Sta per iniziare la campagna elettorale per scegliere il nuovo sindaco di Roma. Nelle ultime settimane si sono succeduti nomi, ipotesi, alleanze e strategie, e nello stesso tempo non sono mancati i confronti con il passato e con le amministrazioni che hanno inciso negativamente o positivamente in città.
Un nome fra tutti, che sembra essere un punto di riferimento per coloro che aspirano al Campidoglio, è quello di Luigi Petroselli, considerato da molti il miglior sindaco che Roma abbia mai avuto.
In questo fine settimana, nella rubrica cinema, vi consigliamo la visione del breve documentario, del 2011, di Andrea Rusich, Il Sindaco Petroselli. Il regista ha voluto mettere insieme i ricordi dei suoi collaboratori più stretti, dall’autista alla segretaria, con l’intento di restituire ai cittadini un’immagine diversa del primo sindaco comunista della Capitale. Non mancano le riflessioni di Walter Veltroni, dei compagni di partito e infine una dolce testimonianza di Aurelia Sergi, la moglie di Luigi Petroselli.
Ma quali sono state le peculiarità del suo operato per essere ricordato con tanta stima?
Luigi Petroselli, detto Gigi o Gigetto dagli amici, fu eletto sindaco di Roma il 27 settembre 1979. La sua elezione non fu semplicemente l’assegnazione di un mandato ma fu una fotografia dello spaccato sociale della città. Con la sua vittoria, infatti, il Partito Comunista Italiano divenne la prima forza della città con un’ampia maggioranza di consensi, dopo una lunga stagione di lotta iniziata alla fine degli anni sessanta. Tutta la sua campagna elettorale fu incentrata sugli ultimi, sulle periferie romane, sulla disgregazione della collettività, sul colmare quel divario enorme che si era creato tra una Roma bene e una Roma povera.
La città uscì dalla Seconda Guerra Mondiale profondamente ferita e la ricostruzione fu graduale e a macchia di leopardo.
Poi, durante il boom economico si verificò l’esplosione dell’abusivismo e la città si espanse a dismisura senza una reale visione urbanistica. La popolazione iniziò a crescere e a disperdersi in periferie immense, aree verdi ricoperte di cemento e calcestruzzo ma prive dei servizi essenziali, come le forniture fognarie e idriche. Senza una prospettiva di crescita moderna questi quartieri furono abbandonati a loro stessi e nel giro di pochi anni caddero drasticamente nel disagio e nel degrado.
La sinistra iniziò, dunque, a lavorare in quest’altra Roma, ascoltando i cittadini, gli operai, lontana dalle distrazioni del centro e della borghesia. Si cercò di dare risposte adeguate ai malumori e alla diversità che veniva percepita dalla popolazione. Difatti, come ricordava spesso Pasolini, gli abitanti delle periferie quando si recavano al centro usavano dire “andiamo a Roma”, nel rimarcare quel sentirsi forestieri più che residenti.
Tutto questo agli occhi di Petroselli non era più ammissibile. La sua amministrazione decise che la nuova Roma sarebbe dovuta partire dal riscatto delle periferie, dagli ultimi per approdare al centro, raccogliendo così le istanze di ottocento mila cittadini.
I primi interventi furono appunto rivolti ai servizi, acqua, luce e fogne, erano diritti non procrastinabili. Successivamente si diede il via a un massiccio piano di edilizia pubblica, per aiutare gli “sfollati e i baraccati”.
L’edilizia si sarebbe dovuta raccordare con i piani dell’amministrazione in modo da evitare la nascita di nuovi quartieri poveri e abbandonati. Per coordinarsi al meglio furono creati due nuovi assessorati, uno riguardante solo il centro storico, l’altro le borgate, con un ufficio speciale e trasparente sulla “questione casa”. Giovani universitari vennero impiegati nel territorio per condurre delle indagini conoscitive sui bisogni delle persone. Seguì poi l’edilizia scolastica, la cura del verde pubblico, e infine si intervenne nel tessuto culturale.
