Qualche giorno fa camminando in centro storico ci siamo imbattuti in una bici dell’ex-bike sharing a flusso libero di oBike e, avendo la necessità di spostarci, volevamo prenderla.
Iscritti infatti al servizio, con ancora €2,70 di credito, e visto, con una certa sorpresa, che l’app sembra funzionare normalmente, abbiamo provato a sbloccare la bici della foto. La cosa non ha funzionato, nonostante diversi tentativi.
Lo stesso abbiamo tentato con un altro mezzo oBike ma anche in quel caso senza successo.
Visto che entrambi i mezzi in cui ci siamo imbattuti apparivano in buono stato, con le gomme gonfie, immaginiamo che essi siano funzionanti e che quindi ci deve essere un modo per utilizzarli.
Qualcuno può aiutarci a capire come funzionano le cose ora con i mezzi oBike? Se effettivamente la casamadre ha chiuso, come da noi rilevato nell’ottobre 2018, come fa ancora a funzionare l’app?
Fu proprio diarioromano a dare tra i primi la notizia del fallimento di questo servizio, rimasto l’unico bike sharing ancora disponibile a Roma. Sembra che il destino si sia accanito contro la nostra città ogni qualvolta questa tenta di dotarsi di uno schema di biciclette condivise. Prima l’esperimento di epoca veltroniana, fatto miseramente fallire dal Sindaco Alemanno. Fu lui ad assegnare ad Atac la gestione delle poche ciclostazioni ereditate dalle precedenti amministrazioni. L’Azienda di trasporto non ci mise molto a mandare tutto in malora.
Molti anni dopo una speranza sembrava arrivare dal cosiddetto “flusso libero”. Si tratta appunto di biciclette che si possono prendere e riconsegnare ovunque, purché in un dato perimetro. Le app che tutti abbiamo sui telefoni cellulari hanno permesso questa rivoluzione, esattamente come avvenuto con le auto di Enjoy, Car2Go o Share’ngo. Ma il sogno è durato poco. Il primo operatore sbarcato a Roma, Gobee bike, si è ritirato dopo solo un anno, annunciando l’addio a febbraio 2018.
Il secondo operatore, oBike, quello delle bici gialle nella foto in alto, ha dichiarato fallimento, lasciando in giro per la capitale centinaia di due ruote abbandonate. Gli episodi di vandalismo, che avevano visto tante bici gettate nelle fontane o nel Tevere, non hanno aiutato un’azienda già agonizzante. E a poco sono servite le confuse regole emanate dal Campidoglio, nella speranza di attirare altri operatori.
Il flusso libero, insomma, si è dimostrato poco affidabile proprio come questo sito aveva tentato di spiegare in diverse occasioni, semplicemente analizzando quello che era successo in altre capitali europee e mondiali.
Ecco perché molte città, tra le quali Parigi, Milano, Torino, Londra, Amsterdam hanno deciso di concentrarsi su forme di bike sharing tradizionale (cioè con ciclostazioni dove lasciare e noleggiare la bici) o miste (con la possibilità di lasciare il mezzo in apposite aree senza la necessità di vere e proprie ciclostazioni).
Tutto questo sarebbe possibile a Roma se solo si applicasse quanto già previsto nella riforma degli impianti pubblicitari, messa a punto e approvata con il voto favorevole dei 5stelle, nella scorsa consiliatura. La Sindaca Raggi e l’assessore Cafarotti, però, non hanno voluto dare seguito a quella riforma che prevedeva un servizio di circa 250 ciclostazioni in tutta Roma pagato solo dalla pubblicità sui cartelloni. Il Comune non avrebbe speso un euro e anzi avrebbe avuto degli incassi.
Ecco perché abbiamo lanciato una petizione indirizzata a Virginia Raggi affinché ci ripensi e applichi il Prip, Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari, grazie al quale anche Roma avrebbe in pochi mesi il suo bike sharing.
Non lasciamoci scappare l’occasione.
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