Era l’ultimo giorno del 2021 quando pubblicammo un articolo del politologo e scrittore Andrea Ambrogetti sulla riforma dei poteri per la Capitale. A distanza di neanche sei mesi quella ipotesi sembra concretizzarsi ma alcuni problemi restano, a partire dalla mancanza di tempo per approvare una modifica costituzionale.
di Andrea Ambrogetti
Dopo una lunga fase preparatoria, della quale va dato atto alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, comprensiva di ben 25 audizioni tra cui quella dell’allora sindaca Raggi, del nuovo sindaco Gualtieri, del presidente della regione Zingaretti e della ministra Gelmini, ad aprile si è raggiunto un accordo su un testo unificato e la strada scelta è quella della riforma costituzionale.
La proposta interviene sull’articolo 114 della Costituzione assegnando a Roma Capitale la “potestà legislativa” che dal 2001 l’articolo 117 della stessa Costituzione ha assegnato anche alle regioni, “esclusa la tutela della salute e le altre materie stabilite d’intesa con la Regione Lazio e lo Stato”. Inoltre, si stabilisce che “Roma Capitale può conferire con legge le proprie funzioni amministrative a municipi”. Due gli anni previsti per la prima attuazione del nuovo ordinamento (1).
L’ipotesi adottata non è, dunque, quella di una nuova regione, come avvenuto nel 1963 con il Molise, caso rimasto unico nella storia della Repubblica, né quella di un comune con poteri speciali (ipotesi cui guardano anche Milano e Napoli e che un paio di anni fa aveva raccolto un certo consenso), né quella di una sorta di fusione tra Roma Capitale e Comunità metropolitana di Roma.
Il fatto che la capitale del paese, nonché, di gran lunga, la sua città più popolosa, potrà adottare testi “aventi forza di legge” e non solo amministrativi (delibere, regolamenti, ecc.) rappresenterà senz’altro un grande passo in avanti. Ma quale contesto istituzionale nascerebbe con questa innovazione? Quali i vantaggi e gli svantaggi?
Non ho risposte né certezze ma posso provare a ragionare su qualche domanda dal punto di vista dei tanti cittadini attivi impegnati da decenni sul territorio.
L’articolo 114 della Costituzione si colloca nell’ambito del Titolo V e cioè di quel quadro di redistribuzione della potestà legislativa tra governo nazionale e regioni fatto di competenze esclusive, di competenze concorrenti e di competenze residuali che, a venti anni dalla sua introduzione, bisogna purtroppo dire che ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti.
Un dato su tutti: è esplosa la conflittualità fra governo e regioni poiché spesso si è dimostrato difficile distinguere il confine tra competenze statali e regionali e, secondo dati del Sole 24 Ore fino al 2019, sono stati avanzati oltre 1.800 ricorsi davanti alla Corte Costituzionale. Il nuovo Titolo V si spingeva oltre e immaginava una ulteriore autonomia “differenziata” da concordare e approvare tramite le famose “intese” (con legge nazionale) a richiesta di una singola regione (l’iter avviato da Veneto ed Emilia Romagna però è in corso da anni) e questa sembra la strada scelta dalla Camera dei Deputati.
Un meccanismo che non sempre ha funzionato come si è visto con la riforma delle aziende di servizi pubblici locali tentata da più governi e mai attuata anche perché la Corte Costituzionale ha insistito sulla necessità di intese preventive, cioè precedenti perfino a una legge approvata dal Parlamento.
Rispetto alla Regione Lazio non si capisce se quando la riforma andrà a regime la Pisana si dovrà occupare molto meno di Roma. Il dubbio è che un domani essa potrebbe, magari cambiando colore politico, non accettare intese proposte dal Campidoglio o proporre al governo intese su materie sulle quali Roma Capitale ha esercitato o potrebbe esercitare il potere legislativo. E allora cosa succederebbe in questo caso? Si andrebbe davanti alla Corte costituzionale?
