La Raggi sfida i malumori nel suo partito e va avanti su Monte Carnevale. La Sindaca resta convinta che la discarica sia necessaria e lo dirà oggi in un vertice con i suoi. Ma l’emergenza a Roma non si arresta mentre i cittadini romani subiscono la beffa della più alta tariffa d’Italia, ben 268 euro annui a testa. Una cifra che è la conseguenza di meccanismi ormai inceppati. Ogni giorno partono verso i termovalorizzatori di tutta Italia dai 168 ai 180 autoarticolati. Cifra destinata ad aumentare nei prossimi mesi.
Come nasce questa emergenza? Prova a rispondere alla domanda Alessandro Barbera che, in un articolo pubblicato su La Stampa, ha cercato di ripercorrere i fili di questa intricata matassa.
Nel 2018 la Regione Lazio chiuse l’impianto di Colleferro mentre quello in via Salaria di proprietà comunale è andato distrutto per sempre dopo un incendio colposo. Parliamo di un impianto logisticamente fondamentale in cui i rifiuti venivano differenziati prima di essere mandati in discarica. Inoltre, ad aggravare la situazione, è sopraggiunta la chiusura definitiva del sito di Colleferro avvenuta il 15 gennaio: si tratta di una struttura in grado di accogliere più di mille tonnellate al giorno. L’Ama si è ritrovata così di fronte a una situazione drammatica, ovvero gestire i rifiuti della capitale con il solo sito di Rocca Cencia (anche questo di proprietà comunale). Quando l’impianto verrà chiuso per manutenzione la città, che oggi smaltisce autonomamente solo il 23% della raccolta, sarà costretta a inviare tutto altrove (a Milano sfiorano il 100%).
Di fronte al caos degli impianti e alle tariffe stellari, l’opinione pubblica si è spaccata: su un fronte i residenti dei quartieri limitrofi alle discariche plaudono la politica portata avanti dal Movimento Cinque Stelle, sull’altro la restante parte di Roma soffre degli accumuli maleodoranti dei rifiuti ammucchiati lungo le strade.
In questo modo non si è risolto nessun tipo di problema ma si è solamente aggravata la prospettiva. Non aprire nuovi impianti, secondo le linee del Movimento, ha costretto il Comune a rivolgersi ad altre regioni con il conseguente aumento dei costi nella gestione dei rifiuti. A Roma stoccare una tonnellata costa 236 euro contro la media nazionale di 150 euro.
Barbera sottolinea inoltre l’assurda politica capitolina già denunciata in più articoli dalla nostra redazione, ovvero che, di fronte l’emergenza, l’obiettivo principale è la raccolta dei rifiuti del centro storico, abbandonando del tutto i quartieri periferici con la più alta densità abitativa.
In questa raccolta l’Ama ha deciso di impiegare quasi tutta la sua forza lavoro, rinunciando così alla pulizia delle strade (raccolta del fogliame, svuotamento dei cestini, pulizia intorno a esercizi ad alta frequentazione, come per esempio, poste, banche, mercati…).
D’altronde, l’unica alternativa agli impianti è il “porta a porta” che dovrebbe ridurre al massimo la quota di indifferenziata. Ma il dato comunicato dal nuovo a. d. di Ama, Stefano Zaghis (il settimo in 3 anni), riporta un misero incremento del 1,5% (dal 44 al 45,5%). E neppure questo sarebbe credibile, visto che il Ministero dell’Ambiente parla di un “porta a porta” inchiodato al 42,9%. La crisi di Ama è testimoniata dal fatto che ogni giorno il 40% dei mezzi non esce dai depositi perché guasto e il tasso di assenteismo è cresciuto dell’8% solo nell’ultimo anno.
È una situazione totalmente fuori controllo che preoccupa non poco i cittadini. Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, nella speranza di smuovere la questione, ha minacciato più volte il commissariamento del Comune. Di contro la sindaca ha denunciato la mancanza di aiuto proprio dal nuovo alleato di governo. Eppure, come ribadisce la Regione, la scelta di nuovi siti spetta ai sindaci dei Comuni. Per il momento nel tentativo di tamponare la crisi, i rifiuti continuano ad essere esportati in parte in altre regioni (Lombardia, Marche, Abruzzo, Puglia), in parte all’estero. Una responsabilità che è tutta della Sindaca che, dopo le dimissioni di Paola Muraro e Pinunccia Montanari a febbraio del 2019, non ha più nominato un assessore ai rifiuti.
Ed è proprio per questo che la questione spazzatura è diventata lo specchio della rottura interna del movimento politico dei Cinque Stelle. Quando un gruppo di esperti della Regione Lazio e del Campidoglio ha indicato a Monte Carnevale (poco distante da Malagrotta), la zona idonea all’apertura di un nuovo sito, all’interno della maggioranza pentastellata si è innescato un nuovo terremoto. Il consigliere comunale (M5s), Paolo Ferrara, ha dichiarato che oramai in Comune “ognuno fa come gli pare, manca una guida, un timone”. Mentre Virginia Raggi, dopo aver ricevuto per ben due volte i voti contrari in Assemblea (anche dal suo movimento) ha ribadito: “Pretendo di non vedere più rifiuti in strada […] capisco le difficoltà dei consiglieri. Ma dobbiamo dare risposte a tre milioni e mezzo di cittadini”.
Preme sottolineare che le risposte ai cittadini dovevano essere date con delle politiche adeguate e mirate, con piani strutturali, soprattutto in una città come Roma. Spostare i rifiuti in altre regioni è stata la realizzazione dell’utopia dei “rifiuti zero”, quella che prevedeva il blocco della costruzione degli inceneritori e il divieto dell’apertura di nuove discariche, con il conseguente risultato dell’aumento delle tasse, l’inceppamento del sistema di raccolta e il compromesso finale che lede nel profondo la tenuta del Movimento.