Negli ultimi mesi si sta intensificando il dibattito attorno al futuro ruolo della capitale d’Italia. La gestione, spesso inefficiente, dell’attuale amministrazione ha portato alla luce la ruggine che rallenta gli ingranaggi della città, sia sotto il punto di vista istituzionale sia sotto quello sociale ed economico.
Si sono così susseguiti un’infinità di dibattiti, a più livelli, che hanno visto una grande partecipazione e mobilitazione dei cittadini e dei comitati, i quali spingono per arrivare finalmente ad una rivalutazione e riformulazione del concetto stesso di “Capitale”. Non sono mancate poi le pubblicazioni, scientifiche e non, che hanno gettato le basi per un più proficuo confronto con le parti interessate.
Oggi vogliamo segnalarvi due volumi che, partendo da due prospettive diverse, convergono verso un unico punto di domanda che lascia lo spazio a una molteplicità di risposte: all’alba dei suoi 150 anni, Roma può definirsi davvero una capitale?
Il primo libro da cui prendiamo le mosse è Roma come se. Alla ricerca del futuro per la capitale, scritto da Walter Tocci e pubblicato dalla Donzelli Editore.
Tocci non ha certo bisogno di presentazioni (vicesindaco di Roma e assessore alla mobilità nella giunta di Francesco Rutelli), si è dedicato alla vita politica della città cercando di metterne in luce i lati positivi e le sue profonde contraddizioni. Impegno politico testimoniato soprattutto da un’importante produzione culturale che culmina per l’appunto in quest’ultimo libro, un manifesto politico per le generazioni future, e testamento, potremmo dire sentimentale, verso una città che nonostante tutto continua a stupire l’autore, giorno dopo giorno.
Sintetizzare questo volume in poche righe è un’impresa alquanto impossibile. In 260 pagine viene esposta la storia moderna e contemporanea di Roma, dall’Unità fino ai giorni nostri. Un calendario scandito non solo dagli occhi del politico, ma soprattutto del cittadino che ha vissuto sulla propria pelle le eterne contraddizioni della “politica romana”, di quella nazionale e della partecipazione cittadina.
Tutta la sua analisi parte da un concetto chiave, ovvero di come a Roma, dopo 150 anni, si sia chiusa una fase storica e con essa siano cessate anche le tre grandi rendite che hanno permesso alla città di crescere senza troppi sforzi: centralità statale, consumo di suolo, retorica del passato.
Chi è consapevole della fine di questa fase, si dovrebbe porre spontaneamente delle domande, ovvero: di quale economia vivrà la città? Quale nuova forma urbana si darà? Come saprà rielaborare nel mondo contemporaneo la sua eredità storica?
Non è certo facile darsi delle risposte quando, come sottolinea l’autore, si è di fronte al collasso dell’amministrazione dei servizi e dello spazio pubblico. Difatti, “l’asprezza” dei problemi quotidiani impedisce di concentrarsi anche solo sull’immaginazione del futuro della capitale, da qui il titolo “Roma come se”. Come uscire da quest’impasse? Scommettendo sulle relazioni tra i cittadini, ribaltando le politiche pubbliche seguite nei decenni passati. Attraverso la cura dell’intelligenza sociale e una riforma istituzionale della capitale, si possono attivare gli elementi per avviare una nuova stagione di prosperità civile, sociale ed economica.
L’autore avanza così delle proposte (tutta la seconda parte del libro risponde a un vero e proprio manifesto di intervento e di azione collettiva), cercando di connettere la concretezza del governo con un sogno ad occhi aperti: quello di immaginare una Roma ambiziosa che non si ripieghi su se stessa in un pianto inutile e deleterio, libera dalla “dittatura del presente”.
Porsi una meta, anche nelle difficoltà quotidiane, aiuta a definire il cammino. Senza visione non si può realizzare nulla se non una mera amministrazione ordinaria. I cittadini che abitano la Roma come se sono coloro che tagliano il cordone ombelicale con il passato, con le sue politiche vecchie e stantie, con la storia, senza rinnegarla, ma neppure dipendendone in maniera così ossessiva.
Questo cambiamento sarebbe dovuto avvenire tanti anni fa, ma così non è stato. Il Covid, nonostante il dramma che ha portato con sé, ha tagliato di netto questo cordone, costringendoci a riconsiderare i passi fatti finora.
