L’iniziativa era stata presentata agli inizi di giugno dalle commissioni congiunte turismo e commercio dell’Assemblea Capitolina, che hanno continuato a lavorarci con un’ultima seduta tenutasi lo scorso 8 luglio.
Si tratta dell’idea di istituire 15 “vie del food“, una per ogni municipio, con obiettivi che però non appaiono essere troppo chiari. Si è parlato di “rilanciare nel mondo i piatti tipici della cucina romana”, oppure di “lanciare il panorama enogastronomico della città”, o anche di “trasformare Roma nell’hub dell’enogastronomia mondiale” (!?!).
All’idea delle 15 strade è stata anche affiancata quella di una “rassegna internazionale del cibo di eccellenza”, oppure di una fiera enogastronomica per la promozione della cucina romana, ma includendo anche le cucine internazionali che sarebbero ben rappresentate a Roma, grazie alla sua millenaria multiculturalità.
Noi abbiamo ascoltato la registrazione della seduta dell’8 luglio e confessiamo di non aver capito molto delle intenzioni dei commissari. O meglio, si direbbe che l’idea di allestire le 15 “vie del food”, con investimenti del Comune per invogliare quelli degli imprenditori, sia generalmente condivisa, ma come ciò dovrebbe incentivare le supposte eccellenze della cucina romana non è dato sapere.
Diversi sono poi i discorsi relativi a rassegne enogastronomiche, settimane del cibo, festival dello street food, festival del carciofo romanesco (si, abbiamo udito anche questo), ecc. che però ci sono apparsi accessori ed opzionali all’idea centrale di promuovere le 15 strade del cibo (“vie del food” non si può proprio sentire!).
Va detto che l’idea delle 15 strade era stata inizialmente lanciata dal sindaco Gualtieri nell’ambito del “conclave” tenuto a fine febbraio con la maggioranza, ma poi da allora non se ne era saputo più nulla.
A chi scrive questa iniziativa appare “lunare” (ad essere buoni), nel senso che a Roma le uniche attività che non hanno problemi di sopravvivenza ed anzi sono le uniche che ancora aprono sono bar, pub, ristoranti e qualsiasi altra attività attinente al cibo. Tutte le altre tipologie di commercio (artigianato, librerie, esercizi di prossimità, ecc.) sono oltre la canna del gas, nel senso che in gran parte hanno chiuso o si apprestano a farlo.
Ebbene in un panorama del genere l’Assemblea Capitolina decide di investire tempo e risorse per incentivare l’apertura di ulteriori esercizi di somministrazione o affini???
Inoltre, i danni generati dalla concentrazione di locali di somministrazione in alcuni luoghi sono ormai ben noti e non vi si riesce ancora a porre efficace rimedio (vedasi i problemi della cosiddetta malamovida che continuano ad ammorbare gli abitanti di alcuni luoghi, come piazza Bologna, Trastevere, Campo de’ Fiori, ecc.). Possibile non venga in mente a nessuno dei commissari che incentivare la creazione di “strade del gusto”, dove addensare locali di somministrazione e quindi avventori a centinaia, comporta l’altissimo rischio di creare nuovi luoghi di movida che poi sarà complicato gestire in termini di impatti per chi in quei luoghi ci vive?
Diverso sarebbe individuare dei luoghi, sufficientemente lontani dalle abitazioni, dove localizzare la movida senza che gli assembramenti possano creare problemi agli altri, ma non sembra essere il caso di questa iniziativa.
Se l’idea di istituire queste “strade del gusto” appare l’ennesima iniziativa velleitaria, dove l’unica cosa certa sarà lo spreco di risorse pubbliche per attività che di incentivi non ne hanno proprio bisogno, va detto che nella seduta che abbiamo ascoltato qualche spunto di buon senso è emerso.
Si è parlato più volte di “eccellenze gastronomiche” in relazione alla cucina romana e la cosa fa abbastanza sorridere, giacché quella romana è sì una cucina tipica ma tutto sommato semplice, di bassa complessità; per cui più che puntare ad un presunto campionato del mondo di cucina, meglio sarebbe occuparsi di garantire un livello minimo di qualità ai locali romani che soprattutto nei luoghi più turistici approfittano della scarsa conoscenza degli stranieri per appioppargli precotti e surgelati indegni.
Come ha giustamente fatto notare il consigliere Carpano, i romani non si sognerebbero mai di andare a mangiare in un locale di piazza Navona o di piazza della Rotonda, ben sapendo che quelli sono posti per spennare i turisti.
