Queste foto, piuttosto ributtanti, ci sono state inviate da Patrizia M. che domanda cosa sia successo al Tevere per essere in condizioni così disastrate. La siccità delle ultime settimane ha provocato una secca e l’abbassamento del livello delle acque, facendo emergere rifiuti di ogni tipo. La moria di pesci è la conseguenza della scarsità d’acqua e dell’elevata quantità di immondizia raccolta nel fiume.
Da mercoledì scorso è partita una campagna di pulizia straordinaria degli argini finanziata dalla Regione Lazio. Questa volta saranno utilizzate anche le ruspe proprio allo scopo di asportare vegetazione e rifiuti che impediscono lo scorrere naturale dell’acqua. Si tratta di uno stanziamento di due milioni di euro che servirà a fare manutenzione su 25 km di sponde, tra Ponte Marconi e la Salaria all’altezza di Castel Giubileo.
Dunque tutto il tratto centrale del Tevere e anche quello che raggiunge il Raccordo Anulare verrà bonificato oltre ad un lavaggio delle banchine che saranno anche sbiancate. Nei prossimi giorni si potranno vedere gli operai in azione all’altezza di Ponte Mazzini e di seguito verso Ponte Vittorio Emanuele.
Tutto risolto dunque? Niente affatto anzi la pulizia straordinaria alla quale assisteremo da qui alla fine del 2024, sarà solo l’ultima di una lunga serie che ogni tanto coinvolge il “biondo” letto del fiume. Da secoli, infatti, si procede così: pulizie di fondo una volta ogni tanto e poi totale assenza di manutenzione.
La parola “secoli” non è stata usata in termini enfatici ma perché da sempre il fiume vive una gestione poco attenta. Maria Segarra Lagunes la racconta in un volume intitolato “Il Tevere e Roma: storia di una simbiosi” nel quale attraverso disegni d’epoca si ricostruiscono i tentativi – sempre sporadici – di riportare decenza.
Già nel sedicesimo secolo i romani non ne volevano sapere di regole ambientali e proseguivano a gettare in acqua di tutto. Nel 1823, il Cardinale Camerlengo, Pacca, non nasconde il suo avvilimento dovuto al fatto che tutti gli avvisi lanciati dai suoi predecessori sono risultati vani. “Quindi per ordine espresso di Sua Santità si torna a proibire a chiunque di gettare nel Tevere, sue ripe e sponde, terra, sassi e sporcizia di ogni sorte che potessero rendere più tardo e torbido il corso del fiume“, scrive il Camerlengo. Ma niente da fare, gli editti papalini erano notoriamente disattesi tanto che perfino gli spazzini (che allora si chiamavano “scopatori” con un termine che oggi ha diverse accezioni) gettavano tutto in acqua.
Da una parte tutti i fiumi tendono a riempire il proprio alveo di detriti, dall’altra ci si mettevano i romani che lo usavano come discarica, il risultato finale era una difficile navigabilità. Ecco allora che i grandi architetti e ingegneri dell’epoca si inventavano tecniche per asportare sassi e rifiuti. Nella prima immagine un disegno di van Wittel (che tutti conosciamo come Vanvitelli) per la pulizia del letto del fiume e nella seconda l’illustrazione delle attrezzature che venivano usate all’epoca.
A distanza di tre secoli poco è cambiato, si direbbe. Certamente i macchinari oggi sono più efficienti e riescono a pulire meglio ma la popolazione è molto più numerosa ed evidentemente sporca di più. In soli quattro giorni di lavoro, da mercoledì, sono state asportate 50 tonnellate di rifiuti. C’è anche la solita dichiarazione entusiasta di Nicola Zingaretti: “Le rive del Tevere stanno tornando pulite e alla fine dell’intervento saranno ripristinate tutte le funzionalità idrauliche tra Ponte Marconi e Castel Giubileo“. Ma forse il presidente della Regione ignora che lo stesso lavoro è stato fatto nel 2016 e nel 2006 e che poco dopo tutto era tornato come prima.
Ben vengano le pulizie, ci mancherebbe, ma forse occorre un’attività di prevenzione e soprattutto manca una manutenzione ordinaria. A chi spetti organizzare le attività normali resta un rebus. La competenza sul Tevere è da sempre uno degli argomenti più spinosi che vede il Campidoglio e la Regione discutere animosamente. Quando nel 2021 si verificò una abbondante moria di pesci, i due enti litigarono su chi dovesse rimuoverli. Gli assessori regionali Valeriani e Alessandri si dissero convinti che fosse un onere del Comune e con un comunicato intimarono alla Raggi “la rimozione e lo smaltimento delle carcasse“. L’ex sindaca si sentì accusata da più parti e rimandò ai mittenti le polemiche: si sosteneva che a far morire i pesci fosse la sporcizia della città trascinata in acqua dalle forti piogge di fine agosto. Ma la battaglia sulle competenze proseguiva.
Il Campidoglio proprio nel tentativo di coordinare la decina di enti che mettono bocca sul fiume, istituì a fine 2017 l’Ufficio Speciale Tevere. Ma cosa questo ufficio abbia fatto realmente non è dato sapere. L’accusa di inefficienza proveniva – udite udite – dall’allora presidente del Municipio I Sabrina Alfonsi che, sponsorizzando il Contratto di fiume, nella sua pagina web scriveva: “Il Comune di Roma, su questo tema, non sembra voler assumere il ruolo che gli compete”.
Quale sarà il ruolo di Roma Capitale sulla cura del biondo fiume adesso che Sabrina Alfonsi è diventata assessora all’Ambiente lo diranno solo i posteri.