Nella tana del serpente nessuno si salva da solo

Il nuovo romanzo di Michele Navarra tratteggia la periferia smarrita di Corviale. Un luogo duro dove i cittadini lottano giorno e notte, anche contro i propri istinti, per sopperire alla mancanza delle istituzioni

Riprendiamo oggi, dopo una breve pausa, la rubrica dedicata ai libri su Roma e ai consigli di lettura per il fine settimana.

Questo sabato vi presentiamo il nuovo romanzo di Michele Navarra: Nella tana del serpente (Fazi editore).

L’avvocato penalista Michele Navarra si diletta ormai da qualche anno a scrivere romanzi noir in cui è in grado di mescolare, senza annoiare, tutti gli elementi propri del legal trhiller insieme ad una miscela di riflessioni sociali e sentimentali.

Nel suo immaginifico letterario è riuscito a creare un personaggio davvero intrigante: l’avvocato Alessandro Gordiani, già presente nel suo primo romanzo Solo Dio è innocente.

In questa nuova avventura, l’autore spinge l’attenzione del lettore verso una realtà romana tra le più discusse degli ultimi decenni, ovvero la vivibilità del quartiere di Corviale e del suo complesso residenziale “Edificio ERP- Nuovo Corviale”, noto come “stecca” o più comunemente detto “Serpentone”, per la sua lunghezza di oltre 900 metri continuativi di cemento armato.

 

Un chilometro di abitazioni: nove piani di altezza; 1.200 appartamenti; 8.500 stanze in grado di ospitare 6.000 persone; 780.000 metri cubi di volume. Uno di quegli esperimenti architettonici mostruosi che verso la metà degli anni Settanta doveva disegnare una soluzione abitativa e nello stesso tempo riqualificare un intero quadrante della capitale. Un quartiere su cui sono stati scritti interi manuali di urbanistica e sociologia, ma che periodicamente torna alla ribalta dell’attenzione mediatica per casi di cronaca o in vista di propagande elettorali.

Se in un primo momento la definizione di Serpentone non voleva assurgere a tono dispregiativo, nel tempo questa si è rivelata appropriata, soprattutto per la carica simbolica negativa che il serpente intrinsecamente si porta dietro. Il complesso residenziale, infatti, nasconde al suo interno un coacervo di dinamiche sociali difficili da controllare. Come se fosse un’entità a sé, il Serpente cova delle inquietudini in grado di esplodere senza nessun preavviso.

Aggiungiamo allora questa metafora delle uova per descrivere il romanzo di Navarra, e immaginiamo che il Serpentone di Corviale altro non sia che un enorme drago che alimenta migliaia e migliaia di uova. Proprio perché le uova del drago, come sappiamo dalla mitologia, quando si schiudono, dopo un lungo lasso di tempo, innescano la nascita di un mostro pronto a distruggere e sottomettere tutto.

Nel romanzo assistiamo allo sgretolarsi di due famiglie: la famiglia Desideri da una parte e quella Bayazid dall’altra.

Elia Desideri è un romano tranquillo, gestisce un negozio di abbigliamento e si alza ogni giorno di buonora per garantire alla sua famiglia una vita serena. Non se la passa benissimo e ha così ottenuto dal Comune un appartamento in affitto al terzo piano del Serpentone di Corviale. Elia accetta, nonostante proprio sopra la sua testa, al quarto piano, quasi tutti gli immobili siano occupati da un esercito di disperati. Elia conosce bene il Serpentone, ma questo per il momento non importa, con la sua giovane moglie si adatteranno, faranno di necessità virtù.

Inizia così la sua storia, dove tutto scorre felice almeno per una decina di anni. Poi la attività comincia a mostrare dei segni di cedimento, arrivano le prime uova di drago nella sua vita. I cinesi aprono una valanga di negozi di abbigliamento, inondano il mercato, poi arrivano gli extracomunitari che vendono capi contraffatti a pochi euro sulle bancarelle ad ogni angolo della strada. Elia si sente inerme in un mercato senza regole, ma soprattutto senza controlli. La gente si abitua al degrado, alla merce contraffatta, ai negozi con le saracinesche abbassate. Ognuno, nell’ottica di salvaguardare i propri interessi, non si cura delle difficoltà dell’altro. Ma Elia resiste, dalla sua parte ha la famiglia, due figli e una bellissima moglie. Ma ecco che il primo uovo di drago si schiude: dolori, malessere generale, controlli, diagnosi, cure, e dopo tanta sofferenza la sua amata moglie Antonella non c’è più. Inizia il buio, i figli crescono da soli, seguendo le regole del Serpentone, mentre Elia a fatica cerca di stargli dietro per quello che può. Luca, il primogenito, si perde in amicizie poco raccomandabili. Così, il padre se lo vede arrestare alle cinque di mattina per spaccio di eroina, con le manette ai polsi i carabinieri lo prelevano da quel “maledetto palazzo-quartiere”. Elia non si dispera, si rassegna all’evidenza dei fatti.

