e senza rischiare di coinvolgere nelle sue questioni personali la più importante istituzione rappresentativa.
Lo faccia per lei onorevole De Vito, ma anche per la città, se davvero gli vuole bene.
P.s.: gli organi di stampa hanno associato le parole latine di De Vito al “Dove eravamo rimasti” pronunciato da Enzo Tortora al suo ritorno in RAI. Il paragone non regge per nulla, stante che Tortora pronunciò quelle parole dopo essere stato assolto in secondo grado e in attesa della sentenza della Cassazione che di lì a poco confermò l’assoluzione.
Ci arrivi a quel punto Marcello De Vito e allora saremo noi in prima linea ad applaudirlo di nuovo mentre presiede l’Assemblea Capitolina.
Aggiornamento 11:10 – Solo questa mattina abbiamo potuto ascoltare l’intervento tenuto da Enrico Stefàno nella seduta di ieri. Diamo allora atto anche a lui di aver fatto la cosa giusta invitando De Vito a fare un passo indietro. Il gesto ha tanto più valore in quanto Stefàno è elemento di spicco della maggioranza e immaginiamo non gli sia facile tenere certe posizioni nell’ambito del M5S.