Il centro storico sarebbe dovuto diventare il salotto delle periferie, iniziarono gli spettacoli all’aperto, il cinema di piazza, mostre gratuite, i teatri presero nuovo vigore, il rifacimento dei fori imperiali, con l’interdizione al traffico nelle domeniche, da piazza Venezia fino al Colosseo, permise una grande affluenza di persone, fu inaugurata l’Estate Romana e si iniziò a pianificare un intervento nel litorale di Ostia. Il mercato del turismo non era il centro della politica capitolina, i romani dovevano vivere a pieno la propria città, scoprirla e amarla:
“Si può governare Roma solo se la si ama”
Così, Petroselli lanciò Roma in una nuova fase della sua storia, quella che alcuni definirono moderna. I cittadini capirono che colmare quel vuoto sociale fu un trionfo per tutta la collettività, vi fu una grande stima nei suoi confronti, spesso lo aspettavano fuori dal Campidoglio anche solo per un saluto, alcuni venivano accolti nel suo ufficio, venivano scambiate opinioni e battute in quello che il sindaco stesso definiva il “sogno” della città da realizzare.
“Stiamo realizzando un sogno… una città che riesce a strappare, a conquistare spazi di umanità, spazi di verità, spazi di nuovi rapporti sociali”
Purtroppo, a un anno e mezzo dall’inizio del suo mandato, il 7 ottobre 1981 fu stroncato da un malore improvviso e tutti i progetti ancora in cantiere si arrestarono di colpo.
Non sapremo mai quali potevano essere i risvolti della città con un pieno mandato di Petroselli. Potenziare la periferia, senza una rete di trasporti adeguata, e poi abbandonarla nuovamente a se stessa ebbe il contraccolpo di creare “il male dei male” ovvero il caos urbanistico che vede migliaia e migliaia di persone muoversi ogni giorno in macchina per raggiungere il proprio posto di lavoro.
Il suo merito resta comunque, quello di aver unificato le due Rome che prima correvano su due velocità diverse senza dialogare tra di loro.
Ad oggi, dopo il nuovo divario economico che il Covid sta innescando, sembra che la futura amministrazione sia costretta a formulare una politica di intervento verso tutti coloro che fruiscono della città e del suo centro, dunque ai bisogni dei pendolari delle periferie, ai cittadini che vivono nei nuovi quartieri di recente costruzione, alle persone abbandonate ai margini della società, insomma verso tutti coloro che possono o potrebbero realmente godere della propria città, lontani da una visione di economia ripiegata solo sul turismo. Perché come ricordava Petroselli si può e si deve volere un’altra città.
Il documentario è disponibile online, gratuitamente, su diverse piattaforme.
3 risposte
Dimenticate in questo peraltro bell’articolo di dire una cosa fondamentale: che il sindaco era eletto dal Consiglio comunale e non direttamente dai cittadini. Cosa che evitava gli appelli populistici del “solo al comando”.Gli elettori votavano il partito, che (nel bene e nel male) era responsabile del nome del sindaco: tutto era più chiaro, bisognerebbe tornare a fare così.
Dopo aver letto quest’articolo, mi ritornano alla mente le parole di Tiziano Terzani, tratte dal libro “Un indovino mi disse”. Così scriveva Tiziano Terzani:
“Oggi, per i più, democrazia vuol dire andare ogni 4 o 5 anni a mettere una croce su un pezzo di carta ed eleggere qualcuno che, proprio perché deve piacere a tanti, ha necessariamente da essere medio, mediocre e banale come sono sempre tutte le maggioranze. Se mai ci fosse una persona eccezionale, qualcuno con delle idee fuori dal comune, con un qualche progetto che non fosse quello di imbonire tutti promettendo felicità, quel qualcuno non verrebbe mai eletto. Il voto dei più non lo avrebbe mai.