La sua vita si intreccia inesorabilmente con un’altra famiglia captata dal Serpente, si tratta di Rashad Bayazid e sua moglie Halima, una coppia di profughi siriani. Loro hanno vissuto in prima persona la forza devastatrice della guerra: scampati per miracolo ai bombardamenti di Aleppo, sono stati rinchiusi come bestie in un campo profughi in Turchia. Fuggiti insieme ad altri fratelli nella speranza di approdare in una terra promessa si erano imbarcati in un gommone di fantasmi per far rotta verso Lampedusa. Qui arrivò la tragedia: il gommone si rovescia in piena notte e la famiglia Bayazid perde in mare uno dei suoi figli, il piccolo Omar.

Da due anni abitano anche loro al terzo piano del Serpentone, non si curano del degrado, dei rifiuti, della corrente elettrica che funziona a giorni alterni. Quando fuggi dalle bombe, l’ascensore guasto è l’ultimo dei tuoi problemi, quando la tua città è stata rasa al suolo non fai distinzione tra centro e periferia, tra privilegiati ed emarginati, ringrazi soltanto il tuo Dio di essere ancora vivo e chiedi perdono per aver imbarcato di notte tuo figlio su una bara galleggiante. Dopo la tragedia, la famiglia Bayazid si riorganizza, vive alla giornata nel ricordo di Omar, aprono un’attività commerciale di frutta e verdura, ma proprio non potevano immaginare cosa si potesse sprigionare all’interno di quel quartiere.

Nel frattempo, infatti, nell’animo di Elia germina il male della xenofobia, esasperato, litiga con tutti, in particolar modo con gli extracomunitari. I Bayazid, suoi vicini, non possono essere immuni dalle sue frustrazioni.

Un giorno, suo figlio ritorna a casa con l’occhio gonfio e dolorante, una lite, una colluttazione con Nadir, secondogenito della famiglia Bayazid. Per Elia è troppo, è la goccia finale, esce per strada, l’uovo si apre, il drago fuoriesce e il buio nella sua vita diventa sempre più denso.

Il quartiere viene scosso da un atroce delitto: un giovane ragazzo di nome Nadir viene trovato senza vita, dissanguato, in un garage del Serpentone. Elia viene subito accusato dell’omicidio, alcuni residenti lo hanno visto discutere e fare a botte con il giovane Nadir. Due famiglie già disastrate devono ora accettare l’ennesimo dramma.

Non poteva essere successo un’altra volta, pensava Halima disperata […]. Dove era andata a finire la misericordia di cui parlavano le Sacre Scritture?

L’avvocato Alessandro Gordiani viene chiamato come difensore di Elia, che intanto si professa innocente. Gordiani aveva già difeso suo figlio nella vicenda legata al traffico di stupefacenti. Conosce il quartiere, ma non così bene come immaginava. Passo dopo passo, tassello dopo tassello, la realtà che emerge sarà totalmente diversa da quella tratteggiata dagli inquirenti.

Michele Navarra getta in queste pagine un lucido affresco della situazione attuale di alcune periferie romane. Non forza mai del tutto la mano con la fantasia della scrittura e questo spinge il lettore a immergersi nella vita di tutti i giorni dei residenti del Serpentone. La matassa che Gordiani cercherà di sbrogliare sarà fatta di storia, di etnie, di tradizioni, culture, riti ancestrali in grado di resistere all’evolversi del tempo e dei costumi. Perché il Serpente è come Roma, accetta tutti senza distinzioni, è una micro-nazione dove i cittadini sono apolidi, dove ci si rifugia in attesa di cambiare vita, in attesa di disinnescare le uova del drago.

Nel caso di Corviale, l’avvocato ha capito sulla sua stessa pelle che nessuno si salva da solo. Lo ha capito in uno dei momenti più delicati della sua vita. Lo ha capito osservando quelle persone: cittadini in maggioranza onesti, lottatori che ogni giorno cercano di sottomettere la bestia abbandonata alla non curanza delle istituzioni. Nessuno può dirsi innocente, nessuno può dirsi davvero colpevole, in una lotta che vede tutti contro tutti. I Desideri e i Bayazid sono soltanto vittime di un sistema che li ha ignorati e respinti, un qualcosa davvero più grande di loro.

Alessandro Gordiani, alla fine, chiuderà anche questo caso. Inforcherà la vespa per allontanarsi dalla città, per rischiararsi le idee insieme alla sua compagna, cantando Le parole perdute di Fiorella Mannoia, nella speranza di ritrovare se stessi contro chi cerca di rubarci i sogni:

Stringimi, amore mio, che siamo ancora in tempo. Amami, amore mio, noi siamo ancora in tempo […] Alessandro si convinse che il cuore di chi ama fosse come quel vecchio motore, che pur ammaccato e un po’ arrugginito, ancora ruggiva forte dopo tutti quegli anni. Bisognava sempre dare gas, spingerlo fino al limite delle sue possibilità, perché soltanto in questo modo non si sarebbe mai spento e avrebbe continuato a correre per sempre”.

Buona lettura!!

La redazione di Diario Romano è al fianco di tutti i cittadini onesti di Corviale, e delle loro battaglie per veder riconosciuti i diritti fondamentali.

 

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