Vogliamo occuparci oggi di una questione molto tecnica che però ha impatti potenzialmente molto rilevanti e che può far comprendere come l’attuale amministrazione capitolina continua a mancare delle capacità minime per governare Roma.
Il tema riguarda le occupazioni di suolo pubblico e la normativa che le regola, con particolare riguardo per gli arredi da utilizzarsi in alcune aree della città per motivi di decoro e tutela.
Il testo che segue spiega nei dettagli la situazione che si è venuta a creare a seguito delle recenti modifiche alla normativa sulle OSP. In estrema sintesi si può dire che per distrazione o incapacità di qualcuno si è annullato il catalogo degli arredi che con molta fatica aveva aggiornato gli elementi da utilizzarsi nella Città Storica (sulla base del lavoro del Tavolo Tecnico per il Decoro), riportando in vigore l’accozzaglia di arredi previsti dalla vecchia normativa, inclusi gli orridi teli di plastica.
Nel lontano 2005 l’allora Consiglio Comunale approvò la delibera 119 che regolamentava in maniera organica la disciplina delle occupazioni di suolo pubblico (OSP) in generale e, in particolare, anche quelle commerciali ad uso delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. All’interno della DCC 119 era presente un allegato “B” che regolamentava i “Sistemi coordinati per l’arredo urbano … della Città Storica”; detto in parole più semplici gli elementi di arredo che compongono una OSP (ombrelloni, tende, fioriere, pedane, ecc.).
Successivamente con delibera di Assemblea Capitolina n. 39/2014 veniva approvato un nuovo regolamento in materia di OSP che ricalcava quello precedente e che riconfermava la presenza dell’Allegato “B” di cui sopra. Nel 2015 un lungo e meticoloso lavoro congiunto tra il Ministero ai Beni e alle Attività Culturali e Roma Capitale, anche dopo le violente proteste dei ristoratori del Centro Storico, a loro dire ”vessati” dai PMO, cavalcate dall’allora sindaco Alemanno e da alcuni consiglieri del PD, portava all’approvazione della DAC 193 che recepiva le risultanze del Tavolo Tecnico per il Decoro.
Tale delibera contiene il “Catalogo Arredo Urbano Commerciale” che individua, all’interno del territorio della città di Roma, tre ambiti articolati in base alle caratteristiche storiche, archeologiche, monumentali e urbanistiche: Sito Unesco, Città Storica, Suburbio. All’interno di queste zone devono essere quindi utilizzati elementi di arredo specifici e dettagliati. Altro elemento presente all’interno della delibera era quello di semplificare e velocizzare le procedure per il rilascio delle concessioni di suolo pubblico per gli operatori del settore.
Arrivando ai giorni nostri con delibera dell’Assemblea Capitolina n.82/2018 viene approvata la “Modifica dell’art. 4 bis del Regolamento in materia di Occupazione di Suolo Pubblico (OSP) e del canone (COSAP) … Disposizioni in materia di isole ambientali”. Al di là del meritorio intento di regolamentare la tipologia di OSP in questione, il “legislatore” di turno non si è accorto che tra le pieghe del testo il diavolo ci ha messo la coda. Nel dispositivo della DAC, infatti, è previsto al terzo punto “di procedere alla ripubblicazione integrale del suddetto Regolamento che, allegato alla presente Deliberazione, ne costituisce parte integrante e sostanziale ...”
Ed è proprio qui che si è insinuato il diavoletto, perché in sede di approvazione non si sono accorti, o forse non ne hanno capito la portata (il che è ancora peggio) che nel nuovo testo veniva ricompreso anche il famoso Allegato “B” della vecchia delibera del 2005.
Ora accade però che nella cronologia delle fonti normative quella legiferata successivamente abroga quella precedente e produce i suoi effetti solo da quel momento (la norma abrogata, però, rimane nell’ordinamento, producendo effetti solo per le fattispecie verificatesi nel passato). Quindi ciò significa che il Catalogo Arredo Urbano Commerciale è stato sostituito da quello presente nell’allegato “B” della nuova Delibera 82/2019 che prevede, di nuovo, la possibilità di poter utilizzare quegli elementi di arredo (le famose strutture a pagoda e le chiusure laterali, i teli di plastica) che con tanta fatica erano stati eliminati perché in conflitto con il decoro e la tutela del patrimonio artistico culturale della città.
Così tutto il lavoro fatto da Tavolo Tecnico del Decoro è sfumato via con il rischio di veder spuntare di nuovo sedie e tavoli di qualsiasi colore e forma ovunque.
Forse sarebbe opportuno che venisse di nuovo messa mano ad un nuovo Catalogo che corregga questa ennesima “svista” nella speranza che non ci siano altri diavoletti in Aula Giulio Cesare a infilare la coda da qualche parte ma soprattutto che chi propone un testo da approvare ne comprenda il contenuto.
Se infatti l’errore può essere stato commesso materialmente da qualche funzionario o addetto degli uffici, la responsabilità non può che ricadere sui responsabili politici del commercio cittadino che evidentemente maneggiano ancora con estrema fatica la materia. Ci riferiamo chiaramente al presidente della commissione commercio, Andrea Coia, e all’assessore al commercio, Carlo Cafarotti, dei quali abbiamo più volte segnalato la rilevanza solo nel mantenere l’asfittico e straccione status quo del commercio romano.
Del primo non possiamo non ricordare i mirabolanti effetti che avrebbero dovuto far seguito alla sua riforma del commercio su area pubblica, laddove le bancarelle romane non se ne sono neanche accorte e gli unici spostamenti effettuati sono stati dovuti all’applicazione del PGTU approvato dalla precedente consiliatura, applicazione peraltro sollecitata dal molto rimpianto assessore Meloni.
Al secondo non possiamo non addebitare, ancora una volta, il totale blocco della riforma degli impianti pubblicitari (approvata ben cinque anni fa!?!) con conseguenti mancati introiti per le casse comunali, mantenimento del generalizzato stato di degrado della cartellonistica cittadina e, soprattutto, assenza di un serio sistema di bike sharing a Roma (come il Sindaco Raggi possa continuare a tollerare in una posizione tanto delicata qualcuno così inetto da bloccare una riforma già pronta e che darebbe lustro alla città e all’amministrazione tutta è cosa impossibile da comprendere).
Chissà se i due responsabili sono stati avvertiti del problema che hanno creato con gli arredi delle OSP e, nel caso, se hanno dato mandato a qualcuno di metterci una pezza. Non ci proviamo neanche a chiedergliene conto direttamente perché conosciamo la loro supponenza e pretesa di essere i soli detentori della verità in materia di commercio a Roma. Che intanto continua a morire.