Lo scorso 4 luglio è apparsa la seguente notizia sul portale di Roma Capitale:
Il testo della notizia è un capolavoro di arzigogoli linguistici per far apparire cone un successo il fatto che una riforma approvata nel 2014 e pronta per essere attuata dal primo giorno della consiliatura di Virginia Raggi, è stata invece riposta per cinque anni in un cassetto.
Chiaramente sotto elezioni la propaganda della sindaca non poteva non provare a rivendersi anche questo clamoroso fallimento come un successo, potendo ovviamente contare sulla solita stampa cittadina caratterizzata dalla memoria di un pesce rosso.
Purtroppo per Virginia Raggi e il suo plenipotenziario al commercio, Andrea Coia, la materia degli impianti pubblicitari la mastichiamo dal lontano 2009, quando esplose il numero degli cartelloni e noi, un gruppo di semplici cittadini, ci trovammo in prima linea a fronteggiarli.
Possiamo quindi smascherare facilmente tutte le balle di cui è infarcito il testo che illustra la notizia, incluse le ridicole e offensive (per l’intelligenza) affermazioni della sindaca e dell’assessore.
Partiamo da qualche fatto.
- La riforma degli impianti pubblicitari fu predisposta dall’allora assessore Marta Leonori della giunta Marino, con la fattiva collaborazione di cittadini e associazioni (al tempo il Campidoglio non era l’attuale inarrivabile torre d’avorio dei sedicenti “portavoce dei cittadini”), e approvata dall’Assemblea Capitolina nel luglio 2014 con anche il voto favorevole degli allora consiglieri di minoranza del M5S, inclusa un’incolore Virginia Raggi.
- L’amministrazione Marino riuscì solo ad approvare in giunta i piani di localizzazione degli impianti pubblicitari, previsti dalla riforma, ma poi fu fatta cadere nel 2015 e il commissario che si insediò al suo posto non fece sostanzialmente nulla per farla avanzare.
- Nel giugno 2016 si insedia la giunta Raggi, con Adriano Meloni assessore al commercio, e l’aspettativa di tutti è per una veloce attuazione della riforma, ma per circa un anno gli unici che ne parleranno saremo sempre solo noi, arrivando ad organizzare un convegno in Campidoglio sul tema.
- In più occasioni l’allora presidente della commissione commercio, Andrea Coia, si dimostra il più tenace oppositore ad attuare la riforma, prima adducendo come motivo la sua contrarietà ad affidare in concessione il servizio di bike sharing pagato dai cartelloni (come d’altronde fanno in praticamente tutte le città del mondo), poi facendosi paladino di uno studio, presentato dalle ditte pubblicitarie in abbondante ritardo rispetto al percorso approvativo, che avrebbe dovuto dimostrare dei grossi problemi insiti nella riforma. In realtà entrambe le obiezioni del Coia erano puramente e chiaramente strumentali a bloccare la riforma nel suo complesso e la cosa diviene un ulteriore terreno di scontro con l’assessore Meloni, dopo che già i due battagliavano sull’atteggiamento da tenere nei confronti di alcuni oligopolisti del commercio ambulante romano (l’affaire “coiacine”).
- Merito o meno del nostro convegno, ad agosto 2017 l’assessore Meloni prende l’iniziativa e comincia a percorrere i passi necessari per attuare la riforma.
- A marzo 2018 l’assessore Meloni viene costretto alle dimissioni, probabilmente anche per il suo attivismo sui cartelloni, e di nuovo dell’attuazione della riforma si perdono le tracce.
- Il sostituto di Meloni, Carlo Cafarotti, si dimostra fin da subito prono ai desiderata dell’ormai plenipotenziario del commercio romano, Andrea Coia, e nel febbraio 2019 presenta una serie di modifiche volte a stravolgere la riforma approvata nel 2014, tra cui l’eliminazione del bike sharing e l’introduzione di impianti di nuova generazione. La mossa del neo assessore è chiaramente nel solco delle iniziative del Coia, ossia volta a rimandare tutto alle calende greche e noi non perdiamo occasione per sottolinearlo.
- Passa un ulteriore anno senza che accada nulla e finalmente nel febbraio 2020 l’amministrazione Raggi appare rinsavire, con qualcuno molto in alto che si deve essere reso conto del madornale errore fatto nel non attuare fin da subito la riforma così come approvata nel 2014; in quel modo si sarebbero in breve tempo rivoluzionati davvero i cartelloni a Roma ed insieme si darebbe dato finalmente alla città un vero sistema di bike sharing sovvenzionato dalla pubblicità. Viene quindi richiamato il dirigente che aveva lavorato alla riforma e studiato il percorso più veloce per l’attuazione, rendendosi però conto che alcune modifiche alle normative nazionali sopraggiunte avrebbero allungato i tempi, tanto da non rendere più possibile la cosa entro la fine dall’attuale consiliatura.
Quelli dell’amministrazione Raggi sono stati quindi cinque anni di boicottaggi alla riforma degli impianti pubblicitari, fatto salvo solo il lavoro dell’assessore Meloni, e la sindaca oggi come ne parla?