Il testo, inoltre, non parla della Città metropolitana (cioè la ex Provincia) la quale, anche se ora dispone di pochi poteri e poche risorse, rimarrebbe stranamente come interlocutore di un ente tra il comunale e il regionale (nonché presieduta dall’inquilino del Campidoglio). Ricordiamo infatti che la legge Delrio, di cui tutti chiedono una revisione (se non altro perché il referendum costituzionale del 2016 che aboliva le province non è passato) non è stata cambiata.
Molto positivo mi sembra il riferimento ai Municipi ai quali finalmente vengono attribuiti poteri amministrativi, lasciando intendere che si potrà andare oltre quello che oggi chiamiamo decentramento e procedere sulla strada della devolution. A quel punto si aprirà per tutti la sfida di moltiplicare le classi dirigenti locali e di ripensare il Campidoglio come un ente capace di definire linee guida di livello generale che ogni Municipio dovrà adattare e attuare. Uno scenario molto interessante per una delle sfide più grandi del contemporaneo quella della manutenzione ordinaria.
E le relazioni della nuova “quasi” regione con il governo nazionale? Per esempio, per la pulizia dei muraglioni dei Lungotevere, che essendo un bene “vincolato” dipendono dal Ministero dei Beni Culturali, il Comune di Roma, vista la storica inerzia ministeriale, dovrebbe farsi carico di promuovere un’intesa ad hoc? E se non venisse accettata? E per la pulizia dello stesso fiume Tevere, il Campidoglio potrebbe procedere direttamente o dovrebbe prima raggiungere un’intesa con la Regione Lazio (che negli ultimi anni ha realizzato alcuni interventi di rimozione della plastica)?
Ma la domanda più importante mi sembra questa. Quando la riforma sarà in vigore si potrà fare a meno di ricorrere a norme e figure straordinarie per governare la città? Per gestire il ciclo dei rifiuti e realizzare un termovalorizzatore si potrà procedere senza dover concordare con Palazzo Chigi la nomina del sindaco a commissario straordinario? Per affrontare l’emergenza cinghiali, che in realtà si trascina da anni, il Campidoglio avrà i poteri e le risorse per procede senza doversi infilare nella risposta – questa sì straordinaria – all’emergenza peste suina?
Lo chiedo perché pochi giorni fa è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il cosiddetto Decreto Aiuti (2) nel quale, insieme a decine e decine di altri argomenti di rilievo nazionale o internazionale, troviamo l’articolo 13: “Gestione dei rifiuti a Roma e altre misure per il Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025”. La gestione dei rifiuti fa parte delle misure per il Giubileo? Non lo sapevo. In ogni caso il contenuto del lungo e dettagliato articolo, a mio personale parere, è condivisibile. Infatti troviamo – senza tanti giri di parole – l’attribuzione al sindaco di Roma dei poteri tipici di una regione (“adotta il piano di gestione dei rifiuti”, “le ordinanze del sindaco/Commissario straordinario sono immediatamente efficaci e sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”, ecc.). Insomma, dopo decenni di immobilismo, per arrivare a chiudere il ciclo dei rifiuti ci voleva un Giubileo ordinario (uno ogni 25 anni).
Un’ultima domanda: una legge di modifica della Costituzione, come è noto, richiede quattro votazioni, due per ogni ramo del Parlamento, a distanza di almeno tre mesi. C’è il tempo, oltre che la volontà, di approvare una riforma così storica nel poco tempo che manca da qui alla fine della legislatura, cioè i primi mesi del 2023?
(1) “Modifica all’articolo 114 della Costituzione, in materia di ordinamento e poteri della città di Roma, capitale della Repubblica” – Nuovo testo della proposta di legge C. 1854 da adottare come testo base, 13 aprile 2022.
(2) Decreto Legge 17 maggio 2022, n. 50, “Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina”, Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.114 del 17 maggio 2022.