Siamo stati tra i primi a dicembre 2020 a rilanciare l’idea di un Politecnico a Roma. L’iniziativa, che era stata presentata dalla Regione Lazio e sostenuta da diverse personalità della cultura, sembrava non dover mancare all’interno del Recovery Plan per la Capitale.
Col tempo in molti hanno giustamente iniziato a sostenere la possibilità di dare anche a Roma una facoltà puramente tecnica come quelle di Milano e Torino che riescono a produrre figure specializzate sempre più richieste dal mercato.
Martedì scorso, tutti i possibili attori di un futuro Politenico si sono ritrovati alla sede della Camera di Commercio per provare a ragionare assieme. C’erano i rappresentanti delle tre Università pubbliche romane (Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre) e soprattutto Unindustria, il maggior sponsor. Il Presidente, Angelo Camilli, stima un impegno finanziario di 100 milioni l’anno per i prossimi quattro anni e il coinvolgimento di 25 grandi aziende.
Anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, si è mostrato convinto del progetto. Durante il suo intervento ha esordito ricordando che il Lazio sta andando avanti spedito con i vaccini per il Covid e ha ribadito più volte il concetto. Ma cosa c’entri la campagna vaccinale con un progetto di rilancio del sapere dei giovani non è chiaro. Lo sottolineiamo perché questa ossessiva ripetizione della questione Covid/vaccini ad ogni occasione pubblica sta diventando una macchietta. Ad ogni modo, Zingaretti ha anche (bontà sua) parlato del Politecnico, ricordando che il Lazio ha il più alto indice di diplomati e laureati per popolazione (quasi il 58%). Ma non basta laurearsi, occorre essere al passo con le esigenze del mercato del lavoro fatto sempre più di tecnologia e innovazione.
Ecco allora che Roma come città non solo amministrativa ma anche altamente specializzata potrebbe attrarre nuovi investimenti, essere protagonista di brevetti, marchi, software.
Fin qui tutti d’accordo ma la parte che ha meno convito dell’incontro di martedì riguarda il quando e il dove.
Il “quando” perché si è parlato dei primi corsi nel 2022 e i primi percorsi di laurea magistrale o dottorato nel 2023. Una previsione talmente ottimistica da sembrare più un auspicio che un progetto reale.
Il “dove” perché si è tornati a parlare del solito ex ospedale Forlanini, una specie di meta per ogni sogno si voglia realizzare a Roma. Chiuso dal 2015, il Forlanini doveva prima essere venduto, poi sarebbe dovuto diventare la “cittadella della pubblica amministrazione” (!), poi la sede di diverse organizzazioni internazionali, in seguito si parlò di farne la sede dell’Agenzia Europea del Farmaco, infine una “casa della salute” e diverse Rsa per anziani.
Come se non bastasse, durante l’emergenza Covid, da più parti si pensò di riaprirlo come ospedale per renderlo un centro dedicato al virus.
Tutti progetti naufragati prima ancora che si potesse verificarne la fattibilità e il nostro timore, purtroppo fondato, è che pure il Politecnico non troverà casa nei 150 mila metri quadri di edifici e 12 ettari di verde. Il Forlanini è evidentemente un gigante che dovrà essere destinato a più di una funzione, sia di carattere pubblico che privato.
La semplicità con la quale martedì è stata lanciata la proposta di farne la sede della nuova facoltà tecnica è davvero imbarazzante.
La difficoltà nel trovare un luogo adatto e la tempistica che sarà certamente più lunga di uno o due anni, non devono però scoraggiare la costituzione del Politecnico. Carlo Calenda, che ha studiato più di un dossier essendo partito un anno prima degli altri candidati, ha fornito dei dati molto seri in proposito: nonostante Roma abbia un polo universitario da ben 200 mila studenti, i laureati nelle discipline ingegneristiche sono la metà di quelli di Milano. E questo si traduce in una scarsa capacità di innovazione: nel 2019, a Milano sono state presentate 935 domande di brevetto, a Roma solo 200!!
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