“Quello delle affissioni è un settore delicato e strategico per Roma: rappresenta una fonte di entrate rilevanti per l’amministrazione comunale, ma è anche necessario un ridimensionamento degli impianti in strada per restituire decoro e sicurezza. In questi anni abbiamo seguito attentamente il lavoro degli uffici e abbiamo dovuto attendere il perfezionamento delle questioni tecniche, dovuto anche alla recente entrata in vigore di nuove norme nazionali che disciplinano il settore, per procedere alla definizione dei bandi pubblici. Possiamo dire che, un passo alla volta, la rivoluzione dei cartelloni si sta compiendo”
La chiave è quell’espressione un po’ oscura, ma che con i fatti da noi elencati dovrebbe apparire chiaramente come un’infantile scusa: “… abbiamo dovuto attendere il perfezionamento delle questioni tecniche …”.
Facile nascondersi dietro la burocrazia, ma purtroppo per la sindaca ci siamo noi ad aver seguito questa lunghissima storia e mai come in questo caso le sue sono delle balle inascoltabili.
Ma la faccia di tolla della sindaca è nulla di fronte allo sprezzo dell’intelligenza e della dignità dimostrato dall’assessore Coia nella sua dichiarazione. Eccola:
“Dopo aver lavorato alla riforma del settore affissioni con la modifica al regolamento che ha previsto l’introduzione del canone unico patrimoniale e l’approvazione, a dicembre 2020, delle norme tecniche per l’installazione degli impianti, con ulteriore integrazione a maggio 2021, abbiamo dato un ulteriore impulso e siamo finalmente nelle condizioni di poter dare concretezza al lavoro propedeutico portato avanti fino ad ora soprattutto grazie al Dipartimento Sviluppo economico.
Un lavoro necessario sia per gli impianti collocati su area pubblica, sui quali gli uffici stanno ultimando l’acquisizione dei pareri da parte degli Enti di Tutela, sia per quelli in area privata sui quali le procedure istruttorie sono concluse.
Il bando appena pubblicato sarà online fino alla fine di novembre per permettere alle imprese di richiedere le autorizzazioni, considerando il limite di metri quadri previsto per ogni Municipio. Ne scaturirà una graduatoria che sarà aperta per tre anni e permetterà di razionalizzare la presenza degli impianti privati su tutta Roma”
Il principale responsabile degli ultimi cinque anni persi a rimestare acqua nel paiolo parla di “ulteriore impulso” alla riforma e prova a far passare la risibile parte degli impianti destinati ad aree private come un passo avanti nell’applicazione della stessa. Peraltro anche questa parte non verrà conclusa prima della fine della consiliatura per cui il successo del Coia 1.0 che voleva far fallire la riforma si potrà dire completo, così come il fallimento del Coia 2.0 che invece la riforma l’avrebbe voluta già applicata.
Deve essere fatto così l’assessore, una specie di dottor Jekyll e mister Hide che riesce a rappresentare entrambi i ruoli con la stessa ferma convinzione. D’altronde non ha fatto lo stesso con l’applicazione della Bolkestein alle bancarelle? Prima andava in giro con la maglietta “No-Bolkestein” e ultimamente è divenuto il più strenuo difensore di quella normativa.
Da notare che nel suo post su facebook l’assessore arriva a dare direttamente la colpa a soprintendenze/sovrintendenze per i ritardi accumulati:
“Negli ultimi anni, il lavoro degli Enti di tutela ha rallentato il processo di approvazione gli impianti.”
Roba che se fossimo in quegli uffici lo denunceremmo per diffamazione, tanto è chiara la responsabilità di chi ha fin dall’inizio manovrato per affossare la riforma.
Noi su questa storia ci avevamo già messo una pietra sopra agli inizi del 2020, parlando di de profundis della riforma degli impianti pubblicitari, quando apparve chiaro che di tempo se n’era perso troppo e che la cosa sarebbe stata in carico al prossimo governo cittadino.
Nel vedere però che la sindaca Raggi e il suo imbarazzante scudiero Coia arrivano addirittura a provare a spacciare quell’offesa alla città di Roma come un pur parziale loro successo, non possiamo che provare una sincera indignazione.
Per cinque anni hanno privato Roma di un miglior decoro nella pubblicità su strada, di una maggiore sicurezza sulle strade (i cartelloni abusivi hanno fatto e fanno morti e feriti), di maggiori introiti per le casse del Comune e di un vero sistema di bike sharing sovvenzionato (come Milano o Parigi, non il servizio di noleggio sponsorizzato dalla Raggi e Calabrese).
E dopo tutto questo hanno una tale faccia di bronzo da provare a girarla in un ennesimo successo del peggior governo cittadino mai visto a Roma.
Visto però il livello di tentata presa in giro dei cittadini, a nostro avviso qui occorre parlare di vera e propria “faccia come il culo” (absit iniuria verbis) per questa indegna coppia.
E quanno ce vo’ ce vo’!
Una risposta
È la solita tattica della Raggi, blocca tutto per poter poi dire “abbiamo sbloccato” e far gioire gli esaltati sostenitori che non vivono a Roma.