E’ un giornalista Roberto Ippolito e si coglie dal suo stile di scrittura, asciutto, senza fronzoli e spesso ironico. Siamo andati ad ascoltarlo alla presentazione del suo ultimo libro “Abusivi” che si è tenuta alcuni giorni fa alla Biblioteca Leopardi nel secondo Municipio. Le storie raccolte nel volume sono lo spaccato di un’Italia che non vuole sentir parlare di regole e di leggi da rispettare. C’è sempre la strada furbacchiona per aggirare la norma o per fregarsene completamente. Una mentalità prima ancora di una scelta ponderata. I regolamenti sono considerati come orpelli ai quali solo gli scemi provano ad adeguarsi. Quelli “intelligenti”, quelli che “sanno come si sta al mondo” neanche prendono in considerazione la possibilità di richiedere un permesso prima di aprire un’attività o di avviare un’opera edilizia.
Accanto a storie che conosciamo perché spesso riportate dai mezzi di informazione, come i dentisti abusivi, i finti medici, i massaggiatori non abilitati, il libro riporta spigolature interessanti: dal funzionario corrotto del cimitero di Olbia che ha permesso la costruzione di ossari e loculi abusivi, ai finti preti che indossano l’abito talare solo per mangiare a sbafo nei conventi. Dai forni abusivi, come quello di Casoria dove il pane viene cotto assieme ai chiodi della legna da ardere, ai distributori di benzina senza permessi né regole di sicurezza come quelli di Zevio e San Giovanni Lupatoto, nel veronese.
Illuminante la storia degli scuolabus di Pisa e Napoli senza assicurazione, segno che si prova a risparmiare perfino sull’incolumità dei bambini. Mentre di proporzioni drammatiche è la sequela di discariche abusive registrate in tutta Italia, da nord a sud, che hanno rovinato il nostro ecosistema e il nostro territorio. L’amianto gettato nell’area archeologica di Cava d’Ispica nel ragusano o i frigoriferi lasciati con il loro gas velenoso alla periferia di Torino, alle spalle di via Cigna sono solo l’esempio di una “mala tradizione” dura a morire.
Un capitoletto è dedicato anche ai cartelloni pubblicitari a Roma, per i quali quali si parla dei 5000 senza scheda, cioè privi di autorizzazione. Ma qui l’autore – forse non conoscendo il problema – dimentica l’abuso che si è fatto con gli impianti autorizzati. Ed infatti, a nostro avviso, il libro è troppo tranchant, condannando senza appello chi commette un minimo abuso (a volte davvero irrilevante) ma dimenticandosi che uno dei problemi di questo paese sono le facili autorizzazioni concesse da politici compiacenti o incompetenti. Come accade con il commercio ambulante nella capitale dove tutti se la prendono con gli extracomunitari che vendono la merce contraffatta sulle lenzuola, ma dimenticano coloro che a pochi metri vendono la stessa merce su una bancarella autorizzata, altrettanto impattante per il decoro e l’economia.
Viene da pensare che il sistema migliore sia quello anglosassone e liberale, dove i permessi sono quasi inesistenti mentre le leggi sono severissime. Se voglio aprire una pizzeria lo faccio senza chiedere nulla a nessuno, ma se in quella pizzeria tengo il personale in nero o non rispetto le regole igieniche non ho alcuna speranza di farla franca. La giungla delle autorizzazioni, proprio perché selvaggia, non è vera garanzia di legalità.