Raggi senza maggioranza in Assemblea Capitolina. Al capolinea?

Enrico Stefàno e altri tre consiglieri escono dal M5S e fondano un loro gruppo. Riuscirà l'opposizione a risvegliarsi e mettere la parola fine alla parabola di Virginia Raggi?

Nella seduta di Assemblea Capitolina di ieri i consiglieri Donatella Iorio, Enrico Stefàno, Angelo Sturni e Marco Terranova, eletti nella lista del M5S, hanno lasciato il gruppo fondandone uno nuovo denominato “Piano di Roma“.

In questo modo la sindaca Virginia Raggi ufficialmente non ha più una maggioranza su cui contare in Assemblea Capitolina, per cui ogni provvedimento del suo governo che richiederà l’approvazione in aula rischierà di non ottenerla.

I quattro consiglieri, con in più la consigliera Alessandra Agnello che però è rimasta nel gruppo M5S, avevano già manifestato nel recente passato i loro malumori per le modalità con cui Virginia Raggi ha deciso in totale autonomia e senza alcun dibattito interno di ricandidarsi alle prossime elezioni, ma con la loro definitiva uscita dal gruppo M5S la maggioranza a sostegno della sindaca non c’è proprio più.

 

Un’altra motivazione del gesto dovrebbe essere la propensione dei fuoriusciti a provare un confronto e magari un’alleanza con le forze progressiste presenti a Roma, laddove la Raggi ha sempre eretto muri a qualsiasi collaborazione con altri soggetti politici.

 

Nel caso del consigliere Stefàno deve aver poi pesato l’impostazione del tutto diversa che dà lui del mandato degli elettori rispetto alla sindaca.  Sempre aperto al dialogo con i cittadini lui, senza paura di confrontarsi faccia a faccia in ogni occasione, sistematicamente sfuggente lei, mai espostasi ad un confronto pubblico con i cittadini.

Così ha dichiarato Stefàno a seguito dell’uscita dal gruppo:

Sono sempre stato una voce critica ma leale, invece il Movimento ha preso una deriva nell’ultimo periodo: non mi piace la retorica del ‘va tutto bene’ e ‘se non va bene è sempre colpa di qualcun altro, la Regione, il buco nei bilanci, la Mafia, il dipartimento, gli uffici, il gruppo comunicazione che ha sbagliato il post. Io penso che chi ricopre alcuni ruoli debba ogni tanto prendersi delle responsabilità e alimentare un sano dibattito interno e anche esterno verso la città. Ma tutto questo non è avvenuto.

 

In una condizione normale, la perdita del sostegno della maggioranza dei consiglieri dovrebbe comportare la decadenza della sindaca. Purtroppo la situazione a Roma è tutt’altro che normale, stante che fin dall’inizio è sempre mancata una vera opposizione in Assemblea Capitolina che marcasse stretto l’operato del governo cittadino.

In particolare il maggior partito di opposizione, il PD, si è distinto fin dal primo giorno di consiliatura per assenza e totale mancanza d’iniziativa. È questa una responsabilità grave che il PD si porta dietro e che depotenzia anche il suo candidato sindaco, Roberto Gualtieri. Ad ogni sua critica all’operato della Raggi è infatti facile opporre la sostanziale assenza del suo partito per tutti i cinque anni di consiliatura.

 

Ora che i numeri in Assemblea Capitolina si sono definitivamente chiariti, sarebbe davvero il caso che le opposizioni mettessero la sindaca di fronte alla realtà di non avere più il sostegno richiesto dalla sua carica. C’è solo l’imbarazzo della scelta riguardo il tema da portare in aula per chiedere le dimissioni di un assessore o della stessa sindaca, tante sono le Caporetto che Virginia Raggi ha costruito nei cinque anni di mandato.

C’è ovviamente l’emergenza rifiuti, dove chiedere all’assessore Ziantoni come le sia venuto in mente di parlare di complotto dei cittadini che lasciano apposta i rifiuti in strada per non far rieleggere la Raggi.

Oppure ci sono gli innumerevoli disastri nei trasporti pubblici, con le metropolitane che hanno un problema al giorno o la rete tram che è alla canna del gas.

 

 

L’opposizione potrebbe ad esempio cogliere l’occasione e sfiduciare l’assessore alla mobilità, Pietro Calabrese, quello passa il tempo a scrivere post su facebook per smentire notizie di stampa, evitando però accuratamente di fornire risposte ai cittadini o di esporsi ad un confronto pubblico.

 

Noi non vediamo motivi per cui non si debba infierire sul governo cittadino, lasciandolo arrivare alle elezioni di autunno. L’azione di Virginia Raggi negli ultimi mesi si è fatta in tutto e per tutto funzionale alla sua rielezione, ispirando ogni azione al possibile ritorno in termini propagandistici.

Non si vede perché farla continuare su un tale registro che sta aggravando ulteriormente i già gravi problemi cittadini.

Molto meglio prendere atto della fine del governo M5S ed affidare la città anche solo per pochi mesi ad un commissario che, non avendo alcun interesse specifico per le elezioni, potrà evitare ogni propaganda e provare a mettere qualche pezza per limitare i danni qua e là.

 

Deciderà il PD di affondare il colpo su una Raggi ormai in minoranza? C’è da nutrire più di un dubbio, potendo volere Gualtieri salvare un qualche rapporto con la sindaca per avere poi un suo eventuale appoggio al ballottaggio.

Si ricorderà qualcuno del centrodestra, magari la stessa Giorgia Meloni che per cinque anni ha mantenuto inutilmente il suo seggio in Assemblea Capitolina, di essere all’opposizione e quindi di avere quasi un dovere a mettere il governo cittadino di fronte alla nuova realtà?

 

A nostro avviso la parabola di Virginia Raggi si è ormai conclusa e la responsabilità di non avere più una maggioranza che la sostiene non è di qualche traditore, bensì tutta della sindaca che per cinque anni è andata per la sua strada senza mai condividere nulla col suo schieramento.

La decisione della Raggi di ricandidarsi senza alcuna discussione interna è stata solo l’ultima di cinque anni in cui i consiglieri sono stati trattati come meri ratificatori di decisioni prese altrove; mentre i cittadini di cui si doveva essere i portavoce sono stati trattati tutti da sudditi, inclusi i tanti appartenenti al movimento.

È giusto che l’esperienza di governo di Virginia Raggi termini qui e che la sindaca si giochi le sue carte alle elezioni di autunno senza il vantaggio, del tutto immeritato, di guidare ancora il Campidoglio.

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