Roma non è più come prima, non lo sarà mai più, dunque la grande sfida sarà riconnetterla con il mondo, come metropoli di una regione, come capitale di uno Stato ma, soprattutto, del Mediterraneo. 30 anni, per una città come Roma, sono un soffio di storia che passa in un secondo, e allora che città avremo tra le mani nel 2050? Sarà inclusiva per gli italiani? Per i migranti? Sarà una città della scienza e del progresso come disegnata e immaginata agli inizi del ‘900? O ancora solo una città ministeriale e burocratica?
A queste domande cerca di rispondere, nel nostro raffronto, il secondo volume che prendiamo in considerazione, intitolato A centocinquant’anni da Roma Capitale. Costruire il futuro della città eterna (AA.VV.), edito da Rubbettino. Il libro raccoglie un insieme di riflessioni provenienti dalle maggiori università romane. Gli studiosi che si susseguono (giuristi, storici, economisti, urbanisti), partendo dalla stessa base storica di Walter Tocci, si interrogano in modo analitico e istituzionale su quale futuro progettare per la città. L’assunto di partenza è una constatazione amara: dopo la “breccia di Porta Pia”, la questione romana non si è ancora conclusa, ovvero, Roma è diventata sì Capitale di uno Stato unitario, ma non è riuscita a rafforzare nei suoi 150 anni un apparato amministrativo giuridico in grado di tutelarla e di porla al di sopra dei cambiamenti storici intercorsi in questo breve arco temporale.
Si riapre allora il dibattito su quali poteri speciali attribuire alla capitale, partendo dalla riforma del titolo V della Costituzione (“Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”), senza trascurare però, parallelamente, il rafforzamento della “Città metropolitana” e della legge del 7 aprile 2014, n. 56.
Anche qui non mancano cenni alla storia di Roma, dalla città papalina a quella giolittiana, passando per il ventennio fascista, arrivando alla Roma delle periferie degli anni ‘60. Gli accademici intervenuti sottolineano a più riprese il grave gap giuridico che separa l’Urbe dalle grandi capitali europee, città che sono riuscite ad affermarsi cavalcando i cambiamenti della contemporaneità grazie e soprattutto ad un rafforzamento dei loro poteri sovrastatali.
Mentre Londra, Parigi, Berlino e Madrid lavoravano sulla loro ossatura giuridica, Roma cresceva senza sosta, divorando l’agro romano, creando il più grande comune metropolitano europeo, senza però aprire un dibattito sul tipo di impalcatura amministrativa da adottare.
In queste città ci fu una chiara “tensione tra la vocazione alla pianificazione territoriale ed economica […] e una vocazione alla democrazia di prossimità che si realizza nell’erogazione di servizi, attraverso diversi modelli organizzativi, più vicini alla collettività”. Ovvero, mentre queste modellavano le loro leggi sulla trasformazione in corso, allo stesso tempo duplicavano il modello cittadino nelle realtà che inglobavano, iniettando nei cittadini una maggiore sicurezza nei confronti di queste entità in crescita.
Roma, di contro, cresceva scollegandosi dal suo centro, duplicando tanti piccoli centri, senza trasmettere l’idea di capitale, diventando sempre più un “ircocervo” difficile da domare. Sono mancati i servizi essenziali ed è venuto meno il governo di prossimità, che ha innescato un cortocircuito paralizzando tutto.
Questo divario tra Roma e le altre capitali europee ha camminato silente nel corso degli anni proprio perché, come sottolinea Tocci, la città viveva di rendita, senza sentire il bisogno di confrontarsi con altre realtà internazionali.
Dunque, come deve porsi Roma con i suoi cittadini? Con la sua Regione? Con le Provincie? Con la sua immensa Provincia? Ma, soprattutto, l’Italia come può tutelare l’Urbe dal pantano storico e giuridico in cui è caduta?
Roma come se punta alla mobilitazione sociale, prima ancora che istituzionale, parla ai romani che abitano la Roma futura e ai cittadini italiani che dovrebbero amare la loro capitale.
A Centocinquant’anni da Roma capitale si rivolge invece agli attori istituzionali per sottolineare come ormai la questione dei poteri speciali non sia più procrastinabile, l’apertura di una “fase costituente” è il primo vero passo per rilanciare la città, l’Italia e il Mediterraneo.
Buona lettura!