L’ultimo giorno da assessore sarà il prossimo 9 maggio, ma Adriano Meloni di fatto è già fuori dalla giunta Raggi e approfitta della sua ritrovata “libertà politica” per sfogarsi con i giornalisti. Parlando con il Messaggero, il titolare uscente alle Attività Produttive, spiega perché non ha retto oltre su quella poltrona difficile. “Ero incazzato prima e lo sono tuttora – dice al termine di una conferenza stampa – perché con la Festa della Befana, Coia ha regalato la manifestazione ai Tredicine e questo va contro Roma e il suo decoro”. Meloni aveva già pensato di lasciare a luglio e a ottobre aveva formalizzato il suo addio con una lettera indirizzata alla Sindaca. Ma troppi sono stati i cambi di assessore durante l’amministrazione Raggi per potersi permettere una nuova defezione a poche settimane dalle elezioni politiche. Così, di comune accordo, decisero di rinviare. E infatti, poco dopo il voto nazionale, ecco l’addio mascherato da collaborazione. “Ci darà una mano sul turismo”, assicura la Raggi ma la rottura è consumata. Questa strana delega al turismo è chiaramente solo una polpetta da dare in pasto ai giornali e ai supporters pentastellati che almeno avranno la giustificazione ufficiale da scrivere sui social.
La questione è chiara: Meloni, milanese (sebbene di adozione) inviato dalla Casaleggio perché lontano dai piccoli poteri romani legati al commercio ambulante, è caduto proprio sotto il “fuoco amico” del M5S. Quella parte di Movimento che fa capo a Coia che è molto sensibile alla lobby delle bancarelle e alla sua famiglia simbolo, i Tredicine. Perché insiste a chiamarlo Coiacine (crasi tra Coia e Tredicine) domanda il Messaggero a Meloni: “Mi piace dare i soprannomi e quello per Coia mi sembrava il più appropriato”, risponde senza esitazione l’ex assessore. Insomma l’unico che cercava di arginare lo strapotere dei bancarellari in Campidoglio se ne va e lascia la città in mano a chi la sta spolpando da decenni, con banchi indecorosi in tutte le vie commerciali, personale pagato in nero, evasione fiscale, concorrenza sleale ai negozi. Una battaglia, quella di Meloni, solitaria all’interno del M5S che invece si è sempre battuto contro la direttiva Bolkestein che avrebbe mandato a gara tutte le posizioni degli ambulanti. “Ho provato a spiegarlo anche ai dirigenti nazionali del Movimento (Di Maio e Di Battista) che Roma è un caso a parte, che qui le bancarelle sono un mondo diverso rispetto alle altre città ma non hanno voluto sentire”, ha ripetuto più volte Meloni a diarioromano in alcune conversazioni informali che abbiamo avuto.
Carlo Cafarotti che prende il suo posto da mercoledì prossimo si troverà diverse patate bollenti da maneggiare: non solo la questione ambulanti, ma anche il tema della riforma dei cartelloni pubblicitari (che tranne Meloni è osteggiata da tutta la giunta 5stelle), il nuovo regolamento sui minimarket e tanto altro. Vedremo se sarà più allineato a Coia o se anche lui scalpiterà nel tentativo di riportare decoro e legalità.
Quella legalità che manca del tutto: prova ne sia l’inchiesta che sta portando avanti la Procura della Repubblica su Antonio Proietti, definito il re della bancarelle, probabilmente il numero due a Roma dopo i Tredicine. Proietti possiede decine di banchi tra Prati, Centro Storico, Parioli, Salario, Montesacro. Secondo il pubblico Ministero Galanti, il sistema è consolidato: nonostante le licenze siano da itinerante, Proietti installa le bancarelle sempre nello stesso luogo (per lo più pregiato e di gran passaggio) e le affida a prestanome che non hanno i titoli per operare. Assieme a lui sono indagati due dirigenti Municipali.
Piccolo episodio significativo che capitò a chi scrive questo articolo un paio di anni fa: dovemmo accompagnare una persona cara al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito per un serio problema di salute. In quel momento arrivò Proietti (si presentò lui stesso mentre eravamo in attesa) gridando contro due vigili urbani che a suo dire gli avevano provocato un malessere per le “continue vessazioni subite dalle sue bancarelle”. A noi Proietti sembrava stesse benissimo e quella richiesta di visita al pronto soccorso levava tempo e spazio a chi aveva veri problemi di salute, come il nostro congiunto. I vigili che erano lì gli dicevano di starsi zitto e di non alzare la voce in un luogo dove c’erano persone malate. Ma lui insisteva nel gridare che loro lo vessavano e non lo lasciavano lavorare onestamente con il suo banco. Chissà come sarà finita quella volta. Purtroppo eravamo troppo preoccupati per dare retta a Proietti. Vedremo adesso come finirà l’inchiesta della magistratura sul suo metodo di commercio.