Non è colpa solo di Netflix o del Covid perché il Maestoso è il simbolo dell’abbandono e della trascuratezza. Abbandono di un’opera architettonica di grande qualità, firmata addirittura da Riccardo Morandi. Trascuratezza perché la proprietà e le istituzioni non possono consentire un tale degrado senza fare nulla.
Cominciamo dalla fine, dalle condizioni attuali. L’edificio sta cadendo a pezzi, coperto da scritte e striscioni. Laddove sfolgoravano locandine di prima visione restano solo tubi al neon staccati e cavi elettrici malmessi. Nell’area che era dedicata al commercio, ora dormono diversi senza tetto. Le saracinesche nascondono la loro latrina.
Quello che fu un esperimento ingegneristico studiato nel mondo è ora lo specchio della decadenza. I più scemi ricordano Morandi per il ponte di Genova, alcuni fanno gli scongiuri. Ma l’ingegnere fu uno dei geni assoluti del calcestruzzo durante il ventesimo secolo. I cinema furono una delle sue prime passioni: giovanissimo, nel 1931, aveva esordito con l’Odescalchi, poi l’Augustus, il Giulio Cesare del 1939, l’Alcyone, il Bologna e l’Astoria che prese il nome di Embassy. Il Maestoso fu progettato da un Morandi già maturo (aveva 55 anni) e infatti presenta le caratteristiche di novità che fino ad allora non si erano mai viste.
Innanzitutto non era solo un cinema ma una struttura polifunzionale. I piani superiori erano occupati da appartamenti di generose dimensioni, i due bracci laterali ospitavano negozi moderni e scintillanti, gli interrati erano destinati a magazzini. Ma il cinema era il protagonista, doveva colpire il passante che transitando su via Appia Nuova doveva notare le grandi scale che portavano alla sala proiezioni. Per questo una vetrata immensa mostrava la scalinata simmetrica che faceva contrasto con le abitazioni sovrastanti, spostate invece sulla sinistra (la foto che segue è tratta da ArchiDiap).
Il quartiere era tra i più popolosi di Roma per cui la sala doveva essere capiente e Morandi riuscì a ricavare ben 2.500 posti. Fu luogo di ritrovo e di spettacoli. L’Appia Nuova, popolare e piccolo borghese, era stata scelta da Fellini per alcune scene della Dolce Vita e da Monicelli per i Soliti Ignoti.
La crisi del cinema degli anni più recenti fa vivere un brutto momento al Maestoso nel 2012, ma i residenti riescono a scongiurarne la chiusura. Una sorta di occupazione provvisoria da parte di centinaia di persone che difendono con i denti il loro presidio culturale fa soprassedere i gestori. Gli stessi gestori che nel 2018, quasi senza preavviso, spediscono le lettere di licenziamento ai 9 dipendenti e chiudono per sempre.
Ma il degrado non arriva con la chiusura, era iniziato molto tempo prima. La foto che segue, tratta dal nostro archivio, risale al giugno 2016. Le bancarelle oscuravano la prospettiva della piazza progettata da Morandi, le scritte sfregiavano le vetrate, i cassonetti erano stati posizionati proprio davanti ad un’opera di architettura. La fine era imminente e no!….., lo ripetiamo, la colpa non è solo di Netflix e del Covid.
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Oggi il VII Municipio, in un’azione un po’ velleitaria, ha provato a sollevare la questione. A fine marzo il consiglio ha votato all’unanimità una mozione finalizzata a sollecitare i proprietari a trovare una soluzione. L’immobile appartiene ad un fondo immobiliare che aveva stilato un progetto, rimasto nel cassetto. Prevede il frazionamento degli appartamenti (oggi 13 che dovrebbero diventare 26), la ristrutturazione dei negozi che potrebbero essere molto appetibili dal punto di vista commerciale e la riapertura del cinema con un otto sale, di cui sette piccole e una più grande.
Il tema, infatti, resta la conservazione della funzione originale che non sia però uno specchietto per le allodole come accaduto in tante altre sale romane (ci siamo occupati per esempio dell’ex Etoile che in teoria avrebbe dovuto conservare uno spazio per i film e invece la sala è misteriosamente introvabile). Il lavoro che il Municipio dovrebbe portare avanti è proprio la richiesta di riconoscimento del Maestoso come luogo di interesse culturale.
Già nel 2020, l’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini aveva lanciato un appello al Ministro Franceschini affinché apponesse un vincolo alla struttura, quale unico luogo di socializzazione del quartiere assieme a Villa Lazzaroni.
In attesa di conoscere le decisioni di Franceschini, quel tratto di via Appia Nuova resta una ferita che sarà difficile cicatrizzare. E’ come se i pannelli di legno che coprono le porte di ingresso fossero un lenzuolo pietoso, lasciato lì per nascondere ai passanti un corpo che non tornerà più in vita.
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Una risposta
Lo potrebbero occupare i ragazzi del cinema america 😍🎥