Perché allora non impegnarsi a trovare il modo di incentivare la qualità media dei locali romani, ovunque essi siano, premiando ad esempio l’utilizzo di prodotti locali e tipici, oppure assicurando standard minimi di servizio e preparazione delle pietanze?
A maggio 2021, in piena pandemia, avevamo pubblicato alcune riflessioni sul commercio a Roma, pensando che la crisi in corso potesse essere un’occasione per ripensare e rifondare il commercio a Roma, per il bene dello stesso commercio e della città tutta. Purtroppo senza sorpresa quelle riflessioni caddero nel vuoto e il tema non è stato neanche mai sfiorato né durante la campagna elettorale né in questi primi mesi di nuova consiliatura.
Due considerazioni conclusive sulle due commissioni impegnate nella discussione delle “vie del food”.
Riguardo la commissione turismo, appare indispensabile che essa provi a fare un salto di qualità, uscendo dallo schema classico che vede il turismo come una risorsa cittadina da incentivare indiscriminatamente, senza fare distinzioni.
Purtroppo invece c’è un turismo che Roma la sta uccidendo, così come ha in gran parte ucciso Venezia, ed è quello fatto di grandi numeri, di turisti distratti che passano un paio di giorni in città scattando foto nei luoghi più famosi, affollandoli all’inverosimile e costando più di quanto lascino. Ovviamente un tale turismo non può essere vietato, ma per quanto possibile andrebbe disincentivato, così come invece andrebbe favorito l’afflusso di visitatori più consapevoli di tutto ciò che Roma può offrire, a cui assicurare servizi di buon livello al giusto costo. Occorre lavorare, ad esempio, sul turismo congressuale, praticamente assente a Roma, mentre è inutile scimmiottare settimane della moda che non hanno alcuna possibilità di competere con altri luoghi in cui certi temi sono radicati da decenni.
La verità è che molto spesso il turismo più che essere il petrolio di un luogo può essere la sua perdizione, per cui o si punta in alto, provando a selezionare sia dal lato della domanda che dell’offerta, oppure si finisce tutti a fare i camerieri o gli autisti (col massimo rispetto per le due professioni che però non è auspicabile siano l’unica alternativa per Roma).
Riguardo invece la commissione commercio, suggeriremmo anzitutto di modificarne quanto prima la denominazione in “commissione attività produttive“, allineandosi così alla dicitura dell’assessorato. In questo modo dovrebbe essere più chiaro che tale commissione non dovrebbe occuparsi solo del commercio, bensì di tutto ciò che può essere definita “attività produttiva”. Tutto questo tempo speso per discutere di bar e ristoranti, OSP, bancarelle, mercati, è tempo non impiegato a parlare di prospettive di sviluppo reali e innovative per Roma.
Qualcuno nell’ultima campagna elettorale poneva la domanda: “di che campa Roma?“. Ebbene la risposta non può e non deve essere sempre il turismo, i B&B, i ristoranti, bensì qualcuno dovrebbe cominciare a coinvolgere le università e le grandi aziende presenti a Roma per capire come l’amministrazione capitolina può aiutare a creare opportunità per i giovani, per nuove imprese che non siano bar e pub. Cosa restituisce a Roma, ad esempio, una grande azienda come ACEA, per di più a maggioranza di proprietà di Roma Capitale? Perché non chiamarla in commissione e proporle dei progetti da finanziare per giovani romani, invece che coinvolgerla solo quando c’è da sponsorizzare qualche evento?
Altro che festival del carciofo romanesco.
2 risposte
Assolutamente d’accordo. È inverecondo questo dibattito. La triste fine della precedente “via del gusto “ ovvero via della Frezza, oggetto di un progetto di Roma sei mia (intendendosi naturalmente i commercianti proponenti), non ha insegnato nulla. Le vie del gusto sono cosa ben diversa dalla proposta di trovare luoghi appartati in cui sviluppare attività ricreative senza incidere sulla vita dei residenti. La concentrazione di attività di ristorazione all’interno di zone abitate è l’esatto contrario delle esigenze di vivibilità che emergono sempre di più.
-Abbiamo sempre chiesto ai politici, soprattutto a quelli che abbiamo votato, di avere un’idea di città. Eccoci accontentati. Questa è la loro idea di città. Una idea intrisa di incultura dei processi produttivi compatibili e sostenibili per Roma, di mancanza di senso di equilibrio delle tante e complesse funzioni della città e specialmente del suo centro storico, un disprezzo verso i residenti, una subordinazione ai poteri economici predominanti. L’ottimo articolo dice tutto.